Ultime notizie: Sergio Risaliti racconta un’opera di Francesca Banchelli

Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze, racconta le ultime produzioni degli artisti in un ciclo di appuntamenti su Artribune. La serie continua con Francesca Banchelli

La sesta Ultima notizia mi arriva dalle campagne intorno a Firenze, dove Francesca Banchelli vive e lavora con il suo compagno e un figlio, un biondino assai vispo e già pieno di interessi.  Ha inteso accompagnare le immagini inviatemi con questo messaggio: “il momento che viviamo è un serbatoio di nuovi orizzonti e riscoperte per ogni singolo e per la società, sono felice di questo tuo progetto che apre un dialogo attraverso l’arte, nell’esigenza di incontrarsi di nuovo. È vertiginoso ma anche affascinante vivere ed essere testimoni di come il cambiamento possa arrivare tutto a un tratto, uno scivolo che ti porta da un piano a un altro.  Ti ho inviato due immagini di due opere pittoriche, una realizzata appena prima della fine del 2019, Plateau, e l’altra terminata da poco, Event. Ho scelto queste due perché si somigliano e sono a cavallo tra fine e inizio, l’uno quasi il negativo dell’altro, due incontri. Puoi scegliere tu quale dei due parlare; io indicherei Plateau, ma lascio a te decidere”.

EVENT, LA NUOVA OPERA DI FRANCESCA BANCHELLI

Nella consapevolezza del dramma che stiamo vivendo. Francesca apre la porta al cambiamento e parla di nuovi orizzonti, di una soglia in cui ci troviamo tra fine e inizio. In Event, mi sembra di riconoscere una coppia di femminile e maschile (Eva con Adamo?). I due sono seduti su una salda roccia. L’uomo e la donna confondono i loro corpi esili e giovani; guardano nella stessa direzione, un punto distante, fuori dalla cornice del dipinto. Intorno a loro sembra turbinare un forte vento, una tempesta che spazza via le cose e le trascina come in un vortice: un tappeto, una maschera, foglie, nubi spettinate. Le schiene sono saldate tra loro. Sono abbracciati, come per darsi sicurezza e sostegno. Incrociando gli arti superiori disegnano una X. Un cane, fedele guardiano, è disteso ai piedi della donna. I due sono nell’occhio di un ciclone. Resistono serenamente, attendono fiduciosi. Tutto potrebbe sparire in un attimo, dissolto come un sogno al mattino. Lei e lui sono figure, testimoni e presagi, sono come ombre di colore trattenute davanti all’esplosione di troppa luce. Comprendo il messaggio. Siamo tutti al centro di un e-vento epocale. Potrebbe essere anche una nuova genesi, l’inizio di una purificazione. A un tratto, mi avvicina l’Angelus Novus di Paul Klee. L’angelo della storia. Anche in quel celebre acquerello un vento travolge tutto e tutti. Walter Benjamin ci aveva avvertito quasi un secolo fa. Il progresso si lascia alle spalle un cumulo di rovine, e morti, tanti morti. La fine ci è ben nota, l’inizio è questa tempesta “di trasporto e mutevolezza”, come mi ha scritto Francesca.  

L’INCONTRO TRA SERGIO RISALITI E FRANCESCA BANCHELLI

Pochi mesi fa ho conosciuto meglio il suo lavoro e la sua ricerca mi ha subito affascinato. È nato il desiderio da parte mia di coinvolgerla nel progetto Duel al Museo Novecento, che mette l’artista nella condizione di scegliere una o più opere dalla collezione permanente per poi definire un allestimento site-specific con i propri lavori – nuovi e non – in un dialogo dialettico con dipinti e sculture dei grandi maestri del Novecento. La sua scelta mi ha sorpreso, ha dimostrato una conoscenza approfondita della collezione Alberto Della Ragione, e un interesse ben preciso nei confronti di un’opera di Scipione (Gino Bonechi), dall’emblematico titolo Apocalisse. Tutto questo, si badi bene, è accaduto mesi fa, prima che il mondo fosse sconvolto dalla pandemia causata dal Coronavirus, e che i sentimenti, le ambizioni, i desideri e i sogni di milioni di individui nel mondo si ribaltassero completamente in incubi e deprimenti sensazioni come quelli di chi si ritrova a vivere in un cono d’ombra, nerissimo, senza luce e con uno sbocco lontanissimo. Profezia, presagio, intuizione? Io ci vedo semplicemente una sensibilità forte di chi vive, percepisce e conosce la realtà presente, passata e futura, con i pori aperti. Di un’artista che sa posizionarsi nella realtà, al punto giusto e nel momento giusto. Francesca ha un’idea alta della funzione dell’arte e della pratica artistica. È convinta della necessità dell’opera d’arte come epifania ed evento gnoseologico imprescindibile all’evoluzione della specie umana. Quando mi trovo a discutere con artiste di questo livello, mi sento a mio agio; so che ne vedremo delle belle, soprattutto dalle artiste donne. A una mia domanda ha così risposto: “io credo che gli artisti e chi lavora con l’arte ce la metta sempre tutta per non far scadere l’arte e difenderla dal ridurla a semplice svago e diletto. Soprattutto noto con piacere la presa di coscienza di molti artisti verso tematiche attuali e fondanti. Le persone rispettano la scienza, lo sport, la medicina, ma pensano all’arte come una cosa preziosa e antica, non come qualcosa di naturalmente intrinseco al processo di evoluzione umano sia a livello singolo che collettivo. L’arte deve essere presente, in questo modo diventa una costanza demiurgica forte per le persone, un senso di appartenenza alla collettività, alla storia, al futuro, alla nostra natura e al mondo in cui viviamo, una cura. Se l’arte potesse permeare nella vita quotidiana attraverso i mezzi di trasmissione comuni potrebbe far parte del dibattito collettivo, parlare alle persone”. 

LA RICERCA DI FRANCESCA BANCHELLI

Come molti altri artisti della sua generazione, Francesca lavora con diversi materiali e diverse tecniche. Azioni performative, tra danza e teatro, e poi video, disegno, pittura, scultura e installazione. Ho volutamente allineato le voci in questo modo, rompendo con lo schematismo tradizionale che vuole le belle arti (pittura disegno scultura) in cima alla lista. Devo aggiungere a queste pratiche e linguaggi pure la musica e il suono, coinvolto nelle sue installazioni in funzione non di commento alle opere, ma come linguaggio essenziale alla costruzione di senso. In queste operazioni coinvolge il suo compagno, Emiliano Zelada, artista anche lui, specializzato nella ricerca sperimentale in campo musicale. In una recente performance – la chiamo così in attesa di una nuova definizione –, ha utilizzato perfino Andrè Lepecki, un celebre critico e curatore esperto di arti performative, Associate Professor al Department of Performance Studies alla New York University, e autore di Exhausting Dance: Performance and Politics of Movement. Francesca lo ha coinvolto in scena alla pari di dipinti, del danzatore, di note musicali e di un cane. Esatto, un bellissimo cane di razza, ben addestrato, che è rimasto immobile per tutto il tempo della performance, fermo in un punto della sala mentre intorno a lui un giovane danzatore, dal corpo robusto e flessuoso, si muoveva in una coreografia in parte preparata e in parte lasciata alla libera esecuzione, senza uno schema prefissato. Il cane ha abbandonato la sua postazione solo a un certo punto dell’azione performativa, richiamato da un cenno del suo addestratore che si era nascosto tra il pubblico. 

RISALITI LEGGE L’OPERA DI BANCHELLI

Tenere collegato tutto quello che lei mette assieme in una mostra, non è facile né dal punto di vista di una lettura critica né dell’immediata comprensione. Forse è quello che lei vuole. Si aspetta da noi un certo impegno emozionale, una elaborazione più profonda dopo il primo impatto, come di chi è disposto a muoversi sulle assonanze e le risonanze, tra un campo e l’altro, tra significanti diversi, tra immagini esplicite e quello che resta implicito. Il senso si scopre in un punto per volta in connessione tra i differenti livelli; non sta nel pieno, perché poi lo si trova anche nel vuoto, negli interstizi tra un segno e l’altro, tra una forma e l’altra, tra sfondi e primi piani.  Francesca non rende le cose facili. Mi sembra ovvio. Il suo linguaggio, di uno spessore poetico e filosofico indubbio, non è di immediata decifrazione. Mi pare che la chiave di accesso siano i suoi dipinti, che sono figurativi, ma fino a un certo punto. Sono narrativi, ma solo a un primo livello di lettura. Le sue composizioni hanno necessità di approfondimento. Dopo una prima fase di godimento, per il tipo di esecuzione – leggera, veloce, intensa, ricca di sfumature – e per la fervida immaginazione che le è propria, viene da domandarsi quale sia il significato tra le singole figure, gli oggetti in scena, e il loro nesso. Ad esempio tra un dipinto con figure sorprese di esistere, in attesa di un evento, e una roccia, un cane, un filosofo di estetica.  È il senso che sfugge perché il discorso pittorico nel suo caso è interpretabile come una poesia, o un brano sonoro, una coreografia. La pittura aggiunge qualcosa di specifico, un’alterità che le è propria. Le ho chiesto di spiegarmi cosa ne pensa: “la pittura è il mezzo che più ha a che fare con il termine, e quindi la stabilità, di un processo intellettuale, portato avanti attraverso la performance e il disegno. La pittura mi porta ad esplorare dei territori che sono introvabili con gli altri mezzi. La pittura approfondisce e satura immaginari che si sono creati lavorando su concetti e pensieri, immaginari così stabili che ritornano instabili, diventano realtà pronte a schiudersi ed essere raccontate con risvolti impensabili, se non attraverso l’uso della pittura”.

L’ARTE CONTEMPORANEA E IL POST-CORONAVIRUS

Non tutto è direttamente esplicitato nella composizione figurativa, con la riconoscibilità delle immagini elaborate. Il fatto di non chiudere ma di lasciare una possibilità non significa rinunciare, anzi. Credo che il grosso del lavoro delle ultime generazioni sia nell’uscire fuori da contesti e sistemi culturali dominati o dall’ideologismo o dal cinismo, così come dal pensiero debole e dal pragmatismo più reazionario che hanno dominato gli ultimi decenni. In una bella installazione scultorea realizzata anni fa in un parco vicino Lucca, nella Tenuta dello Scompiglio, un progetto di residenza di grande coraggio e ambizione. Francesca in quel caso aveva utilizzato pezzi lapidei finemente lavorati di una vecchia scala. La gran parte dei gradini erano stati sistemati correttamente su un leggero declivio per essere utilizzati, altri invece erano stati addossati alla scala o abbandonati nei terrazzamenti vicini tra l’erba e le piante ad arbusto. L’artista in questo caso cercava di mettere in luce l’ambiguità che sussiste nella nostra epoca tra agire e dubitare, tra funzionalità e contemplazione, tra recupero e reinvenzione, così come tra conservazione e sperimentazione. Francesca ci invita ad assumere coraggiosamente i fallimenti e le crisi, il tempo che passa e la perdita di forze, lo smottamento dei valori consolidati e il loro ricostruirsi in leggerezza e senza arroganza per entrare nel tempo della fragilità e dell’incertezza, sperimentato non come esperienza del negativo a tutti i costi. Penso che ci voglia convincere ad abbracciare l’evento con tutte le sue ‘piegature’ e le sue ‘soglie’, con le sue tensioni e fratture. Accettando come fattori positivi il dubbio e l’insicurezza nell’azione. Sospendere la risoluzione forte di certezze ed evidenze per lasciare tempo alla riflessione accogliente che necessita anche un più di contemplazione e processi di svuotamento del cogito, può essere una scelta necessaria volendo affrontare un tempo di crisi e di cambiamento come il nostro. In questi giorni ad esempio ci stiamo convincendo che nulla del prima – il nostro cieco progresso – può essere ricostruito, ripristinato senza conseguenze per il futuro. Non tutto potrà esser conservato e rimesso in funzione dov’era e com’era. Certi nostri modi di agire e certi stati d’animo andranno rimodellati per stare diversamente nel prossimo futuro.  Mi sembra di capire che ci possa essere molto più spazio per la poesia e l’arte nel futuro dell’antropocene. Un ascolto e un immaginare altro, che metta in conto la necessità della fragilità e dell’incertezza, della sospensione e dell’attesa, dell’incanto e della meraviglia, in ultimo della cura. Più poesia e più arte per rallentare il tempo, per ritrovare un certo respiro, anche nello sguardo, per essere pronti all’imponderabile e all’improbabile. All’avvento dell’evento. A recuperare il tempo dell’avvento dell’incontro. Ecco l’evento che ci aspetta, se vogliamo rinviare il tempo dell’apocalisse. 

COSA FANNO GLI ARTISTI DURANTE LA PANDEMIA. LE PAROLE DI FRANCESCA BANCHELLI

Aggiungo, infine, un altro successivo suo messaggio: “in questi giorni la mia ferrea routine giornaliera, come quella di molti, è cambiata radicalmente. Lavoro in studio in orari in cui prima mi dedicavo a giocare con mio figlio di due anni, o in cui prima dormivo, di notte; e nel tempo in cui prima lavoravo, la mattina, sto con lui. Facciamo lunghe camminate nel bosco che circonda la casa e lo studio e ci accorgiamo come si stupiscono gli animali selvatici, (daini, scoiattoli, serpenti…) di vederci addentrati nelle loro zone indisturbate tanto frequentemente…non se ne vanno subito, solo dopo qualche istante, il tempo di sconcertarsi. Stiamo osservando l’esplosione della natura, e la casa è continuamente sotto assedio da moti vitali piuttosto maldestri… la vita ai suoi esordi. Fuori dai boschi, è in atto una guerra contro un virus che sta facendo soffrire così tante persone; in tempi normali non avrei mai dedicato così tanto tempo alla natura, avrei continuato a guardarmi fugacemente intorno senza mai smettere di pensare agli affari miei. Nel frattempo mi sono già abituata a lavorare in studio ad orari improbabili o inusuali. Porto con me la realtà che sembra avvicinarsi a quell’idea di isolamento, alla quale sto lavorando da alcuni anni e che confluirà nella mostra al Museo Novecento, duettando con la straordinaria opera “Apocalisse” di Gino Bonichi (Scipione). Quell’isolamento che porta a farci incontrare di nuovo, che mette in “cammino” i fuggitivi verso l’evento dell’incontro, in un territorio sconosciuto, privi di molto ma recuperando tutto ciò chef è necessario per conoscersi di nuovo. Un po’ ciò che sta accadendo nel mondo intero, rivoluzionando i tempi e gli animi”.

– Sergio Risaliti

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Sergio Risaliti

Sergio Risaliti

Sergio Risaliti (1962), si è laureato a Firenze in Storia dell’arte moderna e contemporanea. Dal 2018 è direttore artistico del Museo Novecento di Firenze. E’ storico e critico d’arte, ideatore e curatore di mostre e di eventi interdisciplinari, scrittore e…

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