L’arte fuori dalle rotte battute. L’esempio di #artOff, sull’Appennino emiliano

Siamo in provincia di Bologna, a Castiglione dei Pepoli, dove per il suo terzo anno si svolge #artOff ‒ Arte contemporanea in Appennino. Abbiamo parlato con Federica Fiumelli, direttrice artistico del progetto. Il programma naturalmente è sospeso, data l'emergenza sanitaria. Ma proprio l'attuale situazione invita a riflettere sul valore di esperienze portate avanti in luoghi così apparentemente remoti.

Sappiamo bene che il cosiddetto sistema dell’arte contemporanea si basa su regole non scritte, ma chiaramente codificate e che contribuiscono ad alimentare l’intricata rete di relazioni composta da artisti, curatori, galleristi, collezionisti, direttori di musei, giornalisti e critici d’arte. In questo mondo essere un insider vuol dire prima di tutto farne parte, esserci in tutto e per tutto e con tutti i mezzi a propria disposizione. Questo è un universo talmente ampio e variegato, fatto principalmente da professionisti del settore che, dopo gli studi, la pratica (non o poco retribuita) e tanta gavetta, sono riusciti a ritagliarsi con soddisfazione uno spazio importante all’interno di gallerie, musei, istituzioni e fondazioni d’arte.
Ma, come in ogni ambito che si rispetti, anche in questo caso non mancano quelli che per fato o per fortuna riescono a far parte (trasversalmente o a tutti gli effetti) del sistema, salendo semplicemente sul carro del vincitore o ammiccando a questo o a quell’altro artista in linea con i gusti e le tendenze del momento, dettate un po’ dal mercato, dal networking e un po’ dall’oramai seducente e patinata pratica da social media e instagrammer applicata al mondo dell’arte.
Per fortuna ci sono tanti operatori del settore e curatori resilienti che contestano laboriosamente questo genere di tendenze virtuali, cercando di perseguire obiettivi reali facendo propriamente scouting, partendo dalle accademie o supportando con mostre, articoli, bandi, finanziamenti e collaborazioni gli artisti nei quali credono. Gli anni di formazione, lavoro e ricerca, anche in ambito curatoriale, sono quelli più difficili, quelli fatti di innumerevoli sfide, collaborazioni e progetti, molti dei quali non vedranno mai la luce.

ARTE SUL CAMPO

Ci sono momenti di sperimentazione e condivisione di linguaggi con giovani artisti e curatori, e altri relativi alla ricerca di una pratica da condurre, di una linea etica, tematica e stilistica da studiare, conoscere, approfondire e perseguire nel tempo, anche senza essere retribuiti per le ore passate su determinate letture, per gli innumerevoli studio visit, le giornate passate a scrivere, gli incontri, gli opening e le mostre consumate in giro per il mondo. Al di fuori delle logiche del sistema, fonte di grande interesse sono le programmazioni degli artist run space, delle gallerie, delle riviste e dei project space indipendenti pensati nelle città di provincia, nelle chiese sconsacrate, nelle botteghe, nelle abitazioni private, nelle periferie industriali e nelle città dove non esiste un circuito dell’arte. Ben venga allora chi continua a mettersi in gioco, chi continua a rischiare sporcandosi le mani con nobiltà, ingegno, curiosità e coraggio per tenere alta l’attenzione sull’operato della curatela militante, legata soprattutto e in un certo qual mondo a doppio filo con la poetica dell’artista, rispettando prima di tutto il rapporto umano. Tra le numerose e valide realtà in giro per l’Italia oggi vi raccontiamo, a tre anni dalla sua fondazione, #artOff il progetto curatoriale di Federica Fiumelli a Castiglione dei Pepoli.

Federica Fiumelli, Officina 15. Photo Lorenzo Stefanini

Federica Fiumelli, Officina 15. Photo Lorenzo Stefanini

L’INTERVISTA A FEDERICA FIUMELLI

A Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna, va in scena da tre anni #artOff, progetto curatoriale dedicato ai giovani artisti e creato all’interno dell’associazione culturale Officina15. Come nasce il progetto?
#artOff è un progetto che è nato all’inizio del 2017 all’interno dell’Associazione culturale Officina 15 in seguito a un’urgenza che abbiamo avuto noi ragazzi del team. Credo e crediamo fortemente che la nostra ubicazione non debba essere un deficit ma anzi una risorsa e uno stimolo continuo per aprire il nostro territorio, quello dell’Appennino, ai linguaggi molteplici dell’arte contemporanea.

Quali sono i suoi intenti?
#artOff nasce soprattutto dalla voglia di abbattere falsi miti: quello che l’arte possa trovare posto più facilmente nei centri con maggiore densità di popolazione, e quello da parte dei fruitori non facenti parte del sistema che l’arte sia complicata e oggetto di discussione per pochi eletti, bandendola così a elemento elitario.

Quali le metodologie?
La mia sfida (folle) e più grande è quella di sensibilizzare ed educare maggiormente lo sguardo delle persone che abitano questo territorio, dai nonni ai nipoti, un luogo palesemente difficile viste le migrazioni massicce verso la città anche da parte dei giovani (sia per motivi lavorativi che di studio). #artOff inoltre nasce per creare un’occasione di scambio e sperimentazione con giovani artisti, spesso faccio scouting tra gli studenti dell’Accademia, o con artisti che non lavorano con gallerie o che non hanno grossi vincoli rispetto a esse. Mi piace che il progetto nasca senza alcuna logica o tendenza di mercato o sistema. Credo fortemente che #artOff sia un progetto di “resistenza”.

Come ti trovi a lavorare in un team cosi variegato?
Da tre anni ormai ricopro la veste di direttore artistico del progetto ma debbo ringraziare tutti i ragazzi dell’associazione. Il nostro team costituito da fotografi, grafici, artisti, docenti, programmatori web, musicisti, bar tender permette che ogni aspetto della realizzazione di una mostra sia curato: dall’impaginazione del foglio di sala all’allestimento all’organizzazione di un party post opening.

Nei due anni precedenti quali sono stati i progetti artistici e le tematiche che hai sviluppato intorno al concept di #artOff?
I progetti artistici sono stati numerosi e molto eccitanti, tutti con l’intento di godere di un’occasione di sperimentazione e conoscenza di un territorio sì distante dai centri cittadini ma allo stesso tempo logisticamente ottimo (da notare la vicinanza di città come Bologna, Prato e Firenze) ‒ un luogo quindi contraddittorio. Devo comunque ringraziare soprattutto gli artisti e la loro disponibilità a mettersi in gioco, ad esempio abbiamo ospitato Irene Fenara pochi giorni prima del suo debutto nella mostra collettiva That’s it al MAMbo di Bologna a cura di Lorenzo Balbi. La fiducia che mi danno gli artisti è fondamentale.

Oreste Baccolini, Le misure dell'urlo di Munch, Officina 15 2017. Courtesy l’artista

Oreste Baccolini, Le misure dell’urlo di Munch, Officina 15 2017. Courtesy l’artista

Lavorando in provincia e all’interno di un territorio che ha poca dimestichezza con il sistema dell’arte contemporanea, in che modo riesci a creare attenzione e a costruire una serie di relazioni importanti per alimentare l’interesse a favore degli artisti in mostra?
Credo che oggi un aspetto più che mai fondamentale sia la comunicazione. È anche per questo che ho integrato alla mia formazione critico teorica in didattica e comunicazione dell’arte master e corsi su ufficio stampa e marketing per la cultura.

Oggi quanto è importante il digitale per il networking?
Condividere post, stories, curare i profili social e lavorare sodo anche sulla parte inerente all’ufficio stampa è imprescindibile, soprattutto per chi come noi si ritrova ubicato fuori dai centri ‒ il digitale permette di creare molti contatti e di fare rete. Il digitale a tutti gli effetti è da considerarsi uno spazio espositivo ‒ è anche in questo modo che ho potuto iniziare nuove collaborazioni con altri colleghi; due dei prossimi mi vedono come una dei curatori selezionati per la seconda edizione di Maratona di visione online ‒ a cura di Alberto Ceresoli ‒ e a giugno come giurata/curatrice di Centrale Festival a Fano su invito del curatore Luca Panaro.

Chi sono stati i protagonisti dell’ultima edizione?
Il 2019 si è concluso con un dialogo tra l’artista Matteo Messori e il designer Matteo Giannerini, una mostra che è andata molto bene, anche dal punto di vista del pubblico del nostro territorio. Avevamo cominciato con Ondate/Waves, call internazionale di mail art curata e ideata dall’artista e docente Simone Miccichè (che fa parte del team di Officina 15) insieme all’artista e curatore newyorkese Paul D’Agostino ‒ un progetto itinerante che ha trovato casa anche nella vicina Riola a Spazio Omniae, studio dell’artista Massimiliano Usai (anche lui uno degli ospiti di #artOff) e a Berlino ‒ e che continuerà in tappe ancora da definire.

Chi altro ancora?
È stata poi la volta di Alessandra Brown, artista molto interessante che ho scoperto in Accademia, come Matilde Baglivo e la sua pittura totalmente avulsa dal tempo. Abbiamo lavorato anche con artisti più grandi, di diversa generazione, come Alessandra Neri e Roberto Dapoto che non sono attualmente legati a gallerie e stanno sviluppando una ricerca fotografica molto personale e intima.

Alchemy in blue, Matteo Messori e Matteo Giannerini, 2019, Officina 15. Photo Lorenzo Stefanini

Alchemy in blue, Matteo Messori e Matteo Giannerini, 2019, Officina 15. Photo Lorenzo Stefanini

Come sarà questo 2020?
Siamo già in contatto con diversi artisti, cerchiamo solo di capire come meglio incastrarci con le varie tempistiche. Non escludo di poter lavorare nuovamente con artisti che sono già stati ospiti a Officina 15 all’insegna di un nuovo progetto che vede coinvolta la Sala della Terra (sempre a Castiglione dei Pepoli e proprio sopra i locali di Officina 15, all’interno del Centro di Cultura Paolo Guidotti), un percorso espositivo che riunisce reperti mineralogici e paleontologici (fossili) raccolti in oltre trent’anni di ricerca nell’area compresa tra Castiglione dei Pepoli, Camugnano e Grizzana Morandi.

Solitamente proponi dei progetti site specific? O cerchi di creare un concept dedicato a un corpus di opere già esistenti?
In occasione di manifestazioni come Lagolandia o la neonata Via della Lana e della Seta mi è capitato di poter proporre progetti site specific in spazi naturali ‒ installazioni a bordo lago o performance nel giardino adiacente ai nostri spazi. Nel primo caso al Lago di Santa Maria con l’installazione di Costanza Battaglini, nel secondo con la performance Potendo possedere di Agata Torelli, entrambe conosciute all’Accademia di belle arti di Bologna. A bordo lago ho lavorato anche con altri artisti come Flavio Pacino, Matilde Cassarini o Monica Camaggi. Tutti interventi diversi ‒ dall’installazione scultorea a quella fotografica o all’affissione di manifesti.

Qual è il tuo metodo?
Solitamente porto un piccolo nucleo di lavori/opere che possano raccontare la visione artistica su un determinato argomento, prima però mi confronto sempre con l’artista. È fondamentale il dialogo, imparo sempre molto da loro, ogni volta è come avere occhi nuovi.

Parliamo di budget. Quali sono e come recuperi le risorse per portare avanti un progetto che pone al centro il lavoro dei giovani artisti?
#artOff è un progetto a budget zero. Sono sempre molto chiara con gli artisti che invito, mi fa piacere essere onesta sulle modalità e sulle possibilità. Insieme si valuta la fattibilità del progetto che non deve danneggiare economicamente nessuno. #artOff vuole essere soprattutto una piccola palestra di sperimentazione e dialogo, di confronto. In alcuni casi è stato possibile avere budget con progetti in collaborazione con l’amministrazione comunale o con manifestazioni come le già citate Lagolandia e La Via Della Lana e della Seta.

Costanza Battaglini, Le genesi di un segreto è qui riposta e muta, 2018, installazione site specific bordo lago Santa Maria, Officina 15. Courtesy l’artista

Costanza Battaglini, Le genesi di un segreto è qui riposta e muta, 2018, installazione site specific bordo lago Santa Maria, Officina 15. Courtesy l’artista

È importante guardare alle collaborazioni con altri eventi?
Certo, nella nostra realtà è importante collaborare con eventi che cercano di promuovere il territorio, anche se sottolineo sempre l’importanza del linguaggio artistico e che esso non debba essere preso in considerazione solamente e banalmente come attrattiva turistica. No. Portare progetti di arte contemporanea in queste manifestazioni vuole rimanere una possibilità di confronto con un diverso contesto. Bisogna sempre mettersi in discussione facendo fede a un’identità precisa.

Qual è il maggiore apporto curatoriale nei confronti degli artisti dopo il finissage di una mostra?
Invito sempre artisti di cui stimo profondamente il lavoro e debbo dire che finora si è creato con tutti un rapporto di stima e fiducia reciproca. Mi è capitato spesso di lavorare più volte con uno stesso artista e quindi di creare una continuità, un percorso di crescita parallelo.

Ad esempio?
Ne cito uno come esempio: Matteo Messori è stato ospite a Officina 15 nel 2017, e si trattava di una sua primissima mostra, era ancora studente in Accademia. Da lì Matteo è cresciuto tanto, l’anno scorso ho avuto l’occasione di curare nuovamente una sua personale alla neonata Galleria Ramo di Como e recentemente l’ho voluto nell’ultima mostra di #artOff in un dialogo con il designer Matteo Giannerini.

Dopo cosa succede?
Continuo a seguire tutti gli artisti che ho invitato e mi auguro sempre di poterci lavorare nuovamente. Credo fortemente in ognuno di loro, sia a livello umano che professionale. Penso che curare un mostra o un progetto espositivo significhi soprattutto coltivare la possibilità di una crescita continua e futura. Quindi #artOff è solo l’inizio di numerose possibilità.

Giuseppe Amedeo Arnesano

www.ofcn15.com/artoff/

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Giuseppe Arnesano

Giuseppe Arnesano

Storico dell'arte e curatore indipendente. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali all'Università del Salento e in Storia dell'Arte Moderna presso l'Università La Sapienza di Roma. Ha conseguito un master universitario di I livello alla LUISS Master of Art di Roma.…

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