La collezione di Michelangelo Consani, a Siena
Museo d’Inverno, Siena – fino al 21 dicembre 2019. Il Museo d'Inverno ha inaugurato la nuova stagione ospitando l'artista Michelangelo Consani, il quale, a sua volta, ha portato in mostra alcuni compagni di viaggio: artisti e amici che, a vario titolo, sono entrati a far parte della sua vita e collezione personale. In un dialogo tra pieni e vuoti, tra presenze e assenze.
Michelangelo Consani (Livorno, 1971) è l’artista scelto da Francesco Carone ed Eugenia Vanni, ideatori e direttori dal 2016 del senese Md’I – Museo d’Inverno, per accompagnare la nuova stagione di questo spazio intimo, incastonato sopra la trecentesca Fonte Nuova a Siena, nella Contrada della Lupa.
Una lunga storia di stratificazioni d’uso contraddistingue tale luogo che, prima di divenire sede espositiva temporanea, ha avuto varie funzioni. Un posto capace di narrare molto di sé e di noi: malleabile, naturalmente predisposto alla re-invenzione.
Dopo Maurizio Nannucci, Miltos Manetas, Piero Sartogo e Nathalie Grenon, Luca Pancrazzi, Luigi Presicce, Alfredo Pirri, Alessandra Spranzi, Riccardo Guarneri, è la volta di Michelangelo Consani, il quale ha selezionato per l’occasione quindici opere provenienti dalla sua collezione personale, o meglio, alcune arrivate, altre mai giunte in collezione, altre ancora in arrivo. Un nucleo accomunato da uno spirito di natura sociale e politica, ma anche il sunto del suo percorso di vita: costellato di incontri, di distacchi, di mancanze.
LA MOSTRA
La mostra al Md’I si apre proprio con la sala dell’assenza, ovvero con ciò che l’artista-collezionista non ha potuto avere. Qui Michelangelo Consani ha scelto di esporre un suo racconto formato manifesto, in cui narra del proprio rapporto con Emilio Prini, del quale è stato assistente: un legame travagliato, dicotomico nei continui alti e bassi, nella sequela di scontri verbali anche violenti.
L’essenzialità del foglio bianco con lettere rosse, della cornice vuota e della fotografia scolorita ci introducono dunque nel mondo di Consani, indicandoci anche la chiave di lettura di tutta la mostra. Al vuoto della prima sala corrispondono l’energia, il pieno della seconda: la sala della presenza, ovvero di ciò che il collezionista possiede. Qui il cromatismo del manifesto viene ribaltato. Una striscia rossa campeggia nello spazio, creando una linea d’orizzonte sulla parete bianca: è la presenza espositiva ma è anche indice della forte valenza politica e rivoluzionaria delle opere selezionate. La narrazione si apre con i lavori di Emanuele Becheri, Daniele Bacci, Cildo Meireles e Aníbal López. Campeggiano poi in sala opere in cui la parola prende forma come segno tipografico: sono i lavori di Deimantas Narkevicius, Rirkrit Tiravanija, di Erick Beltràn e soprattutto di Kendell Geers. Qui si afferma la necessità di una rivoluzione come rovesciamento dell’ordine prestabilito, come cambiamento: questa è l’opera che chiude idealmente il fil rouge della mostra, quello più politico. Al centro della narrazione sono poi inclusi Piero Gilardi, Ugo La Pietra, Michelangelo Pistoletto, Robert Pettena e Pascale Marthine Tayou. L’unica opera a uscire dallo spazio espositivo deputato, volutamente, è quella di Italo Zuffi, posizionata in alto, al di sopra del rosso.
LA LUPA DI DAVIDE RIVALTA
Il percorso termina con l’ambiente esterno: la terrazza è il terzo e ultimo spazio, quello di ciò che sta per arrivare, della lupa di Davide Rivalta che sta entrando dalla portafinestra del museo. L’opera, omaggio anche alla Contrada ospitante, è arrivata direttamente al Md’I dal laboratorio e quindi, tecnicamente, ancora non fa parte della collezione del Consani.
… Non ho fatto io la sedia il tavolo il foglio la penna con la quale scrivo si interroga sull’autorialità ma anche sul valore degli oggetti esposti: nello svelamento al pubblico delle opere private di Consani stanno l’uscita dall’anonimato e una nuova forza derivante dal dialogo che vi si instaura.
‒ Martina Marolda
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