Fase 2 e riapertura dei musei: le OGR di Torino nell’intervista di Nicola Ricciardi
È partita il 4 maggio la Fase 2 dell’emergenza Coronavirus in tutta Italia. Ma per i musei si parla di riapertura dal 18. Ne abbiamo parlato con Nicola Ricciardi delle OGR di Torino
Il 26 aprile è stata una data catartica per gli operatori del settore culturale che hanno visto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciare in conferenza stampa il via libera (se ovviamente queste due settimane di sperimentazione lo consentiranno) per la riapertura dei Musei italiani a partire dal 18 maggio (qui Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte ci aveva detto la sua). Ovviamente con delle restrizioni, rispettando il distanziamento sociale e molto altro ancora.
FASE 2 E RIAPERTURA DEI MUSEI
Noi di Artribune, nel format di dirette Instagram 10 alle 10ci siamo confrontati sul tema con Antonio Lampis della Direzione Generale Musei e prima ancora con la direttrice del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev. In attesa che scocchi l’ora zero ci stiamo confrontando con direttori e presidenti di Musei italiani pubblici e privati per capire cosa accadrà a partire dal 18 maggio. Partiamo da Torino, dal Piemonte, una delle Regioni più colpite di Italia: risponde Nicola Ricciardi, con due importantissime notizie.
Come avete salutato la notizia di una possibile riapertura del 18 maggio?
Per far fronte all’emergenza causata dal Covid19, a inizio aprile abbiamo messo le OGR Cult a disposizione del territorio e della collettività, affinché la Protezione Civile vi potesse allestire all’interno un presidio sanitario temporaneo. Quest’ultimo sarà ancora in funzione il 18 maggio, per cui di conseguenza tutte le nostre gallerie d’arte e le sale concerto non apriranno al pubblico per diversi mesi ancora.
Sarete pronti per quella data?
Come detto gli spazi di OGR Cult— ovvero i 9.000 metri quadri delle ex Officine Grandi Riparazioni dedicati alle arti visive e performative — non riapriranno il 18. Tuttavia stiamo lavorando per aprire già a partire dalla settimana del 4 maggio le OGR Tech, la manica sud del complesso, che ospita il nostro hub per la creazione collaborativa e l’incubazione di idee focalizzato su start up, industrie creative e smart data.
Avete ricevuto delle linee guida o dei criteri di base per ciò che concerne le tecniche di distanziamento sociale e la sicurezza dello staff?
Per quanto riguarda OGR Tech, ad oggi ci stiamo attenendo alle direttive e alle principali raccomandazioni contenute nel decreto della presidenza del consiglio dei ministri del 26 aprile. Manteniamo poi un dialogo costante con le parti sociali e con le autorità sanitarie per orientarci in maniera puntuale e garantire l’idoneità e la salubrità dei diversi ambienti di lavoro.
Quali saranno le prime azioni che porterete avanti?
Non potendo fisicamente aprire le porte delle OGR Cult, abbiamo già da un mese migrato tutte le nostre attività online, alimentando la nuova piattaforma “OGR is digital” con un ventaglio di proposte create con l’obiettivo di stimolare la curiosità dei visitatori anche da remoto. Le diverse iniziative sono pensate da un lato per condividere contenuti esistenti, e magari in prima battuta dimenticati, e dall’altro per costruire spazi virtuali inediti, in cui consolidare il rapporto e le interazioni tra la nostra istituzione e il pubblico.
Come pensi che cambierà il rapporto tra museo e spettatore?
Tutto ovviamente dipenderà dall’evoluzione della pandemia nel corso dei prossimi mesi. Ma personalmente ritengo che si tornerà a ristabilire un rapporto tra museo e spettatore “pre-covid” nel corso di un anno. Nell’inverno dello spirito di questi ultimi mesi ci sono stati sprazzi di primavera culturale online: penso ad esempio ai molti contenuti a cui abbiamo potuto accedere liberamente, messi a disposizione dalle istituzioni culturali di tutto il mondo. Ma non ho tuttavia incontrato tecnologie, piattaforme o canali che mi facciano pensare che il futuro più prossimo e immediato dell’arte contemporanea sia quello di abbandonare modelli di produzione e fruizione tradizionali a favore di una conversione digitale tout court.
Cosa salvi dei tuoi piani precedenti e cosa pensi che invece ormai sia irrecuperabile e irrimediabilmente obsoleto?
Il primo lockdown ci ha colti a pochi giorni dall’inaugurazione di “Unseen Stars”, la grande mostra di Trevor Paglen che avevamo ormai quasi completamente allestito nel Binairo 1 delle OGR. Nel tempo quella che sembrava una beffa si sta rivelando un appiglio di speranza. In questo periodo di sospensione delle certezze infatti, l’unica mia prospettiva sicura è che quella sarà, nonostante tutto, la prossima mostra che inaugureremo, e che sarà anche la più bella di sempre — fosse pure per il fatto che significherà che ci saremmo messi quest’inverno alle spalle. Anche la mostra di Jessica Stockholder, che avrebbe dovuto inaugurare a giugno, l’abbiamo confermata e subirà solo uno slittamento temporale. Resta invece più complicato fare previsioni sulla stagione musicale. Molto dipenderà dai protocolli di sicurezza sanitaria e distanziamento sociale che il governo deciderà di adottare per il pubblico spettacolo
Quali sono le urgenze, a tuo parere, fondamentali per la ripartenza dell’intero settore dell’arte?
Serve necessariamente — e con urgenza — un piano di intervento pubblico. Condivido in pieno l’appello lanciato da Pierluigi Battista che, sulle pagine del Corriere della Sera, auspicava un fondo nazionale per la cultura. Le industrie creative del paese hanno bisogno di un segnale forte, qualcosa di simile a quanto ha fatto oltremanica l’Arts Council UK, sotto la guida di Sir Nicholas Serota — che già da un mese ha annunciato un pacchetto di aiuti d’emergenza, destinato a salvare le organizzazioni artistiche dal fallimento, costituendo un fondo di emergenza di 160 milioni di sterline a favore di musei, gallerie, e (ancor più significativo in questo momento) artisti e professionisti dell’arte freelance.
– Santa Nastro
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