Giovani artisti e quarantena. Parola a Maria Chiara Ziosi
Abbiamo atteso il 18 maggio come il d-day e molti musei e gallerie hanno riaperto con le dovute precauzioni di sicurezza. La voglia di rientrare in una nuova normalità c’è, ma molti operatori dalla filiera dell’arte sono ancora in cassa integrazione. Questa volta parliamo con Maria Chiara Ziosi.
Non è finita, siamo solo entrati in una nuova fase della normalità e per riprendere possesso di questo mondo dobbiamo riscrivere, almeno per ora, le regole del gioco. I musei, le fondazioni e le gallerie riaprono e i wall di Instagram e Facebook tornano a ripopolarsi con foto di visitatori che fanno il loro ingresso rigorosamente in fila, distanziati e con tanto di mascherine. In questi mesi la voglia e l’interesse non sono mancati, ma in questa riapertura mutilata chi continua a farne le spese sono le numerose braccia che animano la filiera del contemporaneo, tutt’ora in cassa integrazione, ma la verità è che molti di loro non vedono un soldo da marzo. Inoltre la programmazione dei project space resta ancora sospesa e a data da destinarsi, mentre alcuni provano lentamente a ripartire realizzando un’autogestione responsabilizzata, poiché, nonostante le belle parole di questi mesi, alla fine in questo presunto nuovo inizio ci ritroviamo a essere tutti figli di un dio minore. Abbiamo parlato con Maria Chiara Ziosi (Cento, 1995).
Mi scrivi che attualmente sei a Venezia e con te hai pochi lavori e tanti pensieri confusi. Come ci si sente a ragionare a distanza dalle proprie cose?
Sì, attualmente mi trovo a Venezia e gran parte delle mie cose sono rimaste a Bologna. Da un certo punto di vista mi affascina la distanza fisica che mi separa dai miei lavori, mi piace immaginarli soli, nell’attesa che succeda qualcosa, anche perché quasi tutti rispecchiano questa natura, in quanto sono frutto di riflessioni legate all’adattamento o all’inerzia.
In questa fase di transizione le libertà individuali sono molto più accessibili, in che modo cerchi di riorganizzare il tuo lavoro?
In realtà questa fase di transizione non è altro che un ulteriore momento di indagine per me. Non ho mai smesso di concepire la mia pratica come fisica e reale, dunque la sua riorganizzazione sarà legata principalmente a occasioni future. Per me sarà molto importante il ritorno del dialogo, il confronto con qualcuno e al contempo usare in modo libero il silenzio che è stato violentemente e meccanicamente messo da parte nelle conversazioni a distanza.
In questi due mesi e mezzo abbiamo assistito a un forte sentimento di comunità nel mondo dell’arte. Come pensi andrà a finire una volta che ci abitueremo a questo nuovo mondo?
Non penso di avere il lusso di poter fare previsioni e a dire il vero non voglio nemmeno ipotizzare conclusioni, soprattutto in questo momento in cui ci troviamo di fronte a una grande instabilità continua. Mi auguro di certo che il sentimento di comunità che è emerso nel mondo dell’arte prosegua nel dare vita a forme nuove, senza disperdersi e parcellizzarsi nuovamente nella direzione opposta, cioè tornando a dinamiche precedenti.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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