Rifugi quotidiani e ironia. Urara Tsuchiya a Roma
Ada, Roma ‒ fino al 26 settembre 2020. La sopraggiunta pandemia e il conseguente periodo di isolamento forzato hanno modificato un precedente progetto di sculture in ceramica (mezzo espressivo prevalente di Urara Tsuchiya), rifocalizzandolo sulla dimensione domestica.
Opere d’arte nate durante la quarantena, quando l’orizzonte quotidiano si è forzatamente ristretto, costringendo gli individui a una sorta di simbiosi con l’ambiente domestico, a limitare l’intimità. È questo che Urara Tsuchiya (Giappone, 1979) vuole mostrare al pubblico, in tutta la sua banalità, ma anche nella sua drammaticità; con questa mostra romana, l’artista capovolge il suo consueto approccio, e dall’edonismo passa a riflettere sull’insostenibile leggerezza dell’essere, dove la memoria impone interrogativi sulle tempeste ormonali dell’amore e la banalità della “ripetizione”, che la lunga quarantena ha drammaticamente imposto all’umanità. Con ironia, l’artista gioca anche sulla metafore di una società che cerca rifugio, dal virus come da altre minacce, e costruisce una Wunderkammer di oggetti e figure familiari eppure inquietanti, dove la leggerezza dell’allestimento (quasi un giardino zen), contrasta con i drammi concettuali che le opere evocano.
‒ Niccolò Lucarelli
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