Riapre a Roma la mostra di Jim Dine
Prorogata fino al 26 luglio 2020, la mostra dedicata a Jim Dine dal Palazzo delle Esposizioni di Roma ne ripercorre la carriera attraverso una serie di prestiti eccellenti.
Dopo una serie di riaperture, a volte solo annunciate, di tanti musei e mostre, dopo il susseguirsi di dubbi sulle procedure giuste, contraddizioni e smentite, una sicurezza c’è: la mostra su Jim Dine al Palazzo delle Esposizioni di Roma, chiusa a pochi giorni dall’inaugurazione a causa dell’emergenza sanitaria, ha riaperto il 19 maggio ed è visitabile fino al 26 luglio 2020 senza alcuna difficoltà. L’acquisto del biglietto avviene online sul sito del Palazzo, scegliendo giorno e ora; al momento dell’ingresso viene misurata la temperatura e, una volta entrati, è obbligatorio indossare la mascherina. Il biglietto (stampato o digitale nello smartphone) viene convalidato e la visita ha inizio.
Quella che lo stesso Jim Dine (Cincinnati, 1935) ha definito come “la mostra migliore che abbia mai fatto, che sia mai stata fatta su di me, e che offre l’immagine migliore di me come artista” si sviluppa tutta al piano d’ingresso del Palazzo, in un percorso circolare e cronologico. Si comincia dagli esordi di Dine, a metà tra figurativo e performance, con le prime “piccole teste” dipinte, le foto scattate da Ugo Mulas a New York tra il 1964 e il ’65, le immagini e gli audio del racconto dell’artista (scaricabili con codice QR, al posto delle cuffie) sugli happening degli Anni Sessanta, fra arte e teatro.
Agli Anni Sessanta e Settanta risalgono le opere che seguono nel percorso della mostra, otto delle quali esposte alla Biennale di Venezia del 1964: colori accesi in abbondanza, rosso, nero, verde, azzurro, corredati da oggetti da carpentiere (martelli, asce, pale) o di uso quotidiano (scarpe, abiti, docce, portasaponi). La pittura si aggiunge alla scultura e alle composizioni, una su tutte l’omaggio alla stilista Mary Quant (British Joys), la donna che inventò la minigonna in una Londra del 1965 che Dine ricorda come mitico luogo dell’anima.
LE OPERE DI JIM DINE
Si cambia ambiente e iniziano a spuntare un po’ ovunque i cuori, una delle forme stilistiche che hanno reso celebre l’arte di Jim Dine: enormi, colorati, di paglia o al centro di un trittico fra un gufo e una cornacchia (The Bride and the Groom, 1997). Nell’enorme sala centrale arriva un’esplosione di colori e di materiali, fra legno, metalli, attrezzi e le Veneri acefale di The Wind and Tools, ottimo prestito del Centre Pompidou di Parigi. Fino alle opere più recenti della sala antistante a quella iniziale, ritratti che chiudono idealmente il percorso biografico iniziato con le “teste” dipinte in gioventù.
Totalmente originale e fuori dalle righe lo spazio dedicato a Pinocchio, allestito appositamente da Jim Dine per la mostra di Roma. Il personaggio di Collodi è scolpito a grandezza naturale, in legno dipinto e in svariate versioni realizzate fra il 2004 e il 2013, e collocato in vari angoli della sala, circondato da pareti che riportano poemi scritti dall’artista, alcuni dei quali terminati pochi giorni prima dell’apertura della mostra.
UNA COLLABORAZIONE FRA MUSEI
La proroga della chiusura al 26 luglio, allo scopo di recuperare almeno parte dei giorni perduti (quelli dall’8 marzo al 17 maggio) avviene grazie alla disponibilità delle istituzioni che hanno prestato le opere: il Centre George Pompidou di Parigi che ha messo a disposizione della mostra le trenta opere recentemente ricevute in dono da Jim Dine, Ca’ Pesaro a Venezia, il MART di Rovereto (entrambi questi musei prestano opere della collezione Sonnabend), il Whitney Museum di New York, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek in Danimarca, il Kunstmuseum Liechtenstein di Vaduz, il Musée d’art moderne et contemporain de Saint-Etienne Métropole e numerosi collezionisti privati.
Dal 4 giugno, ogni martedì e giovedì, il Palazzo delle Esposizioni offre a una o al massimo due persone alla volta visite guidate in compagnia delle curatrici, nel rispetto delle norme sul distanziamento. Oltre alla monografica su Jim Dine, fino al 2 giugno rimane aperta anche la mostra Gabriele Basilico. Metropoli.
‒ Letizia Riccio
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