Stabat Mater, il compianto ai braccianti morti sul lavoro. L’opera di Guendalina Salini a Roma
Le immagini e il racconto della performance di Guendalina Salini, presentata lo scorso 16 novembre al Macro. L’incontro tra l’artista e i braccianti impiegati nelle raccolte stagionali diventa un’opera di denuncia
Dedicata ai braccianti che hanno perso la vita lavorando nei campi, l’opera di Guendalina Salini (Roma, 1972) impegnata con la violinista Giulia Anita Bari già dal 2017 nell’associazione La Frangia, stabilisce un dialogo con la terra combinando arte e musica. È con Matera 2019 che iniziano insieme un lavoro di comunità vicino a Borgo Taccone, un borgo agricolo abbandonato. Ed è qui che parte un progetto che ha l’idea di denunciare e rendere visibili le condizioni dei braccianti impiegati nelle raccolte stagionali. “Quando sono andata in questi campi, seguendo Giulia Anita che lavorava per “Medici per i Diritti Umani”, sono rimasta molto colpita. Questi posti sono dei veri e propri ghetti, il modo in cui vivono è veramente incredibile in Italia oggi”, ci racconta la Salini.
L’OPERA SUI BRACCIANTI
Con Stabat Mater i dodici volti ritratti, realizzati in memoria di coloro che hanno perso la vita proprio a causa delle condizioni lavorative disumane, entrano in relazione con la Madre dolorosa esaltata da Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi ed eseguita dal quartetto composto da Lorenzo Bucci, Giulia Anita Bari, Javier Salnisky, Giuseppe Civiletti, con Elsa Lila alla voce. La cantante, cresciuta in una famiglia di musicisti classici (il padre Edmond Lila è un tenore) ci tiene a precisare di essere autodidatta e ci racconta: “Il mio intento era quello di riproporre, anche a scopo divulgativo, questi tesori barocchi del Settecento italiano in modo che non rimangano solo per una élite musicale composta perlopiù da accademici“. L’opera si compone da dodici cartoni dipinti di nero sui quali l’artista romana è intervenuta con la tecnica dello strappo, tutti dislocati all’interno di uno spazio scenico in penombra. I musicisti, disposti in un angolo, animavano la scena insieme ad una proiezione che mostrava la sequenza in stop motion di quegli strappi realizzati dall’artista che hanno composto, fotogramma dopo fotogramma, ogni volto.
PERCHÉ STABAT MATER
“La percezione era che tutto era vero in quel momento, la grande bellezza è questo essere veri, era un’esperienza reale. Bisogna sempre liberarsi dalle catene dell’Accademia per poter ritrovare se stessi, liberarsi da tutta questa anestesia che c’è, che abbiamo dentro, queste croste bianche di anestetico… ormai siamo quasi tutti indifferenti, non si provano più emozioni, se ti liberi ti accorgi che c’è tutto un mondo ancora vivo, doloroso però vivo, e con molte speranze. È stato un grande messaggio” ci racconta Stella Santacatterina – curatrice e critico d’arte – durante il dialogo avvenuto il 17 novembre dove si approfondivano gli aspetti della performance, tra la ricerca artistica-musicale, l’impegno politico e il racconto delle comunità fragili, e continua: “D’altronde è stata sempre l’arte a portarci dall’altra parte, toglierci dal sistema del potere, delle griglie, delle catene e riportarci nella “zona franca”. L’arte è quella zona franca che ci può salvare. Con l’appiattimento di oggi della globalizzazione, dove l’uomo è sparito come soggetto, allora l’unica speranza è l’arte, che è stata sempre il luogo altrove che ci può di nuovo far viaggiare, sognare, immaginare, sentire il vello, sentirci vivi, questo è il messaggio importante”.
–Donatella Giordano
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