Che cosa possiamo fare? Se lo chiede Helen Cammock, in mostra a Reggio Emilia
Collezione Maramotti, Reggio Emilia – fino all’8 marzo 2020. “Che si può fare” è il quesito che si pone l’artista multimediale, vincitrice del Max Mara Art Prize for Women e Turner Prize 2019, Helen Cammock, in mostra presso la Collezione Maramotti.
Settima vincitrice del Max Mara Art Prize for Women, Helen Cammock (Staffordshire, 1970) è protagonista di Che si può fare, presso la Collezione Maramotti di Reggio Emilia.
L’artista esplora, con elegante profondità e delicatezza, il concetto del lamento nella vita delle donne. La mostra, organizzata da Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti, propone un collage multimediale, realizzato dalla Cammock durante la sua residenza d’artista in Italia nel 2018.
LA STORIA DI HELEN CAMMOCK
Helen Cammock si laurea in Sociologia nel 1992 e per un decennio si dedica ai servizi sociali a Brighton. La profonda empatia e sensibilità umana che la contraddistinguono trovano espressione all’interno della pratica artistica solo nel 2008, anno della laurea in fotografia, affinandosi ulteriormente con il Master in Fotografia al Royal College of Art nel 2011.
L’ascesa al successo è rapida: nel 2018 vince il Max Mara Art Prize for Women, che sostiene artiste residenti e operanti in Gran Bretagna, offrendo una residenza di sei mesi su misura in Italia, seguita da mostre alla Whitechapel Gallery di Londra e alla Collezione Maramotti ‒ il museo di Reggio Emilia istituito dal fondatore di Max Mara, Achille Maramotti.
Cammock trascorre pertanto gran parte del 2018 a Firenze, Roma, Palermo, Bologna, Venezia e Reggio Emilia. Durante questo periodo può focalizzarsi sulla creazione dell’opera Che si può fare, sostando in ottobre a Roma, presso l’Istituto Centrale della Grafica, per realizzare le stampe e il libro a mano che la completano. Nel 2019 l’artista vince il Turner Prize, assegnato ex aequo a quattro artisti.
LA MOSTRA A REGGIO EMILIA
Il linguaggio multimediale di Cammock è fortemente influenzato dalla musica, utilizzata come mezzo espressivo di riflessione e ricerca storica, che scava nell’opera di Nina Simone e Alice Coltrane, approdando alla seicentesca musica preoperistica italiana. Che si può fare si ispira al titolo di un’aria del 1664 composta da Barbara Strozzi, canto che Cammock decide di apprendere personalmente.
La mostra si snoda attraverso un percorso espositivo di quattro sale. Un video in tre parti accoglie il visitatore, comunicando, con disarmante pulizia e apparente semplicità compositiva, il cuore del progetto. Immagini, musica barocca e performance si intrecciano alle toccanti interviste ad alcune delle donne incontrate durante le tappe del viaggio italiano.
Figure come Letizia Battaglia, una suora, attiviste sociali, migranti e rifugiate affrontano le tematiche della resistenza e dell’oppressione femminile, che la Cammock propone attingendo dall’esperienza professionale e personale. Una serie di cinque incisioni su vinile e un fregio serigrafato continuano la riflessione artistica, con riferimenti narrativi di carattere storico-geografico. L’analisi è completata dal catalogo, che include racconti, testi e un vinile con la registrazione dell’aria di Strozzi cantata da Cammock.
‒ Elena Arzani
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