La Fase 2 delle gallerie italiane: intervista a Umberto Di Marino da Napoli
Come sarà il futuro delle gallerie d’arte? E la fase 2? Intervista al gallerista Umberto Di Marino…
Come stanno reagendo le gallerie d’arte contemporanea italiane all’emergenza Covid-19 e ai primi segnali della Fase 2? Ve lo stiamo raccontando passo passo con le voci dei protagonisti. Le prime impressioni c’erano arrivate da Alfonso Artiaco, Galleria Continua, Monitor, Mazzoleni, Poggiali, Massimo Minini, in un articolo apripista di questo dibattito. Poi avevamo interrogato Valentina Bonomo da Roma, i titolari della P420 di Bologna, Franco Noero da Torino, Thomas Dane, da Napoli, da Milano e Pescara la galleria Vistamare, da San Marino, Claudio Poleschi, Antonella Berruti e Francesca Pennone della galleria Pinksummer da Genova, Enzo Cannaviello da Milano, Lia Rumma da Napoli. Sempre da Napoli ci risponde Umberto Di Marino.
Naturalmente questo è un momento estremamente difficile a livello umano e sociale, ma concentrandoci esclusivamente sugli aspetti professionali, quali sono attualmente i rischi e le preoccupazioni per una attività imprenditoriale come quella di una galleria?
Non mi piace suddividere in compartimenti stagni il nostro lavoro, isolare in piani e gerarchie le trasversali esperienze di cui si costituisce non è una pratica che ritengo ideale per un’analisi approfondita. Dover sempre fare i conti con una realtà rigidamente disgiuntiva non aiuta alla comprensione di quelli che potrebbero essere i rischi, siano essi professionali, sociali o umani. Il rischio per un’attività culturale riconosciuta ufficialmente solo come attività commerciale è quello di essere squalificati dal punto di vista umano, sociale e culturale. Abbiamo bisogno di fiere, mostre in musei o in galleria, convegni, conferenze, visite guidate e che a goderne sia un pubblico non depresso. Le difficoltà umane e sociali e l’univoco riconoscimento commerciale – rigida categorizzazione – rappresentano preoccupazioni e rischi della nostra attività.
Avete lavorato con la vendita a distanza?
In un momento come questo i canali di vendita tradizionali sono bloccati, e mi sembra lo siano anche i loro corrispettivi a distanza, dunque non credo sia questo il giusto banco di prova per saggiarne l’efficacia. Certo, il lavoro a sostegno degli artisti è incessante e come sempre continua nonostante le avversità, così come prosegue con costanza la cura dei rapporti umani e professionali sviluppatisi intorno alla galleria.
Che tipo di iniziative, anche culturali, state portando avanti per il vostro pubblico e con che obiettivi?
Abbiamo riproposto l’esperienza di Visto da qui – progetto “a episodi” realizzato in galleria tra Aprile e Dicembre 2019 – cercando di aprire una discussione intorno alle necessità, le aporie, le forme espressive, le definizioni standardizzate e le incongruenze della galleria e del lavoro artistico oggi in Italia, invitando il nostro pubblico a partecipare e ampliare la discussione con proprie testimonianze, le quali si aggiungono alla sezione di approfondimento dei vari episodi. Stiamo pubblicando parte dell’archivio fotografico relativo alle mostre realizzate in passato, alla loro produzione, ai momenti di socialità e collaborazione. Abbiamo partecipato ad ArteBa Special Edition by Artsy, causa annullamento della fiera a Buenos Aires, ma è chiara la natura sperimentale degli eventi digitali, divertenti esercizi per tenere la mente occupata e stimolare qualche vaga forma d’attenzione.
Fase 2: cosa vi aspettate per il futuro del sistema dell’arte? Siete pronti a riaprire?
Siamo pronti a riaprire, come immagino lo siano tanti altri colleghi, vedremo a tempo debito quanto e come sarà cambiato il mondo, il sistema, il mercato, ma abbiamo tutti ben chiaro qual è la “posta in gioco”? Possiamo definirci un meccanismo di potere collettivo costituito da individui in grado di pensarsi e definirsi in quanto tali? Tralasciando slanci e previsioni riguardo il futuro di qualcuno o qualcosa, credo sia su questo che dovremo lavorare nel nostro presente: individuare sfide e obiettivi comuni e comprendere la nostra posta in gioco, solo questo ci restituirà un sistema; il nostro lavoro non credo debba alimentare l’apologetica delle belle parole e delle belle intenzioni, dovrebbe invece vincere la sfida proveniente dall’esterno utilizzando il proprio sapere, non coltivandolo.
L’intera stagione fieristica del primo semestre di quest’anno è saltata, con probabili ripercussioni anche sulla seconda parte dell’anno: pensi che le viewing room e le manifestazioni virtuali possano essere un buon compromesso?
Come dicevo poc’anzi, abbiamo partecipato alla versione online di ArteBa promossa sulla piattaforma di Artsy e ci siamo divertiti a mantenere vivi contatti e stimoli vari, ma la sensazione dominante riguardo queste iniziative è di inconsistenza, dispersione e subordinazione dell’arte alla priorità dell’ultima ora. In un momento difficile non possiamo dare una valutazione netta, ma è chiaro che queste strutture abbiano ancora la forma di un grosso calderone, che mal si adegua all’esperienza e alle categorie che ognuno di noi attribuisce alla fiera.
Come cambierà a vostro parere il sistema dell’arte in seguito a questa emergenza? Quali strategie secondo voi si possono attivare per fare fronte comune?
Se fosse un sistema avrebbe già affrontato le sfide che ha urgente bisogno di vincere. Mi unisco al coro di chi chiede la costituzione di una forza comune, che pretenda compatta una regolarizzazione istituzionale della galleria come luogo di produzione e promozione culturale, non solo come attività commerciale, da cui dovrebbero derivare benefici concreti: acquisizioni, defiscalizzazioni per i collezionisti, livellamento e migliore stratificazione della tassazione ecc. ecc. (roba già detta, cosa aggiungiamo? Quando iniziamo?). In alcune città le gallerie hanno rappresentato l’unica strada alla costruzione di una cultura dell’arte, risvegliandole dal torpore, traghettandole nella contemporaneità precedendo di gran lunga i musei, nati intorno a questo fenomeno; mi sembra giusto che questo lavoro un giorno venga quantomeno riconosciuto.
E in che modo i settori pubblico e privato possono lavorare insieme?
Il settore pubblico può lavorare proficuamente con quello privato e noi possiamo testimoniare a favore di una città come Napoli, che attraverso le sue istituzioni culturali si mostra sempre aperta e sensibile a scambi e confronti tra spazi, idee e artisti. Questo non è abbastanza, e a renderlo possibile è spesso la forza di volontà di professionisti e operatori del settore pubblico capaci e sensibili verso il nostro lavoro, non un vero impegno della macchina istituzionale, che quasi non riconosce il nostro operato sul territorio.
–Santa Nastro
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