Allarme dal Pianeta Terra. 9 artisti che hanno risposto
La questione ambientale è sempre più centrale per il futuro del pianeta. E l'arte come risponde alla chiamata?
A dieci anni dalla COP15, la conferenza sui cambiamenti climatici che si tenne a Copenaghen e che è tristemente nota come la conferenza del disastro, partiamo proprio dal 2009 per ripercorrere un decennio di arte. Quell’arte che parla di ambiente e prova a raccontare la questione in tutta la sua urgenza.
‒ Maurita Cardone
JENS GALSCHIOT – SEVENMETERS – 2009
All’apertura della COP15 le aspettative sono altissime. Jens Galschiot riempie le strade di Copenaghen con opere della sua serie SevenMeters: una linea di luci rosse attraversa la città, a indicare dove sarebbe il livello del mare se il ghiaccio della Groenlandia si sciogliesse. E poi una serie di installazioni e sculture scioccanti e dal messaggio chiaro e forte.
CHRIS JORDAN – MIDWAY: MESSAGE FROM THE GYRE – 2009
Gli albatros di un remoto gruppo di isole nell’Oceano Pacifico scambiano per cibo la spazzatura che galleggia in mare e la danno in pasto ai propri piccoli, causandone la morte. Il fotografo americano Chris Jordan, noto per opere critiche sul consumismo, immortala con le sue immagini le carcasse degli uccelli, svelando le incredibili quantità di plastica nei loro stomaci.
GABRIEL OROZCO – SANDSTARS – 2012
L’artista messicano Gabriel Orozco porta al Guggenheim di New York 1.200 oggetti recuperati dalla spazzatura dell’Isla Arena, accompagnate da fotografie di grande formato di alcuni degli stessi oggetti ritratti in uno studio setting. L’opera invita a riflettere sul consumismo e la società dell’usa-e-getta.
ISAAC COORDAL – WAITING FOR CLIMATE CHANGE – 2012
Esposta alla Triennial of Contemporary Art by the Sea, in Belgio, la prima installazione della serie dello street artist spagnolo è un gruppo di omini in cemento che, appoggiati su pali di legno piantati nella sabbia, guardano l’oceano indossando un salvagente. Per l’installazione del 2013 a Nantes, Isaac Coordal immerge le sue figure nell’acqua del fossato dello Château des ducs de Bretagne.
NAZIHA MESTAOUI – ONE BEAT, ONE TREE – 2012
Presentato durante il Summit della Terra di Rio, il progetto di Naziha Mestaoui è un’esperienza artistica in cui il pubblico è invitato a piantare un seme di luce che si sviluppa in un albero, il quale a sua volta cresce al ritmo del battito cardiaco dello spettatore. Per ogni albero virtuale che nasce viene piantato un albero reale. Una variante dello stesso progetto, dal titolo One heart, One tree, è stata presentata durante la COP21 a Parigi.
OLAFUR ELIASSON – ICE WATCH – 2014
Durante la COP21 di Parigi, la gente si ferma a toccare e a interagire con i dodici blocchi di iceberg della Groenlandia che lentamente si sciolgono sulla piazza del Pantheon. La prima installazione dell’opera era stata a Copenaghen, mentre già nel 2006 Olafur Eliasson aveva usato il ghiaccio con lo stesso messaggio in Your waste of time.
AGNES DENES – LIVING PYRAMID – 2015
Figura ricorrente nell’opera di Agnes Denes, la piramide installata al Socrates Sculpture Park di Queens, New York, è composta da terra e erba ed è la prima grande opera pubblica realizzata in città dall’artista dopo l’iconico lavoro del 1982 Wheatfield – A Confrontation, in cui l’artista coltivò spighe di grano sulla punta meridionale dell’isola di Manhattan.
JOHN GERRARD – WESTERN FLAG (SPINDLETOP, TEXAS) – 2017
L’opera è una simulazione digitale che raffigura il Lucas Gusher, il sito in cui, nel 1901, fu scoperto il primo grande giacimento di petrolio al mondo, oggi esausto. John Gerrard posiziona al centro dello spazio un pennone con una bandiera di fumo nero che si rinnova continuamente. L’opera è stata esposta davanti all Somerset House di Londra e, l’inverno scorso, nella Coachella Valley per la rassegna Desert X.
SUPERFLUX – MITIGATION OF SHOCK – 2019
Attraverso la ricostruzione di un ipotetico appartamento londinese del 2050, lo studio anglo-indiano Superflux immagina un futuro in cui la vita dell’uomo si sarà dovuta adattare ai cambiamenti climatici, alla scarsezza delle risorse e a eventi estremi. E tutti dovranno provvedere alla propria sopravvivenza con l’autoproduzione.
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #52
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