Musei: ora ripartire dall’arte contemporanea
Mai come in questo momento la cultura ha bisogno di un piano collettivo e condiviso. E allora perché non ripartire dall’arte contemporanea italiana facendo “sistema” e lavorando come Paese a una riapertura davvero efficace? Le riflessioni di Marco Bazzini.
Alla ripresa delle attività espositive nell’immediato secondo dopoguerra la politica culturale da intraprendere fu chiara: la necessità primaria era quella di aggiornare il pubblico sulle ricerche estetiche internazionali. La Biennale d’Arte di Venezia del 1948, dove fu presentata per la prima volta anche la collezione di Peggy Guggenheim, fece da apripista. Ma non dobbiamo dimenticare che già alla riapertura della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nel dicembre del 1944, la straordinaria Palma Bucarelli aveva presentato una “Esposizione d’arte contemporanea” invitando gli artisti italiani dalle posizioni più “moderne” e “nuove”. L’esigenza di recuperare una parte di strada che il ventennio e la guerra avevano brutalmente interrotto fu parte integrante di quel processo di rinascita che il Paese tutto seppe mettere in piedi per restituire dignità e benessere.
Forse oggi non altrettanto chiaro appare il percorso che i musei e le altre sedi espositive dovranno imboccare per la ripresa delle attività. In questi mesi di isolamento, grazie anche alla grande spinta delle proposte online, chi era a casa ha avuto più di un’occasione per tenersi aggiornato, quindi non sarà da ripetere l’esperienza di 75 anni fa.
Tra le molte domande (e dubbi) che in questi giorni turbinano nella testa di chi si appresta a immaginare la riapertura trionfano le incognite in quanto è ancora presto per fare attendibili previsioni su quello che realmente succederà. Ad esempio, non abbiamo ancora un’idea di quali saranno i fattori distintivi che dovrebbero portare il “nuovo pubblico” a varcare la soglia di un museo o di una mostra. La sola certezza è che il pubblico avrà richieste e comportamenti diversi (migliori o peggiori?) da quelli che abbiamo conosciuto fino a qualche mese fa. È quindi importante impostare subito e una volta per tutte politiche che spostino le attività da “verso il pubblico” a “con il pubblico”: fare dei musei ‒ come ho già detto ‒ dei luoghi di conversazione (che non vuol dire star lì a ciaccolare) potrebbe essere già un buon inizio per iniziare a diradare un po’ di nebbie. Cogliamo questo momento per fare un museo che sappia essere un compagno di strada e non soltanto una guida, visto che per un bel po’ di tempo i futuri visitatori saranno i membri di quella collettività su cui è radicato (come sempre sarebbe dovuto anche essere).
LE POTENZIALITÀ DELL’ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA
Ma tra i compagni di strada di un museo, soprattutto se di arte contemporanea, come è stato giustamente sottolineato già in altri contributi che in questi giorni hanno animato il dibattito post COVID, ci devono essere indiscutibilmente anche le nostre artiste e i nostri artisti.
Come già accaduto in altri momenti di crisi, anche recenti, torna il “bisogno” di guardare dentro casa. Anche questa volta, a giudicare dai contributi, siamo tutti carichi di buone intenzioni; speriamo però che l’entusiasmo non si esaurisca in breve tempo come è accaduto altre volte. Tornare a occuparsi delle nostre cose dovrebbe essere una volontà non dettata dalla sola necessità ma piuttosto dal vero bisogno di novità che è alla base di ogni ricerca e scoperta umana. E che dovrebbe essere anche alla base di questo nuovo inizio che è cosa un poco diversa da una ripartenza.
Saperi, energie e qualità nel Paese ci sono, solo che sono slegate tra di loro. È vero che, per fortuna, nuove reti stanno nascendo mentre alcune di quelle già in uso si stanno rianimando. Ora è il momento della determinazione: chi guida o guiderà le istituzioni politiche e museali è chiamato a fare una scelta, a operare un cambio di rotta. È l’ora che i musei tornino a mettersi in gioco, tornino a far crescere dentro di loro il giudizio critico smettendo di ratificare soltanto i “gusti” altrui. È l’ora di andare a investigare differenti “linee della ricerca artistica”, linee che fino a questo momento sono state sottaciute, polarizzando le invece ricche e articolate vicende italiane in un ristretto numero di artisti. Da subito si inizi a far “parlare” le collezioni (chi negli anni ha raccolto e investito ora sarà avvantaggiato) presentando anche quanto è rimasto chiuso nei depositi. L’arte è ricca di biodiversità, un bene prezioso che, come per l’ambiente, va salvaguardato e tenuto vivo. Ma soprattutto quello che non possiamo e non dobbiamo più permettere è che intere generazioni di artisti e di artiste scompaiano per poi recuperare alcune o alcuni di loro soltanto in là con gli anni, se va bene. Altrimenti post mortem. Un problema che investe pesantemente non soltanto i più anziani ma, purtroppo, anche le generazioni successive a partire da quella che è apparsa sulla scena negli Anni Ottanta e Novanta; quanti di loro, ad esempio, hanno avuto una rilettura museale della loro opera? Quante di quelle vicende sono state indagate a fondo e con scientificità nei nostri musei? Eppure la qualità del loro lavoro è alta, come è alta la qualità delle opere di coloro che sono arrivati nel nuovo millennio, anche loro a rischio di forte dispersione se non ci impegniamo subito nei loro confronti. Troppi artisti sono stati ingiustamente abbandonati lungo il cammino con il risultato di aver impoverito quel tessuto sparso e diffuso che da sempre contraddice l’arte italiana.
“Si dia vita tutti insieme a una grande intelligenza collettiva che sappia mettere insieme un’attenta e nuova lettura del panorama artistico italiano più recente e promuovere seriamente quello del presente”.
Se davvero vogliamo riportare al centro i nostri artisti, lo passiamo fare solo entrando nel vivo del corpo dell’arte e lì operare con rigore, scientificità e solidi progetti. Stesso metodo da usare per i giovani le cui mostre sono certamente da moltiplicare ma con nuove formule e dicendo una volta per tutte addio ai corposi censimenti. Facciamo in modo che ogni mostra sia davvero un’occasione per chi partecipa approntando progetti curatoriali ben definiti e solidità di produzioni.
Se come nel secondo dopoguerra dobbiamo trovare una nuova politica culturale e se questa risposta potrebbe stare nell’attenzione per l’arte italiana che oggi in molti giustamente invochiamo; se veramente siamo convinti che questa sia la strada da imboccare, si riparta dai musei che di questa volontà dovranno essere i veri agitatori (AMACI in testa a tirare il gruppo) ma s’investa immediatamente e direttamente il Ministero (mai altro Ministro è stato così vicino all’arte contemporanea come Franceschini) e a seguire le regioni e i comuni; si coinvolgano fondazioni (ex bancarie e private), gallerie e archivi, banche, accademie e ISIA, centri di ricerca e università, associazioni non profit, quanti in questi anni sono stati un presidio importante di scoperte e conoscenza. Si mettano in moto idee e strumenti amministrativi e gestionali, si stringano legami e relazioni, si proceda alla progettazione di un unico grande progetto di sistema dove ciascuno possa giocare una parte anche in stretta relazione con il suo territorio. Si dia vita tutti insieme a una grande intelligenza collettiva che sappia mettere insieme un’attenta e nuova lettura del panorama artistico italiano più recente e promuovere seriamente quello del presente. Risorse pubbliche e private si concentrino insieme per creare una stabile architettura di sistema, una macchina che sappia creare un vero investimento strutturale, che sappia produrre nel tempo una seria promozione e valorizzazione della nostra arte contemporanea. Un’utopia che potrà tornare a vantaggio di tutti, anche della lunga filiera di aziende, professioni e mestieri che sta dentro quello che è un vero e proprio comparto produttivo. Come a vantaggio di tutto il Paese, e ancor di più dei singoli territori, sarà l’energia creativa che da questo movimento sapremo far scatenare. Non sia un ostacolo (o piuttosto un alibi) la disomogenea distribuzione dei musei sul nostro territorio, il contemporaneo oggi si costituisce di una variegata presenza di soggetti diversi che sanno ben animare i posti in cui stanno, anche lontano dai grandi centri.
Infine, l’ultimo tassello (ultimo ma non ultimo) di un così ambizioso progetto dovrebbe essere il coinvolgimento del pubblico come uno dei protagonisti di questa riscrittura; un pubblico composto da chi questi anni ha vissuto o da chi ne ha sentito soltanto i racconti anche da genitori e nonni. Se così faremo avremo già trovato uno dei possibili fattori distintivi per far sì che la gente torni a frequentare l’arte e forse, nei limiti permessi dalle nuove regole di convivenza, si sposti anche di città in città per “partecipare” alle diverse tappe di questa grande storia collettiva.
‒ Marco Bazzini
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