La riapertura a Venezia: quattro mostre da vedere
Occhi puntati su Venezia, che risponde alla Fase 2 inaugurando una serie di mostre. Fra gallerie e spazi non profit.
A quasi un mese dall’inizio della Fase 2 e dall’annuncio dello slittamento della Biennale di Architettura al 2021, quattro fra le più consolidate realtà artistiche veneziane inaugurano altrettante collettive. Che raccolgono lo spirito dell’attualità e aprono interessanti interrogativi sul futuro.
‒ Irene Bagnara
RI- ‒ GALLERIA A PLUS A
A plus A è l’osservatorio in Laguna per gli artisti emergenti e di talento, e non a caso ha deciso di riaprire con i lavori pittorici di Giulio Malinverni, Maddalena Tesser e Bogdan Koshevoy, giovanissimi ma maturi sia dal punto di vista tecnico che semantico. Ri- è il prefisso della reiterazione, è il substrato linguistico del concetto di “ripetizione differente”. Ri– è la ri-proposizione della realtà attraverso la pittura, laddove le due possono convergere ma mai coincidere, in un rifiuto reciproco a esaurirsi l’una nell’altra. Il lavoro sul ritratto di Tesser sottolinea quest’autonomia dell’arte dal mondo: un incrocio fra contenuti, tecniche e stili diversissimi, che testimonia la necessità di dipingere, di portare l’atto pittorico ai limiti per scoprirne le possibilità. Ri- è la storia che attraverso corsi e ri-corsi si ri-attualizza e, per uno strano scherzo del destino, ci fa sentire vicino quel desiderio di ri-nascita artistica e culturale che caratterizzò l’indomani della peste nera. Malinverni dipinge come un pittore del Ri-nascimento, ma con lo sguardo (auto)ironico del contemporaneo: l’iconografia, i linguaggi, i temi e gli stessi oggetti dei grandi maestri del Quattrocento vengono ri-semantizzati in chiave attuale. Ri- è la capacità di ri-collocare, di inserire le cose all’interno di costellazioni di senso alternative. Koshevoy realizza paesaggi sospesi, a metà fra l’onirico, l’immaginario e l’ipotizzato; spazi aperti in cui architetture dimenticate e personaggi punk intessono relazioni sempre nuove, dando luogo a infinite narrazioni possibili. Ri- è la pittura figurativa, che dopo decenni dediti principalmente al concettuale, all’installazione, alla performance torna a essere praticata ed esplorata con competenza e urgenza da una generazione di artisti giovani – in Laguna quasi tutti gravitati attorno al leggendario Atelier F del prof. Di Raco – che re-cuperano la figurazione per superarla: non tanto “finestra aperta sul mondo”, quanto piuttosto elaborazione della complessità del reale e del (f)atto artistico.
SHARE HAPPINESS – OMAGGIO A FRANKENSTEIN ‒ GALLERIA ALBERTA PANE
Alberta Pane inaugura un progetto che è più di una mostra: è uno statement, un invito al dialogo e alla collaborazione in un contesto – quello del mercato dell’arte – quasi sempre autoreferenziale. Omaggio a Frankenstein coinvolge sette artisti di altrettante gallerie veneziane, invitate a selezionare ed esporre opere che affrontino il tema dell’alterità biologica e culturale, del “monstrum”, di ciò che spaventa ma allo stesso tempo affascina: un “prodigio della natura” – nel caso di Frankenstein, dell’uomo.
A questo primo capitolo seguiranno tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo altre due mostre, in cui verranno interpellate gallerie del panorama nazionale e internazionale. Una modalità di lavoro diversa, che intravede nella condivisione di spazi, progettualità e urgenze lo slancio per la ripartenza. Il personaggio di Mary Shelley solleva problemi attualissimi: incarnazione semi-vivente del difficile rapporto fra creatore e creatura – e quindi fra artista e opera –, Frankenstein è un monito alla mortalità, alla caducità del corpo. È un “individuo” (o meglio un assembramento di individui) borderline che, proprio per la posizione decentrata che occupa, riesce a far emergere la violenza, l’ipocrisia e il conformismo della società. Nelle ultime pagine del romanzo, alla morte di colui che, attraverso il mezzo scientifico-tecnologico, l’ha creato trasgredendo limiti morali e religiosi, Frankenstein si ritira nei mari del Nord, consapevole – come ogni brava opera dell’arte – che esistenza significa anche condivisione, che essere è anche com-partecipare. Alla fine il mostro, apparentemente così distante, così diverso – forse un virus? – rivela il “monstrum” che è in noi. Una narrazione che, per la struttura del progetto, potrebbe risultare frammentata presenta invece un’impronta curatoriale forte, una coesione di linguaggi e prospettive che è forse il segno di un sentire comune, di un’attualità condivisa che chiede a gran voce di essere raccontata.
PESI MASSIMI ‒ SPAZIO PUNCH
Fin dagli esordi Spazio Punch – ex birrificio e liquorificio convertito quasi dieci anni fa a spazio non profit fra i più innovativi e contemporanei della città – si è distinto per la varietà dei progetti realizzati e ospitati: dalla fotografia alla moda al publishing e al design, fino al Cruising Pavilion, il padiglione della cultura queer e gay durante la Biennale di Architettura nel 2018. Dopo l’“acqua granda” che ha investito Venezia lo scorso novembre e ha reso inagibili moltissimi studi d’artista, Spazio Punch ha deciso di mettersi a disposizione come residenza. Un gruppo di artisti della Fondazione Malutta – associazione costituita nel 2013 che raccoglie oltre trenta artisti internazionali fra i 20 e i 35 anni – ha avuto la possibilità, a partire da gennaio e a turno anche durante tutto il lockdown, di lavorare, grazie alle dimensioni di questo nuovo “atelier collettivo”, su opere di grande formato. Da qui il titolo PESI MASSIMI: dipinti imponenti, in dialogo con uno spazio che già per conformazione ricorda la navata di una chiesa o le sale di un grande museo di arte moderna. Il risultato è straniante: un allestimento che riecheggia il passato con opere e in un contesto iper-contemporaneo. Spazio Punch conferma il suo essere architettonicamente e concettualmente duttile: un’elasticità che non è sinonimo di vaghezza ma di lungimiranza, di capacità di cogliere e assumere con convinzione gli spunti del presente e le tracce del futuro.
ASSEMBRAMENTI ‒ GALLERIA MICHELA RIZZO
A pochissimi metri da Spazio Punch c’è la Galleria Michela Rizzo, fondata nel 2004 e fin dagli esordi contraddistinta da una raffinata ricerca di artisti e linguaggi. Duramente colpita anch’essa dall’acqua alta e dalla chiusura prolungata, decide di riaprire con una mostra nuova, che raccoglie i lavori di ben trenta artisti che collaborano o hanno collaborato negli anni con la galleria. Una molteplicità di opere diversissime “invadono” lo spazio, in una prossimità – suggerita ironicamente dal titolo – che, sebbene non consentita alle persone, è fortunatamente permessa alle opere d’arte.
Una sorta di racconto frammentario, in cui i singoli pezzi hanno vita indipendente ma al contempo si realizzano nel dialogo e nel confronto reciproco. Un punto della situazione sulla storia e sulle scelte della galleria, da cui emerge una predilezione contenutistica e stilistica chiara e in cui si possono rintracciare dei fil rouge. Il rapporto fra uomo e natura, fra paesaggio e città emerge lucidamente in diversi lavori, alcuni dei quali spiccano per eleganza e densità semantica. Fra tutti i paesaggi intimi, personali di Michael Höepfner, che raccontano i viaggi a piedi compiuti dall’artista in aree remote dell’Est Europa e dell’Asia, e le mappe ideali e reali, lente e veloci di Mariateresa Sartori, che letteralmente analizzano i flussi di persone, residenti e turisti, nei luoghi più affollati della città di Venezia.
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