Contare una ad una le spine dei fili spinati. One by One, il progetto dell’artista Filippo Berta
Il progetto vede l’artista italiano viaggiare in quei Paesi in cui sono presenti fili spinati che separano popolazioni e demarcano confini, coinvolgendo le genti del posto in una performance corale contro la guerra
Parla di inclusione ma anche di separazione il progetto attualmente in progress di Filippo Berta (Treviglio, 1977) intitolato One by One, “una ad una”: ciò che si prefigge l’artista è l’impossibile obiettivo di contare ogni singola spina contenuta nei fili spinati di recinzioni che separano popoli e Paesi di diversi stati del mondo, coinvolgendo nell’impresa le popolazioni locali, coloro che subiscono effetti e conseguenze delle separazioni geopolitiche contemporanee. Slovenia, Croazia, Serbia, Ungheria, Grecia, Macedonia del Nord, Bulgaria e Turchia sono i Paesi finora visitati da Berta e dalla sua troupe, per un progetto che è stato premiato alla V Edizione dell’Italian Council, supportato da Nomas Foundation di Roma come ente promotore e dal GAMeC di Bergamo. Le singole performance di One by One, ovvero tutte le azioni di conteggio realizzate durante il progetto, confluiranno in un’unica videoinstallazione, con l’obiettivo di restituire il senso di coralità di popoli, culture, lingue di Paesi diversi, per un’opera inclusiva che riesce, con la sensibilità dell’arte, a oltrepassare il concetto di “barriera”. Al termine del progetto, One by One sarà una mostra itinerante che nel 2020 verrà presentata all’Università La Sapienza di Roma, poi in contemporanea alla Nomas Foundation e, grazie al sostegno di Ida Pisani, alla Prometeo Gallery di Milano. In questa intervista, Filippo Berta ci ha raccontato genesi e storie legate a One by One.
Quando e come nasce l’idea di One by One?
Il progetto “One by One” nasce nel 2015, quando sono rimasto emotivamente colpito dalle notizie riguardanti la costruzione di nuovi muri nei Balcani, eretti lungo i confini politici per bloccare il flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Siria. La mia ricerca artistica ha dato forza a questa mia suggestione, poiché si focalizza principalmente sulle diverse forme di dualismi e confini prodotti dalle tensioni individuali e sociali. Probabilmente questi due fattori, ovvero le incalzati notizie relative ai nuovi muri di confine in Europa orientale e il punto focale della mia urgenza artistica, sono stati l’impulso generativo di un pensiero, che si è sintetizzato nel tentativo impossibile di “contare ogni singola spina” di quelle barriere invalicabili. Ovviamente quel pensiero è diventato in breve tempo un’ossessione che mi ha spinto a visitare di persona quei luoghi già̀ nel 2016.
Quali sono stati i primi Paesi che hai visitato? C’è un episodio in particolare accaduto durante il tuo viaggio che ti ha colpito?
Ho fatto un piano di viaggio e tessuto una rete di contatti con volontari e attivisti presenti sulle frontiere di Croazia, Serbia e Ungheria. Non voglio dilungarmi nella descrizione del mio primo sopralluogo, ma ritengo interessante citare il momento più toccante di quel viaggio. Proprio l’ultimo giorno sono entrato in contatto con un’associazione di volontari attivi sul territorio ungherese, che ha permesso di ottenere l’accesso alla stazione di Zákány, un piccolo villaggio situato sul confine tra l’Ungheria e la Croazia. In quel luogo e per tutta la notte, sono arrivate carovane di pullman che trasportavano masse di migranti, che aspettavano di essere caricati sulle carrozze dei treni per essere letteralmente spediti in Germania. Un silenzio disarmante saturava la piccola stazione, e questo mi ha spinto a riprendere con la mia telecamera quella condizione surreale, vicina alla dimensione dell’incubo.
Hai così realizzato un video sull’esperienza da te vissuta?
Dopo qualche mese, quando ho rielaborato emotivamente le riprese, ho realizzato il video One way (2016), evitando di inserire inquadrature di facile drammaticità, che non rispettassero l’identità di quelle persone oppresse da un dramma che noi possiamo solo immaginare. Quest’anno il progetto One by One è stato premiato alla V Edizione dell’Italian Council, supportato da Nomas Foundation (Roma) come ente promotore e dal museo GAMeC (Bergamo) come Istituzione che accoglierà l’opera video. Ad oggi, io e la mia troupe abbiamo già realizzato le riprese e le interviste lungo i confini che separano Slovenia, Croazia, Serbia, Ungheria, Grecia, Macedonia del Nord, Bulgaria e Turchia.
Per raccontare la condizione geopolitica del mondo attuale come mai hai scelto di focalizzarti sulle spine dei fili metallici di recinzione? Che tipo di simbolo o di metafora rappresentano oggi?
Quando ti trovi dinanzi a un muro metallico colmo di spine, che riverbera i riflessi di luce che ciascuna spina scaglia prepotentemente nei tuoi occhi, il tuo stato d’animo è pervaso da una sensazione d’impotenza, e per un innato senso di autodifesa l’istinto è quello di tenere il tuo corpo a distanza di sicurezza da quel muro. A quel punto capisci come un ammasso di infinite piccole lame metalliche possa celare in sé tutta la forza arrogante che l’essere umano impone ai suoi simili. Immagina ora che, mossa da un senso di negazione verso quell’oggetto inumano, ti avvicini a quel muro per poter toccare una di quelle lame con un dito, cosciente che basterebbe aumentare di poco la pressione per farsi male. In quel momento si crea una relazione tra te e un piccolo corpo inanimato e pericoloso.
Come si concretizzano quindi queste tue impressioni e sensazioni in One by One?
Il progetto One by One si riassume in questa esperienza immaginaria che ti ho proposto, dove l’essere umano tocca sé stesso interagendo con ogni singola spina, ovvero tanti frammenti infinitamente piccoli che costituiscono lo stato irrisolto della natura umana. Il numero inesauribile di spine è l’elemento chiave del lavoro, perché si basa appunto su un conteggio impossibile, dove non si potrà mai trovare la “fine del confine”. Quindi, partendo da una geopolitica contemporanea, caratterizzata da un aumento esponenziale dei muri dal 1945 ad oggi (circa settanta sparsi in diversi continenti), l’intento del progetto è interagire con la concretezza delle frontiere invalicabili che dividono gli Stati, per poi riflettere sugli innumerevoli confini invisibili a cui siamo assoggettati, e che caratterizzano l’apparente ovvietà della nostra quotidianità.
Durante il tuo percorso/viaggio in diversi Paesi che tipo di reazioni hai riscontrato da parte delle popolazioni?
Le reazioni delle persone coinvolte nel progetto sono state molteplici, ma possono essere tutte rappresentate dallo stesso sguardo di sgomento che le caratterizzava quando si trovavano di fronte al muro di spine. Inoltre, molte di loro non erano mai state sul confine, perché è concesso avvicinarsi solo con dei permessi speciali. Di conseguenza, l’interazione con le singole spine ha causato differenti reazioni emotive, riassumibili nel pianto della signora Giuliana B., motivo per cui abbiamo più volte interrotto le riprese che stavamo facendo lungo il confine tra la Slovenia e la Croazia.
Quale tipo di reazione o atteggiamento hai riscontrato da parte delle forze dell’ordine che lavorano lungo muri e frontiere?
Lungo il confine tra la Macedonia del Nord e la Grecia, ci ha scortato un poliziotto di frontiera: durante un momento di pausa, mi ha confidato il disagio che prova nel respingere quotidianamente esseri umani in cerca d’aiuto e chiedendomi con quale criterio si possa misurare la disperazione di una persona e decidere di concedere o negare il passaggio del confine. Mentre pronunciava queste parole, un treno merci proseguiva lentamente la sua corsa lungo i binari adiacenti alla barriera spinata, e in quel momento abbiamo visto degli immigrati aggrappati alle carrozze. Subito dopo i nostri sguardi si sono incrociati e il poliziotto si è messo a fare il suo “dovere” con un sorriso ironico di rassegnazione.
Le reazioni da parte dei più giovani invece?
Una ragazza bulgara, Tanya T., ha accettato di partecipare come performer e mi ha confidato che in Bulgaria sta aumentando sempre più il controllo sull’espressione artistica. Un gruppo di cantanti lirici che conosce, ha avuto addirittura dal governo indicazioni in merito a quali testi possono essere cantati, per non mettere in discussione l’autorità dello Stato. A testimonianza di quanto da lei raccontato, il 13 settembre la Radio Nazionale Bulgara ha spento i ripetitori, con un’azione volta ad allontanare la giornalista Silvia Velikova, impedendo così una libera informazione.
Quali sono le tue impressioni a questo punto del tuo percorso? La tua prossima tappa sarà il Messico…
Per quanto riguarda l’esperienza strettamente personale, posso dire che con le persone coinvolte si è creato un rapporto emotivo profondo, e ovviamente sono rimasto in contatto con tutti. La loro ospitalità non era fine a se stessa, ma mossa dal loro interesse sul tema trattato del progetto in cui sono stati coinvolti. A riguardo non posso esimermi dal citare Branco, un contadino che ha coinvolto nella performance anche la sua piccola nipote e con il quale ho condiviso momenti di sana felicità a casa sua, ascoltando vecchie canzoni popolari che cantava accompagnandosi con la sua fisarmonica.
– Desirée Maida
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