Sui monumenti abbattuti. Una riflessione dal Padiglione Catalogna alla Biennale di Venezia 2019
La morte di George Floyd ha portato a manifestazioni e proteste in tutto il mondo, e all’abbattimento di statue e monumenti di personaggi legati al razzismo e al colonialismo. Qual è il valore di questo gesto? Quali le conseguenze? Questo tema è stato affrontato dal Padiglione Catalogna alla Biennale di Venezia 2019
La morte di George Floyd – l’afroamericano di 46 anni che lo scorso 25 maggio ha perso la vita in seguito a un fermo della polizia di Minneapolis negli USA – ha dato vita a manifestazioni e proteste in tutto il mondo al grido di Black Lives Matter. Come vi abbiamo raccontato qui, non sono mancate le reazioni del mondo della cultura, in particolare dei musei americani. Oltre alla mobilitazione sulle piazze e sui social, negli ultimi giorni le proteste stanno dando vita a riflessioni più ampie, sfociando in ulteriori atti di protesta di natura storica e ideologica: l’abbattimento di statue rappresentanti personaggi legati al tema del colonialismo e del razzismo. È quanto sta accadendo negli Stati Uniti con l’abbattimento, tra gli altri, dei monumenti dedicati a Cristoforo Colombo a St. Paul in Minnesota e Jefferson Davis in Virginia; a Bristol, con la rimozione della statua del mercante e commerciante di schiavi Edward Colston, su cui si è espresso anche lo street artist Banksy; e in Italia in queste ore è in corso un infuocato dibattito sulla richiesta di rimozione da parte de I Sentinelli del monumento di Indro Montanelli a Milano.
MONUMENTI E MEMORIA STORICA. IL PADIGLIONE DELLA CATALOGNA ALLA BIENNALE DI VENEZIA 2019
I fatti di Minneapolis hanno riportato alla ribalta un tema, quello dei monumenti e della memoria storica, che in realtà è sempre esistito, in tutte le epoche e latitudini: statue e monumenti vanno letti e interpretati con gli occhi e il punto di vista delle epoche in cui sono stati realizzati, o alla luce delle dinamiche storiche e ideologiche di chi le osserva a posteriori? A riflettere su questi temi è stato, nel 2019, il curatore Pedro Azara in occasione della 58. Biennale di Venezia, con un progetto presentato all’interno del Padiglione della Catalogna che oggi è attuale più che mai. Riportiamo di seguito le parole di Azara, che in questo articolo a firma di Lorenza Pignatti ci aveva descritto intenti e contenuti della mostra dal titolo Catalonia in Venice—To Lose Your Head (Idols).
“Le statue collocate negli spazi pubblici possono essere adorate, mutilate o distrutte, a seconda delle reazioni che suscitano tra i cittadini. Negli ultimi venti anni in Catalogna diverse statue sono state oggetto di entusiasmo, disprezzo e/o ammirazione, eventi che mi hanno fatto riflettere e suggerito lo sviluppo della mostra da me curata per il padiglione catalano alla Biennale di Venezia. Anche la visione di una statua decapitata di Saddam Hussein abbandonata in un angolo del Museo nazionale iracheno a Baghdad, nel 2009, e le notizie della distruzione del sito archeologico di Tell Massaikh in Siria e l’occupazione del sito di Qasr Shemamok da parte dello Stato Islamico, nel 2016, che ho visitato personalmente, mi avevano fortemente impressionato. Suggestioni che sono state declinate nel contesto della regione in cui vivo, la Catalogna, dove vi sono stati diversi casi di distruzione e/o vandalismo di statue pubbliche”.
“Si può indurre a credere che le statue siano quello che rappresentano e per questo esigiamo che siano rispettate o deposte, non per il loro valore estetico, ma per il rispetto richiesto di fronte a una figura pubblica. Questa è una prova del potere delle immagini, che ci impedisce di distinguere tra realtà e finzione, tra immagine e modello. Nelle epoche antiche tale confusione derivava dal pensiero magico, mentre ora crediamo nel potere onnipotente della tecnica capace di clonare la realtà.
Tra i monumenti rimossi recentemente da una piazza di Barcellona vi è quella del mercante di schiavi Antonio López. Non sono però solo le statue dei rappresentanti politici a provocare queste sensazioni. Anche le immagini di idoli sportivi o del mondo dello spettacolo possono essere esaltate o usurpate. Penso agli sticker di Maradona che sono apparsi a fianco delle statue di San Gennaro a Napoli quando l’Italia ha vinto lo scudetto e alle immagini di Macron bruciate dai gilet gialli, o al recente attentato contro una statua pubblica del filosofo prussiano Kant, in una città che prima era tedesca e che oggi è russa. È l’ennesimo esempio della nostra incapacità a giudicare le immagini come avrebbe voluto lo stesso Kant, con distanza e rispetto. Allo stesso tempo queste azioni indicano il potere delle immagini e la loro capacità di metterci di fronte ai fantasmi della storia. Generalmente viene sfigurato il volto delle statue, specialmente gli occhi, in modo da negare loro la forza dello sguardo, altre volte vengono macchiate con colore o scritte, altre volte mutilate”.
Tutto quello che non si accetta si elimina: un’attitudine repressiva e ignorante. Però la storia rimane. Che ci piacciano o no, i fatti e gli eventi sono successi, che suscitino vergogna, indignazione o simpatia. Ed è sempre una storia di vincitori e vinti –anche se a volte non si sa bene chi è chi, per questo la storia deve essere raccontata, spiegata, senza doverla giustificare, fornendo tutte le “armi” interpretative necessarie per conoscere e comprendere quello che è successo. L’oblio forzato che si pratica oggi è un errore tragico – con conseguenze imprevedibili. La distruzione di testimonianze moleste impedisce qualsiasi valutazione critica. Negando la conoscenza ci muoviamo come se fossimo ciechi – un procedimiento abituale nelle dittature, dove si tergiversa la storia, con una narrazione che difficilmente scappa al controllo e alla manipolazione. Per questo, qualsiasi elemento, documento, testo o immagine che può aiutare a “mettere in prospettiva” la storia, per vederla meglio, con tutte le sue contraddizioni, deve essere difeso e promosso. Una statua soppressa o distrutta è un buco nero nella trama della storia”.
– Desirée Maida
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