Su cosa stanno lavorando da casa gli artisti in questi giorni? La parola a Birgit Brenner
Continua con Birgit Brenner il racconto in trincea dalle case dei grandi artisti. Su cosa stanno lavorando? Come stanno trascorrendo questo momento? Come questo clima interviene sulla loro ricerca? Le risposte in questi piccoli video.
Come Artribune stiamo lavorando il più possibile in questi giorni per fare un’informazione civica e di servizio nei confronti dei nostri lettori e in sostegno al nostro settore, come altri molto colpito. Oltre a informare le persone e ad incoraggiarle a rispettare le prescrizioni sanitarie, stiamo cercando anche di offrire loro contenuti utili ed interessanti per passare nella maniera migliore il tempo in casa, distraendosi ma anche riflettendo. Come sempre gli artisti sono coloro che ci indicano la strada e che precorrono i tempi. Per questo stiamo ponendo proprio a loro una domanda semplice semplice: “su cosa stanno lavorando? Come stanno trascorrendo questo momento? Come questo clima interviene sulla loro ricerca?”. Abbiamo chiesto loro inoltre di risponderci tramite dei piccoli video. l primi a raccogliere questo invito sono stati Alfredo Pirri e Salvatore Iaconesi. Oggi, da Villa Massimo a Roma, dove è in residenza e avrebbe dovuto inaugurare una mostra il 18 marzo, a parlare con noi è Birgit Brenner, nata nel 1964 a Ulma e residente tra Berlino e Stoccarda, protagonista negli ultimi anni di mostre personali tra Kunststiftung Baden-Württemberg, Stoccarda (2018), Kunsthalle di Tubinga (2013), Dortmunder Kunstverein (2011), tra le altre.
IL RACCONTO DI BIRGIT BRENNER
“I temi dei miei lavori sono i problemi politici e sociali e le loro ripercussioni sull’individuo. Declino sociale, solitudine, disperazione, paure, crisi bancaria, realtà virtuale, digitalizzazione, insuccesso… insomma, come vivere la propria vita di questi tempi, in che cosa credere ancora oggi? Pregare, o rivolgersi piuttosto a un chirurgo estetico? I testi sono una componente importante del mio lavoro, in cui il testo e l’immagine – sia nell’installazione, sia nel film o nel disegno – non hanno lo scopo di illustrarsi a vicenda, ma piuttosto di ampliare il tema desiderato”, spiega la Brenner. “Colloco sempre le storie in un contesto privato, perché la rappresentazione di situazioni quotidiane permette di illustrare in modo esemplare le paure sociali. Quindi non mi interessa psicologizzare donne e uomini, ma usarli come superficie di proiezione per problematiche sociali. Essi rappresentano tutti e fungono da contenitore per i problemi sociali. È anche importante per me che rimanga in piedi solo la struttura necessaria per la storia. Smonto e seziono gli elementi dell’opera fino a quando rimangono solo le informazioni più necessarie. Attraverso la narrazione frammentaria, lo spettatore può e deve riempire le immagini mancanti con le proprie associazioni. In tal modo voglio che sia lo spettatore a crearsi un suo film immaginario. Proprio nello spirito del regista Jean-Luc Godard, secondo cui ciò che conta è quello che accade tra le immagini. Guardo le installazioni spaziali come un set cinematografico o un palcoscenico, da qui la scelta del materiale spesso effimero. Sono la messa in scena di un’osservazione fugace che dovrebbe mostrare la fragilità e vulnerabilità della vita. Ogni persona percepisce il mondo in modo diverso. Se si cambia prospettiva, emerge una realtà diversa. E se si mostrano contemporaneamente questi diversi livelli, come ad esempio nel film di Peter Greenaway Drowning by numbers, dove più azioni si svolgono contemporaneamente in primo piano e sullo sfondo, si ottiene una nuova prospettiva. La rappresentazione in scena dei problemi sociali e l’interazione di diversi livelli sovrapposti e angoli prospettici è ciò che mi interessa. E tutto questo, naturalmente, con un certo umorismo o ironia, che spesso sono insiti nella tragedia. I più grandi interrogativi della vita si affrontano al meglio con le immagini più piccole. Questa citazione di Randy Newman descrive appieno l’essenza del mio approccio”.
–Santa Nastro
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