Fase Due (IV). Il ritardo dell’arte contemporanea

“Mai come in questo momento dovremmo assistere a un profluvio di idee, discussioni, progetti interessanti, stimolanti e anche controversi – e invece nada, o quasi. Al massimo, le istituzioni artistiche postano online timide dichiarazioni (sempre clamorosamente in ritardo), o pubblicano qualche contenuto in merito”. Quarto appuntamento con la rubrica di Christian Caliandro ispirata alla Fase Due.

Il tempo è passato, il tempo è cambiato.
L’esperienza del lockdown, mentre si allontana e scolora nella distanza, mostra tutte le trasformazioni che ha portato nelle vite: uno ha completato un film; un altro ha scritto il suo film; una ha scritto un libro; un’altra ha completato un progetto artistico; altri hanno vissuto qualcosa di talmente traumatico da paralizzarli indefinitamente, da non permettere loro di vivere la propria esistenza come prima, ecc. ecc.
L’arte, l’arte che a volte sembra ancora di più qualcosa di così secondario, marginale, trascurato, inutile, non necessario, in modi nascosti sa riproporsi come il centro e il nucleo di un progetto. Come diceva Gerhard Richter, “l’arte fa qualcosa di più che distruggere. Produce qualcosa, un’immagine diversa” (G. Richter, La pratica quotidiana della pittura, a cura di Hans Ulrich Obrist, Postmedia Books, Milano 2003, p. 115).
Un’immagine diversa. L’arte è in grado, adesso come in precedenza – e forse adesso più che in precedenza – di produrre futuro, di spingere il futuro nel presente, rendendolo visibile, rendendolo presente in immagine. “- Che sensazioni hai? – Che qualcosa succederà, che non conosco, che non riesco a pianificare, e quindi si può interpretare come un progetto e altro ancora. Non didattico né logico, ma libero e – per quanto sia complicato – semplice all’apparenza” (ivi, p. 119).

Piedistallo della statua di Edward Colston, Bristol 2020

Piedistallo della statua di Edward Colston, Bristol 2020

EMERGENZA, VIRUS, PROTESTE

Perché “adesso forse più che in precedenza”? Perché l’emergenza e il virus hanno accelerato alcuni processi. Il cambiamento – quel cambiamento che era nell’aria, che era da più parti evocato e invocato – all’improvviso sembra essere qui, visibile e concreto. Sembra poter essere toccato; non è più qualcosa di astratto, da considerare come semplice ipotesi.
Nel frattempo, infatti, il movimento delle proteste contro il razzismo in seguito alla morte di George Floyd si espande nel tempo (tre settimane) e nello spazio, comprendendo anche l’Europa e l’Italia. Con esiti a volte discutibili e anche un po’ grotteschi come l’abbattimento e il danneggiamento delle statue, di politici schiavisti e/o razzisti in Inghilterra (Edward Colston a Bristol, Henry Dundas a Edimburgo, Cecil Rhodes a Oxford, Robert Milligan e Winston Churchill a Londra, di Re Leopoldo II ad Anversa, di Cristoforo Colombo in alcune città americane (Minneapolis, Richmond) e di Indro Montanelli a Milano (ma la storia dell’iconoclastia è lunga, gloriosa e molto seria, come ha dimostrato David Freedberg ne Il potere delle immagini); come la rimozione di Via col vento dal catalogo di HBO; o come l’episodio orrendamente ridicolo delle influencer che su Instagram si sono tinte la faccia di nero e di marrone per esprimere la loro “solidarietà” con gli afroamericani e con il movimento Black Lives Matter per essere subito dopo subissate dalle critiche in una riedizione contemporanea totalmente fuori luogo e disinformata del minstrel show, descritto per esempio da Margo Jefferson nel suo bellissimo saggio su Michael Jackson: “Il minstrel show con interpreti dal volto tinto di nero offrì agli americani bianchi la prima occasione di osservare su un palco il ballo, la musica e la parlata dei neri, e le sue prime piccole star. (…) Negli anni Settanta dell’Ottocento le troupe di minstrel show composte di soli maschi neri giravano già per tutto il paese (gran parte delle donne avrebbero dovuto aspettare altri vent’anni)” (M. Jefferson, Su Michael Jackson, 66thand2nd 2019, pp. 69-70). Tutto questo ci dice che il cambiamento – così vicino, così tangibile in questi giorni – procede in realtà a scatti, per accelerazioni e brusche frenate, e spesso viene male interpretato, frainteso, distorto.

La statua di Indro Montanelli a Milano vandalizzata, 2020

La statua di Indro Montanelli a Milano vandalizzata, 2020

IL RUOLO DELL’ARTE CONTEMPORANEA

E l’arte? L’arte contemporanea sconta il suo ritardo rispetto al presente – rispetto proprio alla dimensione “contemporanea” – in una condizione paradossale che però non è di oggi ma dura da decenni. Il suo isolamento, la sua chiusura all’interno di un recinto protetto ed esclusivo, il fatto che ‘mondo’ e ‘mondo dell’arte’ siano due entità rigidamente e inspiegabilmente distinte, è l’elemento che le impedisce, quando i tempi si fanno turbolenti, di reagire in maniera adeguata, efficace, propositiva. Mai come in questo momento dovremmo assistere a un profluvio di idee, discussioni, progetti interessanti, stimolanti e anche controversi – e invece nada, o quasi. Al massimo, le istituzioni artistiche postano online timide dichiarazioni (sempre clamorosamente in ritardo), o pubblicano qualche contenuto in merito. Ma partecipare attivamente, prendere posizione, e soprattutto guidare il discorso pubblico e la riflessione collettiva significa qualcosa in più che uno o due post sui social.
Johanne Affricot ha sottolineato su queste pagine come, a fronte di dichiarazioni importanti di intellettuali come Ta-Nehisi Coates e Angela Davis, le istituzioni artistiche statunitensi (il New Museum, il Guggenheim, il MOCA) siano state totalmente assenti sul tema, fino al caso della curatrice afroamericana Chaédria LaBouvier che ha denunciato apertamente l’ipocrisia del Guggenheim. In Italia questo ritardo è ancora più marcato e evidente: “Il nostro sistema artistico, creativo e culturale infatti rispetto a queste questioni, e osservando gli Stati Uniti e alcuni paesi europei, risulta completamente e colpevolmente addormentato da sempre, non solo a livello mainstream, ma anche più underground. Si fa fatica a comprendere come mai nessuna realtà italiana si sia mai veramente messa in discussione, abbia mai provato a cambiare lo scenario, a promuovere e favorire una rigenerazione che includa una pluralità di voci e di pensiero”.
Se consideriamo che nel Piano Rilancio Italia 2020-2022 la parte dedicata a “Turismo, Arte e Cultura” è praticamente ridotta all’osso, e peraltro appare del tutto schiacciata sul comparto turistico, mentre il settore “arte e cultura” si limita di fatto unicamente alla gestione dei musei (quindi: niente sperimentazione, niente ricerca, niente educazione, niente elaborazione collettiva ecc. ecc.), forse si fa un po’ meno fatica a comprendere il perché, o i perché. Ma questa è un’altra storia… oppure no?

Christian Caliandro

LE PUNTATE PRECEDENTI

Fase Due (I). Niente è come prima
Fase Due (II). Il peso della insostenibilità
Fase Due (III). Il problema del disprezzo

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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