È morto a 80 anni l’artista Ian Wilson, maestro dell’Invisibile

Nel gruppo di Kosuth, Beuys e Weiner, è stato il più estremo tra gli artisti concettuali. Dalla fine degli anni ’60 ha smesso di produrre oggetti per concentrarsi solo sul linguaggio, sul racconto orale e sull’immaterialità dell’espressione.

Parlare dell’idea di arte anziché produrla. È stata questa la linea guida della ricerca di Ian Wilson (1940-2020), il più radicale tra gli artisti concettuali del secolo scorso. Nel 1968, l’artista sudafricano ha smesso di produrre oggetti, impedendo che ognuna delle azioni da lui organizzate venisse documentata. La sua scomparsa, avvenuta all’età di 80 anni, è stata confermata dalla galleria che lo seguiva: Jan Mot, a Bruxelles.

LA POETICA DI IAN WILSON E LA ROTTURA CON L’OGGETTO

Ian Wilson è nato nel 1940 in Sudafrica e si è trasferito negli Stati Uniti nel 1960, lavorando dapprima a New York e in seguito nella vicina zona della Hudson Valley. Attratto fin dagli inizi da una forma di minimalismo nell’arte, inizia cimentandosi con sculture e dipinti in bianco e nero, ispirandosi all’astrazione del Suprematismo del russo Kazimir Malevich. Ma in America incontra presto anche gli artisti pionieri del Concettualismo, un movimento che alla fine degli anni Sessanta conosceva il suo maggior momento di spicco: questi erano Joseph Kosuth, Robert Barry, Robert Morris e Lawrence Weiner, impegnati a promuovere una nuova arte, fondata sui valori della misurazione, della geometria, del progetto, del linguaggio, piuttosto che sull’oggetto e sulla forma estetica come era stato fino a quel momento. Ian Wilson si unisce a questo gruppo, diventandone probabilmente il più radicale dei componenti. A partire dal 1968, si distacca completamente dalla produzione di oggetti e impedisce che le sue azioni e tutto ciò che si svolge nello spazio espositivo venga fotografato, registrato o documentato in alcun modo.

Ian Wilson a Milano

Ian Wilson a Milano

IAN WILSON: LE OPERE

Circle on the Floor del 1968, (anche conosciuto come Chalk Circle) è stato uno dei suoi ultimi lavori fisici ad essere esposto: consiste in un cerchio tracciato con il gesso, del diametro di quasi due metri. Dietro questa forma elementare, si nasconde un procedimento riproducibile tramite istruzioni impartite dall’artista (la riproducibilità dell’opera fu un grosso cavallo di battaglia del Concettualismo americano e non solo). Nel 1982 prende parte a Documenta 7 a Kassel. Per oltre 50 anni, Ian Wilson si è concentrato nell’organizzazione delle sue Discussion, convegni e ritrovi in cui per tutti vigeva sempre la regola del non fotografare né registrare l’evento. Di questi eventi rimangono solo gli inviti e gli attestati di partecipazione rilasciati ai presenti. Un diktat derivato dal suo grande credo nella lingua orale, considerata dall’artista sudafricano come il più rilevante strumento espressivo che rimanda all’astrazione, all’assenza di fisicità. Risale al 2012, la Discussion tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, organizzata dalla Galleria Massimo Minini e incentrata sul concetto di Assoluto. Di cui, ovviamente, non disponiamo di nulla se non qualche annotazione mentale. Forse proprio per questa scelta di non lasciare tracce né registrazioni, Wilson gode oggi di una fama minore rispetto ai coevi Kosuth, Beuys, Weiner.

-Giulia Ronchi

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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