Messaggi dalla quarantena #4. Noi e gli altri, il desiderio dell’altro lontano, la nostalgia
Cinque artisti si interrogano sul rapporto fra noi e gli altri messo duramente alla prova dalla quarantena.
Dove sono tutti gli altri, oltre a quelli che non abitano dentro la nostra casa, dove sono i nostri cari, i conoscenti, gli ultimi della terra che abbiamo abbandonato, i primi della lista di quelli che vorremmo correre a riabbracciare? Sono in altre case, in ospedali, sulle strade, in mare, dietro la porta accanto. Sono nel nostro desiderio, nei sogni, nella nostalgia. Dove sono gli altri e dove siamo noi? Alcuni artisti hanno provato a spiegarlo. Maria Vittoria Trovato, Lorenza Boisi, Daniel Maillet, Pino Deodato, Francesco Cuna.
‒ Mercedes Auteri
LE PUNTATE PRECEDENTI
Messaggi artistici dalla quarantena #1. Paesaggio senza figura
Messaggi artistici dalla quarantena #2. Il trauma, il lutto, il dolore
Messaggi dalla quarantena #3. Oggetti inanimati e natura morta
MARIA VITTORIA TROVATO
Maria Vittoria mi ha detto: “Sulla quarantena no comment”, ché non ne può più. Però mi ha mandato due foto scattate sulla nave Grande Atlantico, dove la nostalgia è attaccata alle ringhiere, e mi ha detto che Marco Ciriello aveva espresso meglio di lei questo sentimento di amore all’incontro, all’altro lontano, al viaggio, che c’è nelle sue opere. “Navi, uomini e mare, in tutte le sue forme. Da un continente all’altro, attraversando l’oceano Atlantico con un cargo, i Caraibi in crociera, il Mediterraneo su una piattaforma petrolifera, la Corea del Sud nel cantiere navale più grande del mondo, il mar Baltico su una rompighiaccio o la Sicilia su una nave bloccata dalla crisi economica. Inseguendo l’umanità che sta sull’acqua, una specie a disagio. Il mondo del mare non ha stagioni né soste. Cambiano gli oceani, i continenti, la forma di lavoro lasciando un mucchio di storie da romanzo. Capitani, mozzi, marinai, saldatori, operai, imbarcati per sogno, per fame, per continuità familiare. Esigenze e speranze diverse che si mescolano ma che diventano tutte uguali davanti a una tempesta o in un porto africano”.
LORENZA BOISI
Autumn Night è un’opera terminata nel 2020, poco prima del lockdown. In una notte d’autunno come altre, due persone, uomini o donne, si trovano su una minima imbarcazione, forse raccontandosi aneddoti del comune passato, forse solo in attesa di un accenno di abbocco. Una scena come tante della mia vita e della vita di altri, mai abbastanza abituati a tutte le coloriture di un lago assolutamente Maggiore. In questo tempo sventurato, la mia maggiore aspirazione.
My Solitary Life è un’opera del 2019, ispirata al personaggio di Antoinette de Saint Lèger, una nobile e avventurosa aristocratica che, tra le altre imprese, creò il giardino botanico, tuttora in essere, sull’isola maggiore di Brissago, Isola di San Pancrazio. Una donna, in compagnia di se stessa e di un gatto nero, forse una tazza di tè, contempla il mistero di una notte invernale, osservando il lago dalla sua finestra, sullo sfondo una luna piena sopra monti innevati. Antoinette oppure Lorenza? E il suo gatto, come il mio, si chiamerà BillyZane? Per qualcuno non tutto è cambiato.
DANIEL MAILLET
Avevamo un volo per Milano, progettavamo da tempo un vero e proprio trasloco, abbiamo trovato un antico cascinale nel Monferrato e vorremmo andare ad abitarci. Sono pronte 23 grandi casse di sculture e 2 di pitture che verrebbero con noi in Italia via mare. Ma il volo pochi giorni prima è stato cancellato, forse per fortuna, se qui dove stiamo (spero) il virus non sopraggiunge così violentemente come da voi. Noi viviamo in aperta campagna, anche se ogni tanto bisogna andare in città per fare compere, a Cunha, tra Rio de Janeiro e São Paulo, quasi sulla linea del Tropico del Capricorno. Ho scelto di venire a vivere in questa cittadina perché è un incredibile centro di ceramica internazionale, con innumerevoli forni, una cosa unica per il Sudamerica. In campagna ho un atelier con un forno per sculture di grandi dimensioni che, quando saremo in Italia, verrà gestito da mia figlia, che ne farà un artist residence, e dove tornerò ogni tanto per gestire dei corsi. Non so quando potrò realizzare questo sogno. Nel Monferrato forse riuscirò a restaurare un grande porticato e a installare un altro forno, creare un atelier e invitare amici artisti ceramisti di Cunha a tenere corsi/workshop di ceramica: scultura in argilla per terracotta e gres. Principalmente mi piacerebbe parlare della conquista del gres grazie alla cultura asiatica dei forni ad alta temperatura in contrapposizione alla fragile scultura in terracotta, millenaria, della cultura mediterranea. Quasi non esiste più in Italia chi fa scultura figurativa in argilla di grande formato. E nessuno che la sappia portare alle alte temperature con cui può diventare dura come il granito. Se il disegno nell’arte moderna e contemporanea ha seguito il cammino della de-strutturazione dei linguaggi classici, io ho intrapreso la strada opposta, quella della ristrutturazione del linguaggio figurativo: lo racconto in un video che Daniel Capuruço ha girato su di me. Ti mando alcuni ritratti del periodo milanese/ticinese (1988-2002) sui fondi bianchi alti 2 metri e larghi 4 metri, uno dove ci sono i miei genitori, Regina Lippl e Leo Maillet, e una scultura del periodo equatoriale/tropicale (2002-2020) di grandi dimensioni che doveva essere esposta in una mostra già allestita e ora annullata. Spero di potertene parlare presto dal vivo.
PINO DEODATO
Come nell’opera Il cielo in una stanza, anch’io ho ancora un tavolo per pensare. In studio non posso più andare, perciò ho conquistato un piccolo spazio in cucina. Lavoro ma con inquietudine, le opere sono piccole, l’argilla è poca, devo razionarla. Tutte le opere hanno a che fare con la mia quotidianità domestica. Letto, credenza, cassettone, sedie e tavolo. Un po’ quello che mi circonda. Un cielo entra nella mia camera. La posizione con i piedi sul tavolo non è verosimile. Ma niente mi sembra vero in questi giorni.
Questa mattina dalla finestra ho salutato i miei vicini da lontano. L’opera Tutti, che ho realizzato nel 2017, credo rappresenti in modo simbolico le problematiche di questa pandemia che riguarda tutti, vicini e lontani. La moltitudine di libri che il mio omino fatica a sistemare sono le storie di quelli che non ci saranno più e di quelli che rimarranno. Sono tutti e tutto, sono la memoria e la conoscenza dell’umanità intera.
FRANCESCO CUNA
Un Arlecchino, forse contagioso, pieno di tracce, immobile, solo, testimonia passaggi fino a dissolversi completamente in acqua e colore. Il suo volto non lascia trapelare intenzione o sentimento. Un novello martire, che dona il suo corpo alla vita che lo segna e la mostra, di riflesso. Siamo così, volenti o nolenti immersi in un mondo che ci compone e che ci resta addosso, aderendo come un guanto, più di un guanto. Ci coincide.
Per Smile ho dipinto un soggetto serio, non austero, che offre il corpo a un sorriso, a volto impassibile. Il nero dei capelli si congiunge ai segni di un gioco: deciso o subito, non ci è dato saperlo, ma è un gioco ironico e ammiccante. Sorride il corpo del soggetto dipinto, sorridiamo noi nel guardarlo: ma è un sorriso storto, che sottende altro. Potessimo dare un nome al sentimento che provoca, sarebbe qualcosa di molto vicino alla nostalgia. Nostalgia di qualcosa di distante nel tempo, come un gioco bambino. Nostalgia che attende, e sorride.
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