L’appello per salvare il santuario dell’artista outsider salentino Ezechiele Leandro
Una manifestazione spontanea il primo marzo scorso ha riacceso l’attenzione sullo stato di conservazione del santuario della pazienza a San Cesario di Lecce, opera dell’artista outsider Ezechiele Leandro. Ma adesso urge un intervento di restauro.
“Rispettate le vostre pitture“, aveva scritto sul muro esterno della sua casa-studio a San Cesario di Lecce, l’artista outsider Ezechiele Leandro. Lontano dal Salento delle spiagge affollate e dei centri storici ricolmi di movida c’è il Santuario della pazienza. Aveva battezzato così il grande giardino limitrofo alla casa in cui viveva con moglie e figli, dove invece di coltivare il suo orto, aveva realizzato dipinti murali, sculture e bassorilievi in cemento e materiali di risulta. Ezechiele custodiva visioni magiche e religiose, e dalla cultura ancestrale aveva estrapolato immagini rielaborate per il suo Santuario, concepito sin dai primi anni Sessanta. Lo rivela anche un disegno a lungo conservato dai monaci francescani di Lequile e oggi custodito nel museo annesso alla chiesa di Fulgenzio a Lecce. Era nato proprio a Lequile, Leandro, nel 1905.
LEANDRO UNICO PRIMITIVO
Da quel disegno si evince la progettualità di questo artista che si autodefiniva “Unico primitivo” perché pensava e immaginava come un uomo di migliaia di anni fa. Leandro unico primitivo. Così abbiamo battezzato la mostra curata da Antonella Di Marzo, Brizia Minerva, Tina Piccolo e da chi scrive (con allestimenti di Pietro Copani) ormai quattro anni fa, grazie all’impegno delle Soprintendenze di Bari e Lecce, della Regione Puglia, della Provincia di Lecce e del Comune di San Cesario. Fino al 1981, anno della sua morte, Leandro ha realizzato anche migliaia di opere mobili, tra dipinti, assemblaggi, disegni e sculture, rinnovando costantemente un suo autonomo linguaggio primitivista, ignorando l’arte del suo tempo e quella del passato, che non aveva potuto né voluto conoscere. Le figure antropomorfe, sgomente, inquietanti, dai corpi in cemento – da cui affiorano vibranti frammenti cromatici, poiché lo mescolava a brandelli di vecchie ceramiche – costituiscono il suo personale universo. Sono i compagni di strada che Leandro aveva scelto di condividere con la dimensione pubblica, nonostante i concittadini lo considerassero pazzo. Mentre nei suoi scritti – rinunciando alla punteggiatura – annotava una perentoria definizione di sé: “un uomo comune come tutti, escludiamo artista perché non so cosa significa la parola artista”.
LEANDRO COSTRUTTORE DI BABELE
“Li chiamo ‘costruttori di Babele’ questi misconosciuti eroi della pietra e del mattone perché sfidano le convenzioni e il pubblico sentire, alimentando per decenni la propria utopia e innalzando al cielo le proprie insegne… perché questi “ispirati al bordo della strada” danno vita, con materiali e tecniche disparate, ad architetture e microcosmi dell’immaginario – un giardino scolpito, un’, un’arca della memoria e della meraviglia, un castello di piani sovrapposti – destinati alla distruzione, come la torre biblica”. All’interno della mappatura curata da Gabriele Mina, disponibile sul sito internet costruttoridibabele.net, un posto di rilievo è occupato dal Santuario di Leandro, considerato tra gli esempi più significativi nell’ambito degli ambienti outsider italiani. Nel 1946 Ezechiele apre un’officina di affitto, riparazione e vendita di biciclette, lavora come cementista e rottamaio, utilizzando il cortile della sua casa di via Cerundolo come deposito. A metà degli anni Cinquanta costruisce la casa, dove impianta le opere plastiche concepite fino a quel momento e dove darà vita al suo capolavoro, che inaugurerà ufficialmente nel 1975. Accumulando, per lavoro, un’ampia quantità di ferri e materiale di risulta, Leandro – com’è accaduto per altri artisti irregolari, pensiamo al caso Marcello Cammi – sfrutta le potenzialità di questa straordinaria disponibilità e avvia il suo progetto utopistico. Concepito sul lato sinistro della sua abitazione, il Santuario della pazienza, oggi in uno stato di conservazione decisamente precario, è popolato diverse decine di gruppi statuari costituiti da una struttura interna in ferro su cui l’artista ha plasmato una malta cementizia, dal cui nucleo emergono brandelli di piastrelle e altri materiali di risulta, metalli compresi. Le pareti di cinta un tempo erano del tutto ricoperte da bassorilievi e dipinti murali, oggi parzialmente distrutti o rimossi.
LA DIMENSIONE AMBIENTALE DELL’OPERA
La grande opera vive nella sua dimensione spaziale ambientale, va percorsa e interrogata, nasconde antri e viali, gruppi statuari di grande formato e piccoli pannelli realizzati con cemento e pittura. Leandro comprende una questione fondamentale, si rende conto che il suo Santuario può essere concepito con ciò che le persone solitamente gettano nella spazzatura e attorno al concetto di riciclo riflette anche nel suo contemporaneo impegno di autore di testi autobiografici e metaforici. Leandro era ben cosciente della sua straordinaria “impresa” – il Santuario della Pazienza e il suo “museo personale” –, lo si percepisce anche dalle rare registrazioni video e audio conservate dagli eredi e da alcuni studiosi e collezionisti. Era cosciente di aver concepito un’opera unica nel suo genere, aveva un’ansia irrefrenabile di essere riconosciuto, consacrato. I toni delle sue parole talvolta sono presuntuosi, ma d’altronde soffriva per la diffidenza delle istituzioni e dei suoi compaesani, tanto che dovette finanche erigere un nuovo muro di cinta che proteggesse le sue opere plastiche dagli atti vandalici. Oltre ad aver pagato regolarmente una tassa per l’affissione di un segnale che indicasse il suo museo all’ingresso del paese, auspicava un riconoscimento “ufficiale”, che però non è mai arrivato, almeno non del tutto. Nei suoi scritti aveva previsto anche la distrazione delle istituzioni e degli “esperti” e purtroppo così è stato.
2014, IL VINCOLO DA PARTE DEL MIBACT
Nel frattempo però il Santuario continua a disgregarsi, le opere a contatto con gli agenti atmosferici si deteriorano, perdono la loro consistenza materica; lo stesso accade nelle opere rimaste nel museo, tele comprese. Così il primo agosto 2013 il sindaco Andrea Romano chiede alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici e alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici di Puglia, al Ministro dei beni e delle attività culturali Massimo Bray e alla Procura di Lecce «un urgente intervento a salvaguardia del sito denominato Santuario della Pazienza, in seguito gli ultimi accadimenti e al depauperamento incontrollato delle opere del Santuario». Dopo alcuni giorni, il soprintendente scrive al Comune di San Cesario per annunciare un sopralluogo al Santuario, finalizzato all’acquisizione della documentazione necessaria all’apposizione del vincolo. Il 6 agosto 2014 arriva l’assenso della Soprintendenza, anche grazie all’interesse del salentino Massimo Bray: il Santuario della pazienza è un bene culturale vincolato.
URGE UN RESTAURO
Finalmente le opere del Santuario, della facciata esterna della casa di Leandro – in cui vivono alcuni eredi – e le opere mobili, quelle superstiti, non potranno più essere rimosse o manomesse, così come è accaduto in particolare negli ultimi anni. Ma c’è l’urgenza di un intervento di restauro repentino, poiché il Santuario di Leandro si sta deteriorando di giorno in giorno. E non c’è più tempo da perdere.
-Lorenzo Madaro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati