Tutto pronto per la Biennale Gherdëina. Intervista al curatore Adam Budak
Nonostante il clima di incertezza che continua ad avvolgere il presente, l’appuntamento biennale con l’arte contemporanea in Val Gardena è stato confermato, dopo lo slittamento all’8 agosto della settima edizione. In attesa di vedere Ortisei e i paesi limitrofi animati dagli interventi delle 28 personalità coinvolte, ci siamo fatti raccontare dal curatore Adam Budak intenti e speranze della Biennale Gherdëina.
È un messaggio chiaro e diretto quello lanciato dagli organizzatori della Biennale Gherdëina: rispondere al disorientamento e all’inquietudine causati dalla pandemia con l’energia vitale e propositiva dell’arte contemporanea, scegliendo di non annullare la settima edizione della rassegna, ma di trasformarla in un momento di riflessione sulle dinamiche del presente.
Intitolata – a breath? a name? – the ways of worldmaking, la Biennale Gherdëina tornerà ad affollare gli spazi all’aperto di Ortisei, in Val Gardena, e dei paesi limitrofi, assegnando alla natura un ruolo, mai come quest’anno, prioritario. La consueta fruizione all’aperto, in un’epoca di distanziamento sociale, offrirà la giusta sicurezza per analizzare i tre capitoli che animano la rassegna: relazionalità, tatto e differenziazione. Un mosaico di spunti che vanno a comporre l’idea chiave della Biennale, worldmaking, fare il mondo. Che cosa significa, oggi, fare il mondo? Quale rilievo assume in un’ottica futura? Lo abbiamo chiesto ad Adam Budak, curatore, per il terzo anno consecutivo, di una trilogia espositiva che nel 2020 trova la sua conclusione.
INTERVISTA AL CURATORE ADAM BUDAK
In un momento storico nel quale le biennali slittano e le grandi kermesse vengono cancellate, voi avete deciso di inaugurare ugualmente la settima Biennale Gherdëina. Una scelta coraggiosa, che regala nuova linfa a un panorama espositivo stravolto dalla pandemia. Come siete riusciti a raggiungere questo obiettivo, nonostante lo spostamento della data di avvio ad agosto?
I lavori per la settima edizione della Biennale Gherdëina erano iniziati già un anno fa, ma con l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19 il progetto si è dovuto fermare in attesa di capire come si sarebbero prospettati i mesi successivi. Con il team della Biennale ci siamo a lungo interrogati sul ruolo di questa manifestazione e ancor più in generale sulla funzione che svolge l’arte contemporanea in tempi di incertezza. Dopo una profonda riflessione collettiva, abbiamo pensato fosse importante mandare un segnale positivo di speranza. Posticipando così la data di apertura, originariamente prevista per il 27 giugno e ora riprogrammata l’8 agosto, abbiamo deciso di confermare la manifestazione, rimettendo al centro del discorso il contributo sociale che l’arte può e deve dare alla comunità.
Avete dovuto fare i conti con il lockdown a pochi mesi dall’inaugurazione della rassegna. Quali difficoltà avete incontrato e come hanno reagito gli artisti?
La maggior parte dei progetti era stata presentata prima del blocco imposto dalla pandemia. Solo pochi artisti non avevano fatto in tempo a visitare gli spazi della Biennale, per cui la possibilità di sviluppare un nuovo lavoro non è stata eccessivamente messa a rischio. Con l’arrivo della pandemia, il lavoro per la Biennale è stato sospeso, perché non sapevamo come si sarebbe sviluppata la situazione e se saremmo stati in grado di svolgere la manifestazione come la pensavamo inizialmente. Nonostante questo, abbiamo continuato a discutere dei progetti, a riflettere su come reagire a questa nuova complessa situazione e su come adattarsi a nuove condizioni. Alla fine le nozioni di responsabilità e reattività ci sembravano centrali, specialmente in relazione ai progetti partecipatori e community-based per cui la Biennale Gherdëina è conosciuta.
Da sempre la Biennale Gherdëina guarda alla natura come un importantissimo interlocutore. Quest’anno la dimensione pubblica e all’aperto sarà ancora più preziosa. Quale risposta vi aspettate dal pubblico? E quali accorgimenti prenderete per garantire una fruizione ottimale?
Di fronte a un momento storico caratterizzato da insicurezza e grandi cambiamenti, abbiamo visto come l’arte contemporanea rimanga un attore fondamentale per la sua capacità di interrogare la realtà che ci circonda e di testimoniare una cultura in continua evoluzione. Crediamo che dopo il lungo periodo di lockdown che abbiamo vissuto, il fatto di poter uscire di nuovo e tornare a vedere e a fare esperienza dell’arte dal vivo sarà un passo importante per tutte e tutti. La Biennale Gherdëina è nata come rassegna che si svolge prevalentemente all’aperto e negli spazi pubblici di Ortisei in Val Gardena, nel cuore delle Dolomiti del Trentino-Alto Adige. Anche se l’emergenza sanitaria non è ancora rientrata del tutto e permane la necessità di un distanziamento fisico, avere una manifestazione all’aperto si è rivelata una scelta fortunata, perché significa riuscire a garantire lo svolgimento dell’evento nel pieno rispetto delle distanze di sicurezza.
Worldmaking è la parola chiave di questa edizione. Che significato ha oggi tale concetto? Come è cambiato e come cambierà a fronte della pandemia?
Il contesto sociale e storico in cui si inserisce questa edizione della Biennale è estremamente complesso e stimolante. La crisi pandemica ci ha reso consapevoli della vulnerabilità degli esseri umani e della natura e la resilienza diventa in questo senso una necessità primaria. La responsabilità condivisa e l’umiltà che modera eticamente le relazioni interpersonali hanno acquistato grande importanza nel ridefinire la capacità di reagire e la capacità di cura. Credo che la Biennale Gherdëina 7 affronterà e rileggerà questi temi come sfide nel processo attivo di ri-creazione del mondo. Ci si concentrerà sull’importanza e la consapevolezza di un gesto politico nella produzione del mondo, sul suo fattore dinamico che garantisce una resilienza della cultura e della natura, dà forma all’unicità vernacolare di un luogo, la Val Gardena, manifestando una visione matura e coraggiosa del futuro che verrà.
Anche il respiro occupa un ruolo di primo piano ed è impossibile non pensare alle modalità di diffusione del virus e alla tragica vicenda di George Floyd. Quali valenze ha il respiro nella sua Biennale?
Il titolo della Biennale Gherdëina 7 sarà – a breath? a name? – the ways of worldmaking (– un respiro? un nome? modi di fare il mondo) e cita in parte una poesia di Paul Celan del 1963. Rispetto alle precedenti edizioni, la Biennale di quest’anno vede una significativa svolta poetica nei confronti delle esigenze vitali fondamentali dell’interazione umana. L’atto del respirare (la vita) e la volontà di dare un nome agli oggetti (il riconoscimento) costituiscono la cornice di una natura politica, gli elementi essenziali di una “ecologia degli altri”. La creazione di nuovi mondi viene esaminata quindi nei bisogni primari degli esseri umani, integrati in un ambiente naturale e in un contesto sociale.
Può anticiparci qualcosa in merito alle opere che animeranno la Biennale Gherdëina e agli spazi che le accoglieranno?
Alla Biennale Gherdëina 7 prenderanno parte 28 artisti del panorama internazionale e locale e molti di questi parteciperanno con delle nuove produzioni supportate proprio dalla Biennale. Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno ci sarà una mostra diffusa negli spazi pubblici del centro di Ortisei (Val Gardena, Dolomiti), che diventerà il palcoscenico per opere scultoree come quella della canadese Myfanwy MacLeod, dello svizzero Hans Josephsohn o dell’artista gardenese Aron Demetz. Ci saranno alcune installazioni site specific come l’intervento sulla facciata dell’Hotel Ladinia di Lang/Baumann (CH) o sull’insegna luminosa a opera di Pavel Büchler (CZE/UK). L’Hotel Ladinia sarà oggetto di un ulteriore intervento a opera dell’austriaco Josef Dabernig che trasformerà lo spazio in un cinema, Cinema of Worldmaking, dove verranno proiettati alcuni film selezionati dall’artista. Ci saranno poi Petrit Halilaj e Alvaro Urbano (RKS ‒ ES) con un intervento installativo e sonoro e la Disco For One dell’artista greca Maria Papadimitriou in omaggio a Giorgio Moroder. Sempre a Ortisei ci sarà anche uno spazio espositivo dedicato, la Sala Luis Trenker, appositamente adattato per la Biennale e che per le sue ampie dimensioni permetterà l’afflusso di persone nel rispetto delle norme di sicurezza. Qui verranno allestite le opere di diversi artisti, tra cui Carlos Bunga (PRT), Paloma Varga Weisz (GER), Paolo Icaro (IT), Tonico Lemos Auad (BRA) e Kris Lemsalu (EST). Marinella Senatore sta intanto lavorando a un progetto di arte partecipata che darà vita all’inno della Biennale, così come una imponente luminaria che accoglierà i visitatori all’ingresso della sala espositiva.
Quali saranno gli altri luoghi che accoglieranno la Biennale?
Questa edizione coinvolgerà anche alcuni luoghi vicini a Ortisei, come Selva di Valgardena, dove ci sarà un intervento di Henrik Håkansson in un grande campo aperto, o come il Pilat, la terrazza panoramica sopra Ortisei, dove l’artista tedesca Antje Majewski in collaborazione con altri artisti creerà un santuario delle sculture nel bosco circostante. Al Pilat si svolgerà inoltre la seconda parte dell’inaugurazione, con la proiezione di film (tra cui una pellicola 16 mm della statunitense Sharon Lockhart digitalizzata appositamente per la Biennale), una performance a cura di Paulina Ołowska (POL) e musica dal vivo. Abbiamo inoltre stretto una collaborazione con Marcello Maloberti (IT) e lo studio Lupo&Burtscher, da cui è nata la comunicazione visiva della Biennale tratta dal progetto Martellate. Scritti Fighi (1990/2000). Infine ci sarà un ricco programma di eventi collaterali nel corso della manifestazione (che si chiuderà il 20 ottobre). Gli eventi, disponibili anche in streaming, spesso si svolgeranno all’aperto, come nel caso della passeggiata organizzata dal collettivo locale Brave New Alps (IT) in collaborazione con l’EURAC.
Da curatore di una rassegna che fa dell’interazione tra uomo e natura uno dei suoi capisaldi, come vede il mondo di domani?
Il binomio natura-cultura è sempre stato uno dei nodi teorici centrali su cui si sono interrogati gli intellettuali. È un tema caro anche agli artisti, che nel corso della storia l’hanno reinterpretato in modi diversi. Dal punto di vista curatoriale, penso che il percorso che è stato delineato con la Biennale possa parlare da sé. Questa edizione infatti è il terzo e ultimo capitolo di una trilogia che ho curato per questo evento e che è cominciata nel 2016 con From Here to Eternity e proseguita l’edizione successiva nel 2018 con Writing the Mountains. Quest’anno il rapporto tra uomo e natura verrà analizzato attraverso il significato del patrimonio culturale, a cominciare dal patrimonio linguistico e dalla complessità della lingua ladina. La sfida consisterà nel cercare un posizionamento strategico nella storia, occuparsi cioè del presente a partire dalla persistenza delle tradizioni e dalla presenza diffusa della natura e della sua “industria”, che hanno stretto un legame fortissimo con la comunità.
‒ Arianna Testino
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