L’uomo dello schermo. Marco Raparelli a Roma
Galleria Ex Elettrofonica, Roma ‒ fino al 13 dicembre 2019. Nuova personale di Marco Raparelli alla Galleria Ex Elettrofonica di Roma, con una serie di lavori sul selfie e sulla solitudine dell’uomo contemporaneo.
Il sistema di controllo che intorpidisce la società con grasse salsicce mediatiche consumate mediante schermi sempre più erotici e accattivanti è al centro di una brillante personale elaborata da Marco Raparelli (Roma, 1975) alla Galleria Ex Elettrofonica di Roma, dove tra l’altro sarà a breve presentato il suo nuovo libro, Human is a state of mind (edizioni Nero).
Con un titolo elegiaco e accattivante (Tutto quello che si muoveva intorno a noi era il vento), Raparelli mostra oggi il suo aspetto più maturo: quello di un artista che osserva la propria quotidianità e che ha la capacità di leggerla (di sabotarla) con una vena ironica e irriverente, aperta a una pluralità linguistica il cui specchio di interessi si nutre di tutti quei codici umbratili – il fumetto, la musica “leggera”, il graffito o la locuzione che deturpa il tessuto urbano – legati all’industria culturale come pure alle odierne estetiche contemporanee.
IL PAESE DELLA DISINFORMAZIONE
Concepito come un grande racconto sulla lobotomia a cui è stato sottoposto il mondo, il progetto ci accompagna, tra immagini e parole, nel gravemente appesantito paese della disinformazione planetaria. C’è la frase Protect me from what I want di Jenny Holzer o l’immagine di un ragazzo che ricorda tanto le scene apocalittiche costruite da Steve Cutts per la clip del brano Are You Lost in the World Like Me? dell’album di Moby These Systems Are Failing. Ci sono delle meravigliose sagome di legno (sulla maglietta di un bambino è presente il nome del gruppo musicale De La Soul). C’è un dittico significativo dove è presente un omino del 1977 che lancia una molotov e come specchio di paragone attuale lo stesso omino impegnato a consultare il proprio telefono, rapito dal social di turno o da una qualche fantasmagorica notiziuncola. (Non mancano le citazioni a ideologie ormai dimenticate o a gadget).
LA LOGICA DEL SELFIE
In una installazione a parete lo spettatore è finanche invitato a scattarsi un selfie: è presente infatti una pagina bianca su cui la scritta scenography for your selfie rimanda (grazie a una freccetta che è anche una frecciatina e una presa di posizione – Raparelli è un artista finemente impegnato) a una seconda frase capovolta e leggermente offuscata perché scritta sul retro del foglio con un pennarello: qui campeggiano le parole you look shit.
Quello che rapisce è, all’ingresso del percorso espositivo, un progetto scultoreo formato da otto teste palliniformi sospese nel vuoto che per rimbalzo riflessivo fanno pensare a un racconto di Gianni Rodari, e precisamente al paese degli uomini di gomma visitato da Giovannino Perdigiorno: “In testa, che ci avete? / – Aria, naturalmente. / – E come fate a pensare? / – Non pensiamo per niente. / – Ecco, volevo ben dire… / Il paese pareva bello, / ma la testa qui serve solo / per tenerci il cappello”.
‒ Antonello Tolve
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