L’arte rotta (XVI). Abolire il superfluo
“Lo spazio domestico è lo spazio di una relazione che mette in discussione proprio il nostro essere spettatori, pubblico. Se infatti cambia l’ambiente in cui l’opera viene pensata e prodotta, si modifica anche il contesto in cui essa è recepita, a cui essa è destinata” Nuovo episodio della serie di Christian Caliandro.
Le trasformazioni che stiamo vivendo si concentrano nello spazio interno, domestico, nello spazio chiuso della casa: è qui che sperimentiamo il nostro isolamento, ed è qui che facciamo esperienza del nuovo tempo – facendoci attraversare da esso ‒ e dei suoi mutamenti.
Come ha scritto di recente Jerry Saltz, “l’ambiente stesso in cui l’arte viene realizzata sta già cambiando. Per ora, non ci sono grandi studi, dozzine di assistenti che lavorano a un’unica opera, interi staff coinvolti. Ora l’arte viene realizzata in spazi più piccoli, al tavolo della cucina, con le cose a portata di mano, i bambini attorno, mentre altri stanno cucinando e la nonna sta lavando i vestiti, mentre la vita si svolge tutto attorno” (“the environment in which art is made is already changing. For now, there aren’t big studios, dozens of artist assistants working on one artist’s work, whole staffs keeping track of it all. Now art is being made in smaller spaces, on kitchen tables, out of things at hand, with kids nearby, cooking happening in the background, Nana washing clothes, life going on all around”. Certamente, se questa condizione può essere una novità per il luccicante sistema dell’arte newyorkese, non lo è certo qui da noi: la stragrande maggioranza degli artisti italiani non aveva bisogno di attendere la quarantena per fare arte con ciò che “è a portata di mano”.
Ma, se dal momento della produzione spostiamo la nostra attenzione alla fruizione, ritroviamo la nuova “intimità” dell’opera d’arte di cui si è parlato nel corso di questa serie: lo spazio domestico è lo spazio di una relazione che mette in discussione proprio il nostro essere spettatori, pubblico. Se infatti cambia l’ambiente in cui l’opera viene pensata e prodotta, si modifica anche il contesto in cui essa è recepita, a cui essa è destinata. Le opere possono dunque anche vivere nello spazio quotidiano, entrare a far parte a pieno titolo di quella “vita che si svolge tutto attorno”. Opere non solo ‘fatte-in-casa’ ma per la casa, che si dispiegano e si esprimono appieno in quello spazio.
CANCELLARE I FILTRI
Questo virus, come abbiamo visto, è la verità e dice la verità; il virus smaschera la realtà e smaschera anche noi stessi – che lo vogliamo o no. Il virus inoltre amplifica e accelera enormemente processi che erano già in atto nella società, nella nostra esistenza e (perché no?) anche nel mondo dell’arte.
La principale richiesta categorica che questo straordinario amplificatore/acceleratore ci avanza è quella di eliminare e cancellare i filtri, di abolire il superfluo. E credo che superfluo voglia dire sostanzialmente tutto ciò che ha a che fare con (e che ruota attorno a) la finzione, la fiction: non si tratta dunque più di rappresentare e di (auto)rappresentarsi, di “recitare la parte di”, ma di ricercare il più possibile “la cosa in sé”.
Laura Cionci ha scritto qualche giorno fa su queste pagine: “Ora lavoro sulla mia azione e questa azione è rivolta verso di me. Creo un pensiero e questo pensiero è rivolto a me, come sento il benessere, cosa mi fa amare me stesso. Cosa realmente cambia nello spingersi fuori a codificare il comportamento altrui in questo momento? L’azione automatica quotidiana esterna non ha più senso di esistere. Attenzione, non sto parlando di cosa potremmo fare, come dovremmo comportarci in futuro. No. Io sto parlando di adesso. Posso stare in me e stando in me sarò in grado di aiutare l’altro” .
ESSERE MIGLIORI
Le trasformazioni attuali ‒ che abbiamo appena iniziato a riconoscere e a considerare nei loro riflessi e nelle loro conseguenze ‒ avrebbero molto probabilmente impiegato anni, decenni per manifestarsi: questo è forse uno dei pochi effetti positivi di tutta questa situazione. Abbiamo in questo momento l’opportunità concreta di essere migliori e soprattutto più liberi, proprio perché è il tempo stesso a richiederlo e a permetterlo.
Intimità non significa certo rinchiudersi in se stessi, escludendo l’esterno e l’altro – piuttosto stabilire con esso una relazione profonda che finalmente oltrepassi la dimensione dello spettacolo (e quindi del consumo). Le opere e gli artisti occupano una speciale posizione in questo senso: sono in grado di far cadere concretamente queste barriere, costruendo di fatto dei modelli validi per superare il desiderio apparentemente insopprimibile di “esserci”, e di essere visibili.
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
L’arte rotta (I)
L’arte rotta (II)
L’arte rotta (III)
L’arte rotta IV
L’arte rotta V
L’arte rotta VI
L’arte rotta VII
L’arte rotta VIII
L’arte rotta IX
L’arte rotta X
L’arte rotta XI
L’arte rotta XII
L’arte rotta XIII
L’arte rotta XIV
L’arte rotta XV
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