Pneuma di Christian Fogarolli: il progetto tra arte e scienza che ci aiuta a comprendere il virus
Christian Fogarolli, tra i vincitori della sesta edizione dell’Italian Council 2019, presenta il progetto “Pneuma”, tra arte e scienza. Prima tappa? Lo State Studio di Berlino, a cura di Johanna Teresa Wallenborn e Giulia Busetti.
Quanto può incidere la paura di un nemico invisibile sulla psiche? Cosa comporterà questo prolungato – ma necessario- stato di isolamento? Lo abbiamo chiesto a Christian Fogarolli (Trento, 1983), vincitore della VI Edizione dell’Italian Council, partendo proprio dal suo ultimo progetto, Pneuma, che pone l’attenzione sull’immaterialità e l’intangibilità delle malattie mentali. La prima tappa espositiva ha visto protagonista lo STATE Studio di Berlino, con la curatela di Johanna Teresa Wallenborn e Giulia Busetti; ovviamente, date le norme di contenimento per contrastare il contagio da Covid-19, l’opening è stato possibile solo in modalità virtuale, tramite una Live su Instagram, lo scorso 27 marzo 2020.
Partiamo dall’inizio, come è nato il progetto, e perché il nome PNEUMA?
Pneuma è un progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (6. Edizione, 2019). Il progetto è partito a maggio 2019 ed è composto da varie fasi di ricerca basate sul rapporto tra Italia e Europa a livello legislativo, in modo specifico sulla relazione tra la Legge 180 e la Dichiarazione di Helsinki del 2005 e di come queste direttive vengono applicate in diversi paesi. L’idea di fondo è quella d’innescare un tentativo di de- stigmatizzazione e comprensione del trattamento della malattia mentale in diverse aree geografiche.
A cosa si riferisce il titolo?
Pneuma è la polvere invisibile e celata che la scienza odierna ancora non è in grado di confutare con dati e prove, è lo spirito umano legato all’anima, al soffio vitale. Il significato reale di questo termine è davvero complesso e possiede una tradizione antica, dalla filosofia greca di Anassimene, all’antico testamento fino all’alchimia. Ho deciso di utilizzarlo per il progetto per il suo collegamento al termine psyché e alla medicina; Galeno fu uno dei primi a citarlo in questo settore prelevandolo dallo stoicismo. Cartesio riprese queste conoscenze, erroneamente, declinandole attraverso gli “spiriti animali”, ma con leggi meccaniche. Successivamente saranno leggi elettriche partendo da Galvani.
Hai dichiarato che la tua ricerca parte dalla Legge 180 che riformò il sistema psichiatrico in Italia, e dalla dichiarazione europea di Helsinki del 2005 sulla salute mentale, in cui si attesta – dopo una serie di punti – “Il presente Piano d’Azione propone modalità e strumenti per elaborare, realizzare e sostenere politiche globali per la salute mentale nei paesi della Regione Europea dell’OMS (…)”. Dal 2005 ad oggi, hai notato differenze e migliorie nell’approccio a questo campo?
Lavoro su queste tematiche in maniera trasversale dal 2011/12, non è facile poter stilare un disegno generale in seguito all’emanazione di queste direttive nazionali ed europee, il ruolo che ricopro nelle mie indagini è quello di artista e questo lo condivido sempre anche con chi mi ospita e apre le sue porte. La mia opinione è che il quadro generale sia davvero diversificato in rapporto all’area geografica, ai sistemi politici, sociali e alla storia evolutiva dei differenti contesti. Semplificando e ponendo altre domande: come possiamo fare una lettura dell’attuale trattamento psichico della Romania scindendola dall’eredità del regime di Nicolae Ceaușescu? Come possiamo pensare che in seguito alla chiusura in Italia degli OPG nel 2015 le persone in essi contenute si siano dissolte nel vuoto?
Quali le differenze tra Italia ed altri contesti europei?
Nei viaggi che ho e sto realizzando nel continente Europeo per questo progetto emergono sviluppi concreti e positivi nell’approccio ai disagi psichici, questo in modo specifico in paesi più sviluppati da un punto di vista delle libertà sociali ed economiche. L’Italia partendo appunto dalla legge 180 del 1978, in seguito alla riforma basagliana, si conferma un paese con delle realtà straordinarie da esportare. A livello europeo credo che le differenze tra i vari stati siano ancora troppo elevate. Le politiche restano forse ancora troppo caratterizzate e dominate, specie nei paesi dell’Europa Centro-Orientale, ma anche in paesi come Francia, Belgio, Germania, da grandi ospedali psichiatrici e carenti strutture e servizi nella comunità. Detto questo il percorso è ancora lungo e l’arte, nelle sue forme più diverse, sembra poter portare un supporto e un aiuto tangibile nelle pratiche di trattamento.
Viaggi, residenze e indagini condotte ti hanno portato a toccare con mano questa “intangibile” realtà. Cosa ti resta di questo scambio con pazienti ed esperti del settore?
Resta in primo luogo l’esperienza personale e che successivamente si è tramutata in pensiero e in opera. In diversi casi si è aperto un confronto diretto con le persone che abitano e lavorano in questi luoghi, tentando di sfidare con essi i processi di classificazione del disagio psichico e la conseguente marginalizzazione del singolo individuo attraverso l’arte. In altri casi non rimangono che immagini e momenti personali, tramutati solamente in ricordi, ma che attraverso il progetto e un volume monografico possono essere raccolti e diffusi.
Puoi raccontarci un episodio o un evento che ti ha particolarmente segnato?
Gli incontri e gli episodi sono diversi, forse a livello di durata esperienziale il periodo di dieci giorni vissuto all’interno del Guislain Psychiatrisch Hospital a Gand in Belgio è stato uno dei più intensi soprattutto dal punto di vista della quotidianità. Avere la possibilità di condividere quello spazio e quel tempo con pazienti, personale medico e assistenziale ti porta in una immersione totale in cui il confine tra normalità e devianza si scioglie totalmente.
L’arte e la scienza sono entrate già in connessione abbattendo i muri che prima le dividevano. A tuo avviso, quanto le due tematiche necessitano l’una dell’altra?
Io credo che siano due discipline in comunicazione fin dal principio, si sono sempre servite l’una dell’altra, molto spesso inconsciamente. Questo punto è uno dei cardini del mio lavoro, in modo specifico attraverso l’interesse di come diverse discipline scientifiche abbiano usato arte e creatività per il loro progresso.
Quanto valore ha il coinvolgimento dell’osservatore? In che maniera vuoi che interagisca, in termini cognitivi, con PNEUMA?
Il rapporto con il pubblico è impostato su diversi livelli. Uno degli obiettivi principali del progetto è quello appunto di porre alcune questioni inerenti la cura del disagio psichico in Europa, per questo Pneuma è progettato per essere diffuso in diverse modalità e aree geografiche: mostre personali in istituzioni di arte contemporanea e una serie di pneumaevents da realizzarsi in università, centri di ricerca medica, accademie, associazioni che si occupano di assistenza psichica e Istituti Italiani di Cultura in cui prendono forma delle conferenze sulla tematica affrontata, screening del film realizzato e lezioni universitarie.
Cosa succede all’interno di queste mostre?
Nelle mostre viene creato un progetto specifico in rapporto allo spazio in cui si presenta una video-installazione ambientale composta da diversi materiali: sculture in vetro, composti organici, plastici e metallici. Nel percorso espositivo si tenta di portare l’osservatore sul confine tra normalità e devianza in cui l’elogio visivo della scienza lascia spazio a ciò che era e rimane insoluto, inspiegabile, poetico. Le istituzioni europee d’arte contemporanea coinvolte sono STATE Experience Science di Berlino; MARe Museum di Bucarest; Schwarzescafé/Löwenbräukuns di Zurigo e MAMbo di Bologna.
Ovviamente a causa del lockdown non hai potuto partecipare all’opening della tua mostra…
La prima mostra di Pneuma presso STATE Studio a Berlino è stata aperta online il 27 marzo con non poche difficoltà causate dalla situazione di emergenza sanitaria internazionale, installata da remoto tra me, le persone che collaborano al progetto e lo staff. È possibile vederne i contenuti attraverso una pagina speciale costruita appositamente sul sito ufficiale. Vi è stata una forte volontà da parte dell’istituzione tedesca di voler realizzare in ogni caso il progetto anche senza visitatori per la sua aderenza all’attualità e per i forti legami emersi con la problematica COVID-19 ora arrivata anche in Germania. Il progetto si ritrova infatti oggi in forte dialogo con questa emergenza, in primo luogo come già accennato per il titolo; in secondo in riferimento all’impatto psicologico che gli eventi dell’isolamento e dell’angoscia verso un futuro prossimo possono determinare a livello collettivo e individuale, e infine il dato scientifico recentemente dimostrato dai medici del Ditan Hospital di Pechino che il virus può attaccare il sistema nervoso centrale. L’interrogativo è: siamo in grado di comprendere e gestire i nuovi disagi in arrivo?
– Valentina Muzi
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