Diario d’artista durante il lockdown. Tracey Emin si racconta su Instagram per White Cube
Come tante altre gallerie d’arte, anche White Cube decide di offrire al proprio pubblico una serie di contenuti online tra video fruibili dal canale Youtube, tracce audio su Spotify e articoli di approfondimento su riviste di settore. Non manca all’appello l’uso di Instagram con “un diario giornaliero” raccontato dagli artisti in prima persona.
Anche la galleria londinese White Cube ha lanciato un programma di iniziative digitali per incontrare il proprio pubblico attraverso le molte possibilità offerte dal web. La proposta è una sorta di diario della durata di una settimana che mette insieme foto e video realizzato home-made dagli artisti e condivisi su Instagram. Susan May,direttore artistico della galleria, ha affermato in una intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian che questa modalità aiuta a rimanere in contatto con coloro “che spesso ci aiutano a guardare il mondo in modo diverso. L’esperienza collettiva è qualcosa che gli artisti sono in grado di comunicare in modo così efficace”: pertanto, in un momento di isolamento come quello che stiamo vivendo, “l’arte e gli artisti possono in qualche modo aiutarci a dare un senso al tutto.” La prima ad intraprendere questo percorso diaristico è stata l’ex ragazza terribile della Young British Art, Tracey Emin. Seguiranno le sue tracce altri big come Antony Gormly e Sarah Morris.
TRACEY EMIN TRA AUTOBIOGRAFIA E SENSO COMUNE
Tracey Emin (Londra, 1963) si fa portavoce delle emozioni sopite in ognuno di noi con opere forti, pregnanti, coinvolgenti. Tra gli evergreen c’è ovviamente My Bed, opera mitologica del 1998 (in questo video l’artista la racconta per esteso), tra gli highlights della Tate Gallery, un’opera intima, ritratto di una intera generazione. In Everyone I Have Ever Slept With, invece, si leggono i tanti nomi di chi ha forse cercato di colmare vuoti profondi, senza mai riuscirci. E poi, chi non si è mai lasciato travolgere dalle linee convulse e nette, dai piani sovrapposti animati da figure e parole dei dipinti di Leaving? Quelle stesse emozioni (rabbia, gioia, dolore, paura) rivivono, in un grande ritratto collettivo, nelle foto e nei video che ritraggono la Emin all’interno delle mura domestiche, in isolamento come tutti noi.
STUDIO E VITA QUOTIDIANA
“Inizia come un racconto apparentemente casuale del proprio autoisolamento nella casa di Spitalfields, diventando la storia della vita di un’artista. In realtà è piuttosto ottimista perché mostra come esistere nella solitudine – nei propri sentimenti, percezioni, nella creatività “.Così il critico del Guardian Jonathan Jones rilegge il “diario di Tracey Emin”. La vita dell’artista si dispiega in giornate luminose visibili dalla propria vasca da bagno, con tanto di caffè e focacce calde, foto in primo piano e piccole passeggiate in studio. Nell’ultimo capitolo del suo racconto, la Emin decide di fare una panoramica del proprio studio. Grandi tele sono appese aspettando di essere terminate. Ma cosa attrae la nostra attenzione? Il video si apre e chiude precisamente su una tela poggiata a terra recante una grande macchia nera al centro con una scritta “I wanted you to fuck me so much I couldn’t paint anymore”. Due giorni prima l’artista aveva postato una foto della stessa opera, priva della scritta, accompagnandola con un pensiero “Oggi… ho dormito molto… poi sono andata in studio e ho dipinto più nero. Dovevo… dopo ho coperto il dipinto con il politene… nella speranza di poter smettere di dipingerci sopra… ma questo mi permette di restare qui”. Tracey Emin è solo una dei tanti artisti contemporanei che stanno utilizzando i social media per comunicare durante la quarantena forzata. Anche Damien Hirst ha pubblicato dei piccoli video, leggeri e allegri, in cui sottolinea quanto ami dipingere. Altri, invece, dispensano consigli per occupare le giornate in quarantena. Come? Ad esempio l’artista americana Kara Walker ha suggerito il libro The Serpent and the Rainbow di Wade Davis, seguito dall’hashtag #confinementbookclub.
– Valentina Muzi
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