Sperimentazione e poesia. La pittura di Mattia Moreni a Firenze
Galleria Il Ponte, Firenze ‒ fino al 10 gennaio 2020. Dalla sintesi astrattiva e informale degli Anni Cinquanta, passando per il ritorno al figurativo su toni erotici e carnali, fino all’amarezza della “regressione consapevole” e gli autoritratti. A venti anni dalla scomparsa, una mostra-omaggio ripercorre la carriera di Mattia Moreni.
Astrattismo, Espressionismo, Informale: tre linguaggi per l’epopea di Mattia Moreni (Pavia, 1920 ‒ Brisighella, 1999). Primitiva e selvaggia la natura fra gli Anni Cinquanta e Sessanta, una pennellata rapida ma pastosa, evocativa del genius loci dei campi e dei boschi, con una tavolozza dai colori scuri e di sapore nordeuropeo, da cui emergono la poesia e la malinconia della Bassa, così come l’hanno vissuta e raccontata Guareschi, Zavattini, Strand, Ligabue.
Una terra generosa e opulenta, quasi femminile, che è madre, matrona e matrigna, e a lei rimandano le pitture espressivamente ma sottilmente folli ed erotiche degli Anni Settanta. Una meravigliosa “giostra” cui però può strapparci l’alienazione moderna. Moreni intuì il futuro, immaginando le ripercussioni che un eccesso di tecnologia avrebbe avuto sull’arte e la società: Regressione della specie annovera dipinti che coniugano l’arte cinetica e l’esaltazione iconica dell’oggetto comune, in un caos felliniano che annulla l’individuo.
‒ Niccolò Lucarelli
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