Il processo creativo di Yona Friedman svelato a Milano

Galleria Francesca Minini, Milano – fino al 14 marzo 2020. La ricostruzione dello studio di Yona Friedman, recentemente scomparso, spiega le fasi creative che hanno portato l’architetto a strutturare la sua idea di spazio abitativo, lontana da quella di molte archistar odierne. Tra maquette primitive e moduli adattabili alle esigenze delle collettività, il pubblico è invitato alla scoperta di questo lungo e profondo processo nel suo luogo più intimo e personale.

L’azzurro delle pareti, i disegni attaccati a esse e l’aura mistica che pervade la galleria è lo stesso scenario che si propone all’interno dello studio parigino di Yona Friedman (Budapest, 1923 ‒ Parigi, 2020) in cui risulta chiara la volontà di far capire la polivalenza degli studi sociali che hanno accompagnato la carriera del famoso architetto. Alle pareti della stanza principale troviamo degli slide show composti da fotocopie di disegni dal tratto semplice e primitivo, che raccontano di fluidità, rapporto e differenze con gli animali ma soprattutto la storia degli spostamenti umani riferendosi all’epoca greco-romana, caratterizzata dal nomadismo; è infatti a queste relazioni tra mondo umano, animale e ambientale che Friedman dedica una grande attenzione per la sua ricerca, individuando le necessità che hanno portato l’uomo a creare l’architettura dell’odierno tessuto urbano.
Un tassello importante di questa ricostruzione è il pavimento della galleria, che accoglie un grande alfabeto visivo, altro punto focale degli sviluppi creativi dell’artista, che preferisce ragionare per immagini dato l’avanzamento sempre più preponderante di una cultura di stampo visivo. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la presenza del suo stretto collaboratore Jean-Baptiste Dècavel, che per tutto l’allestimento ha coordinato la composizione di questo puzzle semiotico, fatto con vernici a lunga durata per dimostrare come il passaggio di una comunità modifichi costantemente uno spazio.

Yona Friedman. Sculpting the void. Installation view at Francesca Minini, Milano 2020. Courtesy Yona Friedman, Fonds de Dotation Denise et Yona Friedman, Jean-Baptiste Decavèle, Francesca Minini. Photo credit Alessandro Zambianchi

Yona Friedman. Sculpting the void. Installation view at Francesca Minini, Milano 2020. Courtesy Yona Friedman, Fonds de Dotation Denise et Yona Friedman, Jean-Baptiste Decavèle, Francesca Minini. Photo credit Alessandro Zambianchi

ARCHITETTURA COME SPAZIO DA OCCUPARE

Friedman era chiaro nelle sue posizioni, l’architettura non è solo uno spazio che occupa un luogo ma a sua volta è spazio da occupare, ed è proprio qui che entra in gioco la sua visione architettonica sociale: gli spazi devono essere composti da moduli capaci di adattarsi a funzioni che l’uomo decide in base alle proprie esigenze. Nella seconda sala della galleria troviamo i modellini di questi moduli abitativi creati principalmente con materiali di riciclo provenienti dalle zone per cui vengono costruiti.
Anche la vetrata della galleria diventa opera ‒ eseguita utilizzando sacchetti di plastica colorata – e la luce che l’attraversa accompagna questa riflessione sulla necessità di adattamento dell’uomo, compromessa dalla contaminazione e dalla sovrapproduzione senza controllo. La mostra si conclude nell’ufficio dove una serie di unicorni (anch’essi riciclati) dal titolo Les manifestation des Licornes (l’Argent) vuole rappresentare la perfetta coesione tra regno animale e umano; da loro infatti giungono i moniti per un futuro migliore: meno produzione, più coesione.

Lucrezia Arrigoni

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Lucrezia Arrigoni

Lucrezia Arrigoni

Nasce a Vigevano nel 1994. Attualmente studia Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA di Milano, precedentemente ha frequentato il corso di Comunicazione e Didattica dell'Arte all'Accademia di Brera diplomandosi nel 2018 con una tesi dedicata all'arte Cinetica con un…

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