L’Italia vista dagli artisti contemporanei al MAXXI di Roma
Al MAXXI di Roma tredici artisti premiati dall’Italian Council dicono la loro sul tempo presente. Evidenziando una serie di punti in comune.
Ritratto di un Paese, di una generazione di artisti oppure di un’impasse socio-culturale senza precedenti? La mostra, a cura di Eleonora Farina e Matteo Piccioni, presenta tredici degli artisti premiati dall’Italian Council nel programma dedicato alla Creatività Contemporanea dal MiBACT ‒ Alterazioni Video, Yuri Ancarani, Giorgio Andreotta Calò, Leone Contini, Danilo Correale, Nicolò Degiorgis, Flavio Favelli, Anna Franceschini, Eva Frapiccini, Alice Gosti, Margherita Moscardini, Luca Trevisani, Patrick Tuttofuoco. Cosa li accomuna? Visti in generale, una visione critica della società oggi. Un elemento comune è forse la presenza continua dell’edilizia. Il mattone, o piuttosto il cemento, sono gli elementi su cui è cresciuta e vive la società italiana dall’epoca del boom economico. Forse è la presenza significativa di Alterazioni Video, ma l’impressione di fondo è quella di un insieme di analisi che partono dal dato urbano, dalla costruzione del presente e dai suoi residui storici. Residui storici sono per esempio il lavoro di Leone Contini sui frammenti ‒ fra cui si è perso un raro manufatto cinese durante i bombardamenti dell’ultima guerra ‒ che fecero a pezzi una sezione del Castello Sforzesco. La ricerca è con ogni evidenza impossibile. Dove era il padiglione resta solo una montagnola ricoperta d’erba in cui è ormai impossibile scavare. La scultura in ceramica rappresentava il Demone del Male. Come ricostruirlo? La risposta è tutt’intorno a noi. Guerre, antagonismi, intolleranze. Ci siamo immersi come il pezzo di ceramica nelle macerie del padiglione.
ALTERAZIONI VIDEO ED EVA FRAPICCINI
In quello che è forse il miglior lavoro del gruppo Alterazioni Video, Incompiuto: la nascita dello stile, la dimensione delle opere di edilizia pubbliche non finite prende toni monumentali, metafisici, senza perdere la durezza del messaggio. La devastazione degli equilibri ambientali-ecologici-paesaggistici che ha accompagnato lo sviluppo in Italia di un modernismo da rapina in questi ultimi cinquant’anni ne risulta con grande chiarezza. Sono immagini stranamente “belle” che aprono a paesaggi assurdi, come se la terra fosse un pianeta abbandonato riscoperto però da astronauti terrestri. Immensi piloni che non sostengono alcuna strada, gallerie che emergono su pianure deserte, monoliti di cui non sapremo mai la reale funzione. Un aspetto alla Ciprì e Maresco emerge dietro le immagini monumentali e drammatiche come nel video su una Piscina Olimpionica dove uno scelto gruppo di minoranze etniche fa ginnastica ritmica nello sfacelo del non finito. Questo aspetto di humor disperato e paradossale si farà più evidente nella serie dei corti Turbofilm, su cui il gruppo sta lavorando. Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima, dice il lavoro di Eva Frapiccini, intrigante “schedario poliziesco” in cui si collocano i segni delle eterne ricerche sulle mafie fatto di frammenti di rapporti polizieschi, fogli a volte semi cancellati, titoli di giornale, tutto il materiale che si intreccia fra investigazioni, tribunali, polizie, stampa. E si contano i tanti caduti di questa guerra senza fine uccisi con i sistemi spietati della mafia. Una massa enorme di materiali che si accumulano negli archivi come le scoperte di Indiana Jones nei depositi dello Stato, mentre nel frattempo le mafie, loro, sono partite alla conquista dello Stivale.
YURI ANCARANI E LUCA TREVISANI
Yuri Ancarani in San Vittore usa il linguaggio che gli è più congeniale, asciutto, duro, dove le immagini si incastrano come pietre nel selciato. Un linguaggio che economizza gli effetti, limita le suggestioni e per questo ne crea di più forti, con un’ideale affinità psicologica per gli spazi angusti, le mura inamovibili, i percorsi sbarrati. Neanche i disegni dei bambini (figli dei carcerati e impegnati in attività di animazione) escono dalle mura. Il carcere, come in altri suoi lavori sullo stadio o il sottomarino, sintetizza la solitudine come uno stato di claustrofobia psicologica, uno stato reso concreto dalle modalità sociali.
Tutto all’opposto si colloca Luca Trevisani con un lavoro da “realismo magico”, DREAM REPUBLIC, creato nel contesto di un più vasto progetto sul poeta Raymond Roussel. La stanza numero 224 del Grand Hotel et Des Palmes è la stanza dove Roussel dormiva e dove è morto nel 1933, un mistero mai risolto. Artisti e autori internazionali sono stati invitati a dormire nella stanza e li vediamo in foto e video al ralenti immersi in una luce violacea, nelle posizioni semplici e indifese del sonno. Attraverso il sonno, e di conseguenza i sogni, si crea un legame psicologico con l’autore (molto amato dai surrealisti), una forma di contatto da medium con il poeta morto ma trasportato nel campo delle percezioni che sono proprie della cultura.
I TRATTI IN COMUNE
Gli artisti in mostra sono accomunati dai linguaggi scabri e minimali che oggi sembrano gli unici adatti a configurare la realtà: il video, la fotografia, l’installazione e la presenza di frammenti e oggetti del reale. Non sono più gli oggetti preindustriali con cui Jannis Kounellis resuscitava il suo passato e il passato di tutti. Sono oggetti minimali, trascurabili, immagini antiestetiche che reclamano un loro status estetico: Slavoj Žižek parla di “trash sublime”, forse una definizione giusta per definire questo “Espressionismo Neo Concettuale” che in questo momento ci permette di leggere una realtà in stato di sconvolgimento permanente.
‒ Lorenzo Taiuti
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