Il significato del serpente. Fiamma Montezemolo a Roma
Magazzino, Roma – fino al 31 gennaio 2020. La galleria romana ospita la mostra di Fiamma Montezemolo, in cui l’artista dipana alcuni nodi del nostro immaginario.
Ne Il rituale del serpente di Aby Warburg, la storia dell’arte è trattata come una concrezione di sotterranee tensioni psichiche che emergono in varie culture e forme espressive. Moti magmatici di sopravvivenza che percorrono l’atlante warburghiano, e che trovano nell’immagine del serpente una metafora della trasmigrazione dei simboli. Questo animale “mostra con il suo esempio come il corpo, abbandonata la pelle – sgusciando per così dire dal suo involucro corporeo ‒ possa nondimeno continuare a vivere. Il serpente può infilarsi nella terra e riemergerne”. L’incontro con esso può risolversi nella ricomposizione del dionisiaco e del perturbante.
È perciò significativo il titolo della mostra di Fiamma Montezemolo (Roma, 1971) da Magazzino, Entanglements: “groviglio”, come tra le spire di serpenti mitologici, ma anche “legame”, “interdipendenza”. In inglese esprime, come si legge nel testo introduttivo di Matteo Lucchetti, un “aggrovigliamento di temi, concetti e punti di vista che bene rappresenta la complessità contemporanea e la conseguente difficoltà di districarsi in grandi narrazioni collettive”.
IL SERPENTE
L’installazione ll Serpente (2019) nasce da una visita al museo torinese di antropologia criminale dedicato a Cesare Lombroso. Questi fu interprete di una concezione positivistica secondo cui i comportamenti devianti corrispondevano ad atavismi scientificamente catalogabili. Egli esaminava, inoltre, i tatuaggi: il disegno del serpente raccontava il legame del soggetto con la vita criminale “dai cui lacci non può sciogliersi”. Qui Montezemolo si porta all’incrocio fra antropologia e arte: tra luci proiettate da una cascata di teschi di Oaxaca, immagine delle vittime del colonialismo, un’animazione mostra il tatuaggio di un rettile aggrovigliato sulla pelle di un carcerato sciogliersi e librarsi trasformandosi in Quetzacoatl, il serpente piumato.
LE OPERE DI FIAMMA MONTEZEMOLO
Il rovesciamento dei significati è applicato anche a un’ipostatizzazione per eccellenza dell’oppressione, il carcere borbonico di Santo Stefano ispirato al panopticon di Jeremy Bentham. Ancora, sull’oggetto si intersecano mutamenti di segno: concepito per sostituire la formula educativa a quella punitiva, il panottico divenne invece, per Michel Foucault, figura del potere biopolitico che condiziona gli individui. Nell’installazione Progetto Perucatti (2018), però, al centro della struttura da cui l’occhio invisibile sorveglia i reclusi, appaiono cieli aperti, il mare, i paesaggi vagheggiati nelle lettere dei detenuti.
Il mare torna in Green White Red (Mediterranean Blue) (2018) che, con lo stesso meccanismo, fa collidere i termini tossici dell’identità nazionale e dell’immigrazione: al centro della bandiera italiana c’è il Mediterraneo, con il suo triplice significato: confine mortale, membrana di comunicazione, luogo di accoglienza. I lavori in mostra sono, dunque, collegati da una riappropriazione dell’eredità di cui sono latori, ribaltata e disinnescata per liberare il nostro immaginario dalla loro influenza.
‒ Mariasole Garacci
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