La scultura di Riccardo Previdi a Milano: il bambino chiuso nella sua bolla ci parla di noi
La galleria milanese Le Dictateur, non ancora riaperta al pubblico, ha deciso di esporre attraverso una diversa modalità: un’unica opera che si affaccia alla vetrina e guarda la strada. È Bubble Boy di Riccardo Previdi, un’opera in stretta connessione con i nostri tempi.
In questa fase di riapertura di musei, gallerie e attività commerciali, Le Dictateur di via Paisiello 6 a Milano prova a utilizzare una nuova modalità di presentazione dell’arte, giocando in maniera ambigua con i limiti a cui siamo sottoposti. E presenta così un’unica installazione che affaccia sulla strada e utilizza come tramite la vetrina dello spazio. Si tratta di The Bubble Boy (Fase 2),il progetto di Riccardo Previdi (Milano 1974), che raffigura il corpo dell’artista realizzato tramite scansione 3D e racchiuso all’interno di una grande bolla di plastica trasparente, solitamente utilizzata per il Bubble Soccer. Quest’opera richiama un fatto realmente accaduto: la vicenda di David Vetter, “Bubble Boy”, un bambino nato in America nel 1971, affetto da una rara e grave immunodeficienza che viene fatto crescere per buona parte della sua vita in una bolla di plastica per impedirne il contatto con il mondo esterno. Un’installazione non prodotta ad hoc per la mostra, bensì esposta già due anni fa da Quartz Studio a Torino.
BUBBLE BOY DA LE DICTATEUR A MILANO
A seguito degli eventi degli ultimi mesi però, la scultura torna ad essere più attuale che mai, leggibile sotto la lente della pandemia che ha sconvolto l’intera società e le sue abitudini. Ecco che Bubble Boy torna a guardarci dal suo doppio involucro, quello della sua bolla e quello della vetrina; noi, guardandolo a sua volta, ci riconosciamo in lui, riflettendo su tutte le fragilità invisibili in cui siamo ora avviluppati. “Tutti noi siamo stati in questi ultimi due mesi molto più vicini alla condizione di Bubble Boy, perché tutti noi eravamo e siamo a rischio di non avere gli anticorpi in grado di difenderci dal mondo esterno”, spiega il curatore della mostra Antonio Grulli. “Le opere d’arte davvero di valore non invecchiano mai, non sono mai datate. Riescono a presentarsi come una ferita sempre viva, mai cicatrizzata, in grado di sollevare domande sempre valide. La scultura in questione e la vicenda di cui parla ce lo dimostrano. E questa scultura ci presenta forse la domanda più grande, quella che racchiude tutte le altre: cosa significa vivere? Significa forse restare in vita il più a lungo possibile, poter respirare il più a lungo possibile, a qualunque costo? Di cosa è fatta la nostra vita? La nostra salute è riconducibile solo al nostro corpo nelle sue funzioni vitali o è qualcosa di più complesso e misterioso, in cui anche la psiche, gli affetti, i piaceri, la memoria, gli incontri, le abitudini e i riti hanno un valore? Quale valore mantiene la vita nel momento in cui un abbraccio o un bacio vengono rivestiti di una luce oscura?”
-Giulia Ronchi
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