Eros e vulnerabilità. I ritratti di Aleah Chapin
È una forma di amore inusuale quella ritratta dalla giovane Aleah Chapin, che si sofferma sui corpi nudi di donne anziane.
Eros, il piccolo grande dio dell’Amore che si diverte a svolazzare a sorpresa tra di noi, ha davvero molte frecce al suo arco. In quante occasioni differenti, molto differenti tra loro, si può parlare infatti della presenza di Amore? La pittrice americana Aleah Chapin (Seattle, 1986) ne ha scovato uno inusuale: forse tangenziale?
In pochi anni di attività, la giovane vanta già una carriera di rispetto, tra esposizioni e riconoscimenti da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Un esempio: nel 2012 è stata la prima artista donna americana ad aggiudicarsi il BP Portrait Award alla National Portrait Gallery di Londra, con un nudo di donna di mezza età intitolato Auntie. È in questo che Aleah Chapin si è specializzata, in verità: grandi dipinti a olio su tela con monumentali nudi di donne anziane, residenti nella sua zona nel nordovest dello Stato di Washington, che lei chiama tutte affettuosamente ‘aunties’. Le sue “ziette” sono a volte decisamente vecchie; i loro corpi, ripresi da immagini fotografiche e rappresentati in modi minuziosamente iperrealistici, portano evidenti i segni dell’età e magari le ingiurie dei malanni subiti (a volte persino amputazioni), tanto da suscitare alcune reazioni anche di rigetto tra il pubblico e la critica, quando li paragonano a rapporti medici anatomici.
Ma sarebbe davvero ingeneroso fermarsi a tali definizioni. Queste “streghe”, che spesso si abbandonano in gruppo, all’aperto, incuranti di temperature che sembrano basse, a ridenti sabba liberatori che evidentemente riscaldano loro il corpo oltre che l’anima, ebbene, possono viceversa sembrare una inusuale rappresentazione di grande bellezza. Molto affettuosa: non solo da parte dell’artista, ma anche perché testimonia forti legami ed effetti di affettuosità reciproca fra tutte le donne coinvolte.
PAROLA AD ALEAH CHAPIN
Ecco come Chapin spiega la sua missione: “Le persone che dipingo fanno parte della mia vita. Sono mia mamma, le mie zie, cugine, amiche, vecchie e nuove. Sono madri, scrittrici, ballerine, cantanti, imprenditrici, musiciste, fotografe, attiviste, pittrici, scultrici, scienziate, biologhe, impresarie funebri, allevatrici di capre, contabili, designer di gioielli, programmatrici, badanti, architette del paesaggio, astrologhe, fashion designer, attrici, registe. Sono tutto ciò e altro ancora. Queste persone incredibili mi hanno consegnato il dono della vulnerabilità. Hanno condiviso i loro cuori, anime e corpi in modo che tramite la pittura io possa tradurre ciò che vedo e provo in qualcosa che nessuno di noi è riuscito a fare da sé solo. Sono eternamente grata per tutto quanto mi hanno dato e continuano a darmi”.
Lasciamo pure perdere il virtuosismo tecnico, che in fondo fa parte di una precisa scuola statunitense, quella della New York Academy of Art dove l’artista ha studiato, o dei celebratissimi pittori realisti Andrew e James Wyeth, padre e figlio, già usi a mettere in diretta relazione di contiguità corpi umani con la selvaggia natura americana. Dai ritratti chapiniani si sprigionano piuttosto grande forza, resistenza, autoaccettazione, orgoglio e, specie in quelli multipli, immersi danzanti nella modesta wilderness della collina dietro casa, gioia panica di baccanti. C’è Eros, anche qui. Nel toccarsi reciproco, nel ridere insieme, nell’amarsi a vicenda per quel che si è e non per altro, in modi giocosi, disinteressati, dove la pratica di veri atti sessuali non è neppure richiesta. Tutte frecce tenere ma insieme brucianti, che colpiscono nel profondo.
‒ Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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