Fase 2: riapre il 18 maggio il Museo Pecci di Prato. Con ingresso gratuito
Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato riapre il 18 maggio. In linea con le norme per il social distancing. L’intervista con Cristiana Perrella.
Continua la nostra inchiesta sulla Fase 2 dei Musei Italiani. Dopo l’annuncio che vede una possibile riapertura al 18 maggio e mentre da Svizzera, Germania e in Austria giungono alcuni modelli, anche nel nostro Paese cominciano ad arrivare le buone notizie. La prima ce l’ha data Nicola Ricciardi pronosticando una apertura in settimana di OGR Tech. Questa volta, invece, parliamo con Cristiana Perrella direttrice del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Ecco cosa ci ha detto.
Come avete salutato la notizia di una possibile riapertura del 18 maggio?
Con molta felicità. È un bel segnale che i musei possano rispondere tra i primi all’esigenza che tutti avvertiamo molto forte di tornare alla vita con gli altri, all’esperienza reale delle cose.
Sarete pronti per quella data?
Si, il museo ha spazi molto grandi, più di 8000 mq, per non parlare del giardino e delle aree esterne: per noi sarà più facile che per altre istituzioni gestire in sicurezza il flusso dei visitatori.
Avete ricevuto delle linee guida o dei criteri di base per ciò che concerne le tecniche di distanziamento sociale e la sicurezza dello staff?
La Regione Toscana ci ha inviato un’ordinanza del Presidente già il 18 aprile, con delle linee guida alle quali ci siamo adeguati e che andranno adattate alla riapertura. Il distanziamento tra persone dovrà essere di 180 cm, maggiore che in altre regioni. Per lo staff, si continuerà dove possibile a lavorare da casa.
Quali saranno le prime azioni che porterete avanti?
Apriremo con l’ingresso gratuito, che vorrei mantenere, almeno per la gran parte degli spazi del museo, fino a luglio. Ci piacerebbe che il museo fosse percepito, ora più che mai, come uno spazio aperto e accogliente, anche per chi non ci è mai venuto prima. Per questo vogliamo lavorare ad abbassare la soglia d’accesso, curando molto tutte le forme di mediazione e sperimentandone anche di nuove. Dedicheremo poi alcune sale del museo alla didattica, ampliandone così gli spazi e consentendo l’accoglienza di un buon numero di persone in totale sicurezza. I musei riaprono prima delle scuole e credo sia importante che possano offrire occasione ai più piccoli – e non solo- di recuperare il piacere di stare insieme, di impegnarsi in attività creative, di viaggiare con la mente.
E il programma?
Riapriamo con un’offerta piuttosto varia, la mostra The Missing Planet, sull’arte post-sovietica dalla nostra collezione e da altre importanti raccolte internazionali, molto ricca di opere e di spunti di riflessione legati ai cambiamenti epocali degli ultimi trent’anni, poi Interregnum,un film di montaggio di Adrian Paci dedicato alle cerimonie d’addio ai dittatori dei paesi comunisti, che dialoga con la mostra in corso e che verrà installato proprio in occasione della riapertura. Esporremo poi nelle sale tutte le bandiere realizzate dagli artisti per noi in questi mesi, una a settimana, per essere fatte sventolare davanti al museo chiuso, come segno di resistenza e di speranza. Le bandiere saranno oggetto di uno dei laboratori per i bambini. Infine, dovremmo inaugurare una nuova mostra fotografica, dedicata in particolare, ma non solo, al pubblico giovane. Per questo progetto, però, stiamo ancora cercando di capire come gestire la logistica, non è detto che si riesca ad inaugurarlo nei tempi che per ora abbiamo in mente. Stiamo infine lavorando sull’uso degli spazi esterni, tra cui il nostro teatro all’aperto da 900 posti. Anche riducendoli a un terzo, rimangono una risorsa preziosa per ospitare una programmazione che potrebbe essere varia, spaziando dal cinema, agli incontri, alla musica, permettendoci di rispondere alla domanda di offerte culturali che credo sarà forte in un’estate in cui molti rimarranno in città.
Come pensi che cambierà il rapporto tra museo e spettatore?
Nei prossimi mesi il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e questa sarà spero l’occasione per aumentare la familiarità dei cittadini con il museo, per stabilire una maggiore consuetudine rispetto alla sua frequentazione, anche grazie all’ingresso gratuito. Mi piacerebbe che ci si sentisse liberi di venire per visitare magari solo una delle mostre e poi tornare per vedere con calma un video e ancora per fare un laboratorio assieme ai propri figli. Rafforzare una dimensione locale, in termini di ruolo riconosciuto che un museo deve avere nel suo territorio grazie alla capacità di rispondere ai bisogni, di chi ci vive, e in questo modo coagulare intorno a se una comunità, credo sarà una sfida importante. Altrettanto importante sarà utilizzare lo spazio del digitale per mantenere vivo il discorso critico, lo scambio con una comunità più vasta e internazionale, in un momento in cui la condivisione di pensiero, di contenuti, il confronto tra posizioni ed esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi protocolli per l’arte.
Cosa salvi dei tuoi piani precedenti e cosa pensi che invece ormai sia irrecuperabile e irrimediabilmente obsoleto?
Per ora il programma annunciato rimane integro. Ci saranno slittamenti in avanti e una diversa sequenza delle mostre ma i progetti sono confermati. Abbiamo lavorato sempre con una grande attenzione alla sostenibilità di quanto proponiamo, alla responsabilità curatoriale. Da quando sono al Pecci mi batto contro l’idea di “grande mostra” a favore di progetti che abbiano un’ agency sociale, un rapporto stretto con il contesto culturale espresso dal museo, che lavorino sul ripensamento di valori e significati dominanti, sul pensiero critico. Credo che questa linea programmatica continui ad essere valida e anzi, lo sia a maggior ragione ora.
State cercando di aprire un dialogo con il Ministero? Con che richieste?
In questi due mesi siamo stati troppo impegnati a rispondere all’emergenza, continuando ad avere una voce, per cercare un dialogo con il Ministero, che, dopo aver sollecitato i musei a rimanere attivi attraverso il digitale, ha tardato però a prendere in considerazione i bisogni e le urgenze del nostro settore. Credo che il rapporto con i musei d’arte contemporanea, non solo con i due statali ma anche con quelli regionali e comunali debba essere di maggiore ascolto e maggiore collaborazione, soprattutto considerando che sono un elemento fondamentale di contatto con la materia viva dell’arte, con gli artisti. Si parla di rilanciare la produzione di opere pubbliche, di un nuovo WPA. Credo che, piuttosto che centralizzare un’azione di sostegno alla produzione artistica, avrebbe senso far passare questo processo attraverso la rete dei musei, anche agendo per incrementare le loro collezioni.
Quali sono le urgenze, a tuo parere, fondamentali per la ripartenza dell’intero settore dell’arte?
Riconoscerne le professionalità e far uscire dalla precarietà esistenziale molti dei lavoratori che ne fanno parte. Supportare la ricerca, la produzione critica. Dinamizzare il mercato abbassando l’iva. Incrementare le collezioni pubbliche.
– Santa Nastro
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