Il Primo Maggio dell’arte. Il progetto di Museo Novecento su Artribune con le opere di 15 artisti
Dopo le celebrazioni del 25 Aprile, il Museo Novecento di Firenze lancia un progetto dedicato al Primo Maggio con i manifesti di 15 artisti. Con l’obiettivo di realizzare una mostra o una pubblicazione a pandemia conclusa
Dopo le celebrazioni del 25 Aprile scorso, giornata commemorativa della Liberazione d’Italia dalla dittatura fascista, il Museo Novecento celebra il Primo Maggio, festa del lavoro con le opere di Emanuele Becheri, Paolo Canevari, Andrea Francolino, Silvia Giambrone, Lori Lako, Sandro Lombardi – Federico Tiezzi, Marco Mazzoni, Marzia Migliora, Paolo Parisi, Luca Pignatelli, David Reimondo, Massimo Sestini, Fabio Viale, Luca Vitone. In accordo con l’Assessorato ai diritti e alle pari opportunità del Comune di Firenze guidato da Sara Funaro, abbiamo pensato a come far ‘manifestare‘ l’arte contemporanea durante questa festa nel ruolo che le è proprio, volendo condividere con tutte le lavoratrici e i lavoratori la difesa dei diritti e della sicurezza.
MANIFESTI DEL PRIMO MAGGIO COME MONUMENTI PUBBLICI
Si tratta di ‘monumenti pubblici’ che prendono il posto di quelli di vecchia data, una risposta attuale alla crisi di quel dispositivo simbolico in uso per secoli e utile a comunicare, esibire, valori condivisi nelle società attraverso apparati figurativi e scultorei potenziati di retorica e di elementi persuasivi. Occupando le nuove piazze, le immagini, opere, proposte dai singoli artisti riposizionano l’arte in una centralità senza centro su dimensioni della comunicazione sociale parallele. Queste opere portano con se pensieri e sentimenti di questo tempo aggiungendo altro al tema principale che è quello del lavoro. Si aprono orizzonti di senso non previsti, inediti, soggettivi eppure comunitari. Quando lanciamo nell’etere queste opere non sappiamo quanto lontano arriveranno e per quanto tempo segneranno l’esperienza altrui.
MANIFESTI INDELEBILI D’ARTISTA
Sono manifesti indelebili che rivendicano il ruolo dell’arte non solo come volano di economie di consumo e di profitto, quanto piuttosto economie dell’anima e dello spirito. Parlano dell’impensabile e dell’utopia, lo fanno assumendosi il rischio dai affondare nella realtà, di andare a fondo per rivoltare il linguaggio e illuminare l’insensato sperpero di umanità e natura. Liberiamo il lavoro dal potere e dal suo linguaggio. Grazie agli artisti che hanno dato il loro contributo.
–Sergio Risaliti
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