Giovani artisti e quarantena. Parola a Flavia Tritto
Su cosa stanno lavorando da casa i giovani artisti in questi giorni? Siamo nella Fase 2, ma nonostante le grandi realtà scaldino i motori, le iniziative per gli artisti emergenti non sono del tutto avviate. Questa volta a parlare è Flavia Tritto.
Una delle immagini più sconcertanti pubblicate a pochi giorni dalla Fase 2 è quella che riguarda la foce del canale di Agnena, nel territorio di Caserta. La scena, ripresa da un drone, dimostra come un’enorme macchia nera finisca direttamente in mare nella zona compresa tra Castel Volturno e Mondragone. In occasione del blocco pandemico rizomatico, la natura ha ripopolato i suoi ambienti con i propri colori e la bellezza discreta della biodiversità. Nonostante i drammatici avvenimenti della crisi sanitaria che hanno amplificato la forte connessione e vulnerabilità del nostro sistema, dovremmo ascoltare una volta per tutte le richieste del pianeta, e comprendere che forse siamo ancora in tempo per evitare le conseguenze più disastrose. Come specie dovremmo essere pronti a un atto di responsabilità nei confronti del prossimo e in “Difesa della Natura”.
LA RISCOPERTA DELL’ABITARE. DA BARI FLAVIA TRITTO
Flavia Tritto (Bari, 1994) afferma: “Come quasi per chiunque altro, questa crisi ha completamente sconvolto i miei progetti, stravolgendo la forma e i contenuti che questi e i prossimi mesi avrebbero dovuto avere. All’inizio della quarantena ho deciso che non sarei mai uscita, non tanto per essere una cittadina modello quanto per usare quest’occasione per esplorare, vivendole, le dinamiche e le implicazioni dell’isolamento. Mi era sembrato terreno inesplorato fertile per la mia ricerca – che si focalizza su (inter)soggettività e (auto)percezione ‒e così il mio lavoro è da subito diventato sia una sorta di specchio di quest’esperienza che uno strumento per comprenderla. Mi è stato difficile continuare a lavorare sugli specifici progetti a cui mi stavo dedicando prima, soprattutto perché ho visto rimandare a data da destinarsi la mostra personale che avrei inaugurato a metà aprile presso la Galleria Museo Nuova Era, sulla quale mi ero focalizzata negli ultimi cinque mesi, e sospendersi le residenze e gli eventi estivi a cui avrei dovuto partecipare”.
Come si è sviluppata la tua pratica artistica?
La mia pratica si è articolata in maniera più rizomatica, forse più vorace, del solito, un po’ disorientata dalla diversa esperienza di tempo e spazio vissuta. Tra le esplorazioni multimediali intraprese, mi piacerebbe condividere qui alcuni scatti di un progetto fotografico che ho portato avanti durante l’isolamento. Ho proiettato negli spazi domestici le diapositive di un vecchio archivio di famiglia da poco ritrovato, nel quale la nostra storia familiare si intreccia a quelle di persone che io ho solo superficialmente o mai conosciuto. Ho intrapreso questa sperimentazione credendo di voler cercare, nell’archivio e nella stratificazione, degli strumenti di evasione spazio-temporali; ma mi sono poi resa conto di star cercando fondamentalmente delle forme di relazione.
In quali altre direzioni ti sei mossa in questo periodo?
Mettendo da parte le ricadute personali, mi è piaciuto credere che questa crisi potesse essere un’occasione unica con un potenziale rivoluzionario. È per questo che nella seconda settimana ho lanciato il progetto online Per Un Nuovo Agire Sociale (PUNAS), una piattaforma dove condividere le riflessioni e le sensazioni del presente e usarle come punto di partenza per ridefinire il mondo in maniera diversa. Desideravo fare leva sull’unicità del momento per invitare i lettori a tracciare interiormente le linee guida del loro rinnovato agire sociale. Temevo che nulla sarebbe cambiato a livello di consapevolezza e coesione sociale, e che alla fine saremmo tornati alla normalità ‒ non poi tanto desiderabile ‒ o che la nuova normalità ‒ probabilmente addirittura più inquietante ‒ si sarebbe stabilizzata acriticamente nelle nostre vite. La piattaforma, quindi, voleva essere un antidoto contro l’abitudine e la memoria corta, come l’ha giustamente definita un’amica.
E quindi come è stato uscire di casa dopo questi mesi?
Quando sono uscita di casa, dopo quarantacinque giorni, mi è sembrato di atterrare su un pianeta alieno. Tutto mi è parso radicalmente cambiato: la maniera della gente di occupare lo spazio pubblico, di stare fermi, lontani e soli nelle file per gli alimentari, la nonchalance nell’evitarsi e nel guardarsi con diffidenza. Credo di essermene potuta rendere conto a pieno proprio grazie alla completa reclusione dei giorni precedenti. Uscendo ora che la Fase 2 è cominciata, noto invece lo stridere dell’intreccio delle vecchie e delle nuove abitudini, e spero che questo mix di superficialità e diffidenza non ci sia letale. Mi auguro che, singolarmente e collettivamente, sapremo plasmare questo nuovo scenario per lavorare in maniera come mai consapevole, unita, e costruttiva, e sono felice di riscontrare già da ora numerose iniziative in questo senso.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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