Come sarà il 2020 dei Musei italiani? L’inchiesta di Artribune parte dalla GaMeC di Bergamo
Comincia da Bergamo la nuova inchiesta di Artribune sui Musei italiani. Abbiamo chiesto loro come sarà il 2020. Il primo a risponderci è Lorenzo Giusti, direttore dell’istituzione bergamasca…
Il 2019 si appresta a concludersi ed è tempo di bilanci. Anche per i Musei. Come di consueto abbiamo chiesto ad alcune delle maggiori istituzioni italiane, pubbliche e private, come sarà il loro 2020. E cosa si portano dietro e salvano dalla torre dell’anno che se ne sta andando, sullo scorcio di un nuovo decennio. Partiamo con la GaMeC di Bergamo e il suo direttore Lorenzo Giusti…
Come sarà la programmazione 2020 della GaMeC?
La programmazione del 2020 approfondirà ulteriormente i filoni di ricerca che hanno caratterizzato gli ultimi due anni: l’indagine nel moderno meno scontato, la valorizzazione del patrimonio del museo attraverso format innovativi, l’attenzione al contemporaneo e l’internazionalizzazione. Cominceremo a febbraio con la mostra di Antonio Rovaldi, seconda tappa del progetto vincitore della quinta edizione dell’Italian Council che ha inaugurato lo scorso novembre presso l’Università di Harvard, a cui affiancheremo un ricco Public Program. A giugno avremo il privilegio di lavorare con Daniel Buren, che presenterà per la prima volta in Italia i suoi nuovi lavori in fibra ottica, dando vita a un percorso di grande suggestione appositamente pensato per la Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione di Bergamo, per il terzo anno consecutivo sede estiva della GAMeC. Si proseguirà con la mostra del curatore indiano Abhijan Toto, vincitore della X edizione del Premio Lorenzo Bonaldi, che parlerà di ecologia e nuovi modelli abitativi, e che avrà Korakrit Arunanandachoi come primo attore. Giungerà poi al terzo appuntamento il progetto della Collezione Impermanente, volto a presentare le opere della collezione attraverso percorsi specifici e tematizzati. Questa volta sarà esposta una serie di lavori realizzati nel corso degli anni Duemila da artisti di generazioni diverse – da Berlinde de Bruyckere a Yan Pei-Ming, da Gelitin a Latifa Echakhch – fornendo uno spaccato dinamico su alcuni dei più significativi linguaggi artistici esplorati nel corso dei primi venti anni del nuovo millennio. Infine, chiuderemo a ottobre con la seconda mostra del ciclo sulla materia, che ha inaugurato nel 2018 con la prima tappa dedicata al dialogo tra l’essenza della materia e le teorie della fisica moderna. Questo secondo appuntamento rivolgerà lo sguardo al lavoro di quegli autori che, in momenti diversi, hanno indagato le trasformazioni della materia traendo ispirazione dalla vita degli elementi per sviluppare una riflessione sulla realtà delle cose, sul mutamento e sul tempo. Si spazierà dai dipinti allegorici seicenteschi a opere dada e surrealiste, indicative dell’interesse di alcuni autori per il tema dell’alchimia, alle creazioni di alcuni tra i più importanti esponenti delle neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta, fino ad arrivare alle ricerche recenti di alcuni tra i più significativi artisti internazionali delle ultime generazioni.
Ci sarà spazio per l’arte italiana? Se sì, in che modo?
Sì, certamente. Il 13 febbraio, per esempio, come anticipato, inaugureremo la mostra di Antonio Rovaldi che abbiamo prima portato ad Harvard, grazie all’Italian Council, e che racconta New York dal punto di vista dei suoi margini. Rovaldi ha camminato lungo i cinque boroughs della città per esplorarne i bordi estremi. In occasione della mostra a Bergamo, una serie di nuovi lavori e altre azioni – tra laboratori, escursioni, esplorazioni, incontri e conferenze – prenderanno forma, come parte integrante del progetto, trasformando l’esperienza di New York in un modello per indagare, analizzare e discutere i confini delle nostre città, a partire da quella di Bergamo.
Un bilancio dell’anno che si è appena concluso?
Dopo la crescita del 2018, nel 2019 siamo migliorati ulteriormente: abbiamo affinato la nostra proposta, allargato la rete dei partner locali, nazionali e internazionali (vedi la collaborazione con Kunsthalle Tübingen e Louisiana Museum per la mostra di Birgit Jürgenssen), diversificato la programmazione con mostre e progetti rivolti a tipologie e fasce di pubblico differenti e così abbiamo fatto un passo ulteriore in avanti. Sono tre i dati che mi preme citare: i 52.000 visitatori della mostra di Jenny Holzer, l’incremento del 72% del numero di studenti e scuole, grazie soprattutto alla sinergia con il Comune di Bergamo per la mostra “Libera”, e la crescita esponenziale delle performance digitali, con un numero di utenti e interazioni in costante crescita. Dobbiamo invece fare ancora molto per avvicinarci al “sistema Milano”, attraverso partnership e convenzioni. Nel 2020 proveremo a concentrarci su questa partita.
Su quali risorse contate?
Contiamo innanzi tutto sui contributi dei nostri soci fondatori (quello del Comune di Bergamo a copertura dei costi di gestione ordinaria e quello di TenarisDalmine per le attività). A questi si sommano i contributi dei nostri sostenitori continuativi (Fondazione UBI, Gruppo Bonaldi e Carvico), mentre stiamo lavorando per l’ottenimento di altri contributi da privati sull’annualità 2020 (è già confermato, per esempio, il sostegno di Barcella Elettroforniture).
Un decennio si è appena concluso. Quale è la sfida che secondo te i Musei e le istituzioni culturali italiani devono affrontare nel prossimo decennio?
Due anni fa ti avrei risposto parlando della “svolta digitale”, di come i musei si trovino ad affrontare una sfida epocale in relazione a questa ormai non più nuova condizione del nostro tempo in cui il web è diventato uno spazio concreto, una condizione reale della nostra quotidianità, di cui ci sentiamo parte. Tutto questo segna inevitabilmente la produzione artistica e i suoi luoghi di esposizione, musei in primis. Come devono cambiare i musei in relazione a questa nuova condizione? È sicuramente un grande tema. Oggi però mi sento di dire che questa è solo una parte della sfida che i musei devono affrontare e che la prima battaglia è di tipo culturale. Si sta diffondendo l’idea che l’arte contemporanea sia una cosa “di privati”. Osserviamo le speculazioni del mercato e ci convinciamo che certi processi azzerino il valore culturale e civico dell’arte contemporanea. E allora “che se ne occupino i privati…”. Ma non possiamo cedere su questo punto in maniera ideologica. Il mercato ha le sue regole, che possiamo anche criticare, ma sulla libertà dei musei di potere agire, sperimentare, proporre e anche provocare attraverso l’arte di oggi, non possiamo avere dei dubbi. I musei devono potere portare avanti un’azione forte e trasparente per promuovere i più alti valori dell’arte e della creatività e per rendere l’arte sempre più aperta e popolare, senza rinunciare alla ricerca del nuovo, alla sperimentazione e alla critica.
Quali sono le esigenze del visitatore che il Museo deve cercare oggi di soddisfare?
La visita al museo deve essere un’esperienza. Multidisciplinare e multisensoriale. Sarà sempre più dura portare i visitatori nei musei soltanto per “studiare l’arte”, per cui dobbiamo fare in modo che la frequentazione del museo diventi un’esperienza allargata che comprenda anche l’intrattenimento senza esserlo e basta. Occorre lavorare su percorsi personalizzabili e sulla presenza di servizi. Occorre fare tutto questo senza considerarlo né il mero fine né un semplice mezzo. Gli obiettivi ultimi devono comunque restare la crescita culturale, lo sviluppo del pensiero critico e l’educazione a un’idea non univoca di bellezza.
E quali invece le problematiche del sistema dell’arte che oggi impattano sui musei?
Penso di avere in parte già risposto. Uno dei principali problemi di oggi è come rendere l’arte più popolare. Alla portata di tutti. Se il sistema non va in questa direzione il museo deve comunque rispettare la propria missione civica e provarci sempre, senza abdicare alle sue prime funzioni: studio, conservazione, ricerca, educazione…
–Santa Nastro
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