La poesia dell’antico nelle opere di Sara Lovari. Al MANN di Napoli
MANN, Napoli – fino al 9 marzo 2020. Sara Lovari è protagonista della mostra allestita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli nell’ambito della rassegna “Thalassa – Meraviglie sommerse dal Mediterraneo”.
In occasione della mostra Thalassa – Meraviglie sommerse dal Mediterraneo, in corso al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Sara Lovari (Bibbiena, 1979) propone A pesca di Vita, la personale allestita nella sala 95, adiacente al Plastico di Pompei. Reduce dall’ultima edizione di Art Miami con la galleria Barbara Paci di Pietrasanta e Milano, I lavoratori del mare, Saper amare, Il ritorno, Grandi vite di gente semplice e Desiderio sono solo alcuni titoli che articolano la sua produzione artistica, in particolare la collezione Libri. Un mondo fatto di ‘parole di carta’ e antichi scrigni scovati in chissà quali mercatini di antiquariato, visitati durante i suoi viaggi.
La cifra artistica di Sara Lovari è un racconto nel racconto, di incontri e di partenze, dove a muovere tutto è la poetica dei materiali scelti dettati dalla sensibilità del momento e dall’oggetto scelto. “Con le mie opere provo a descrivere l’emozione che avverto nel creare”, ci racconta Lovari, che abbiamo incontrato in occasione del progetto site specific, per la prima volta a Napoli. “Provo a trasmettere qualcosa che rimanga, che può essere differente da quello che ho provato io, ma l’importante è lasciare un messaggio e già le parole sono qualcosa di potente e diretto”.
Quando hai capito che forse il mondo dell’arte ti apparteneva?
Ho sempre disegnato divertendomi a fare le caricature di amici e parenti, ma il sogno di diventare un’artista era chiuso nel cassetto da tempo. Dopo la laurea in Economia e Gestione delle Imprese Turistiche a Firenze, ho deciso che la mia vita sarebbe continuata da artista. Mi sono avvicinata ai colori e alla tela nel 2007 per poi passare alla materia con applicazioni di giornale, carta pesta e quindi alla scultura di carta e cartone. Poi sono arrivate le installazioni di arte povera con interventi in ferro e corda. Nel 2014, con il cartone a rotolo, ho realizzato una camicia a grandezza naturale e quando l’ho vista alla Triennale di Milano, illuminata, ho provato una forte emozione e da lì ho capito che sarebbe stata una strada difficile e lunga, ma la mia!
Libri è un progetto contemporaneo che parla del passato attraverso materiali d’epoca e pagine antiche, come nasce la collezione?
Bruciando la carta e maneggiandola, ho capito sempre di più il suo valore, infatti più è antica e più conserva un corpo e un’anima particolari. Quando la brucio sento nel suo odore il racconto della sua storia e del luogo in cui è stata conservata: sa di legno, di borotalco, di stoffa, di profumi, di muffa e di vino. Sulla carta sono impresse parole poco utilizzate nel linguaggio comune, frasi divertenti, foto e oggetti. Ogni pezzo è una storia, una vita.
In particolare cosa ti ispira e quali sono i tempi di realizzazione di un’opera?
In primo luogo la scelta del libro arriva dal titolo, perché ne descrive a pieno il contenuto, che poi elaboro in un secondo momento assemblando corde, chiavi, interruttori e altri oggetti. Per una serie di connessioni, gli oggetti ‘chiamano’ il libro, e nasce ‘il cassetto che contiene i segreti’. Per realizzare un’opera non ho un tempo preciso: posso pensarla due mesi e realizzarla in pochi minuti, oppure pensarla in un’ora e impiegare mesi per completarla. In genere le idee mi vengono sempre quando sono in viaggio.
C’è un lavoro a cui sei particolarmente legata? E perché?
Sono molto legata a Labirinto. Si tratta di un tabernacolo originale dipinto a mano che contiene il libro dal titolo omonimo, e alla cui base c’è un labirinto fatto con pezzi di specchio. L’idea è nata quando ho pensato che nella vita fare delle scelte è sempre una cosa difficile ma alla fine, come in un labirinto, solo prendendo decisioni durante il cammino si trova la via d’uscita, guardando dentro se stessi. Da qui la scelta dello specchio, perché, anche dopo alcune difficoltà, la retta via si trova.
Ti occupi anche di realizzare scenografie per il cinema e il teatro. Qual è stato il progetto più interessante?
Ogni esperienza è così diversa e ricca che tutte sono state speciali, dai cortometraggi al teatro, ma il progetto che mi è rimasto più impresso è il cortometraggio Caramelle alla menta, girato nei Videa Studios di Roma. Ambientato in un carcere, racconta la storia di un padre che, grazie alla forza della figlia piccola che lo aspetta fuori, conta i giorni per uscire e così ho ricreato la cella con i disegni della piccola. Pochi oggetti, libri, coperte e caramelle.
Raccontaci della mostra A pesca di Vita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Ho presentato il progetto A pesca di Vita sulla base della mostra Thalassa in corso al MANN. Infatti, attraverso le parole usate nell’installazione, descrivo sia gli aspetti più intimi delle mie produzioni, dalle emozioni ai vari elementi, sia quello che appunto racconta la mostra principale in merito ai naviganti del passato e alle loro scoperte. L’installazione consiste in tre ancore in ferro battuto realmente impiegate in mare, appese a più di sei metri di altezza che, come ami da pesca sospesi sopra un ‘mare’ fatto di parole, ne pescano tre in particolare: Terra, Vita e Storia. La mia è arte povera per spiegare l’importanza delle parole.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Oltre al fatto che la mostra al Museo Archeologico di Napoli avrà un seguito altrove, ho da poco inaugurato la personale Regine di carta presso il Museo della Fraternita dei Laici di Arezzo, a cura di Marco Botti e Laura Davitti. Ho diverse cose in cantiere: nei prossimi mesi definirò un progetto di poesia visiva a quattro mani con il paroliere e pittore Alfredo Rapetti Mogol in arte Cheope, a maggio invece un’installazione nel bagno riturale dell’ex sinagoga di Monte San Savino e poi un altro progetto da definire con il Comune di Cortona.
‒ Fabio Pariante
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