Il nuovo spazio di Matteo Boetti a Todi: tra opere d’arte, olio locale e passeggiate a cavallo
La nuova avventura artistica del figlio del grande Alighiero Boetti nella cittadina umbra dà un taglio al concetto di galleria come lo conoscevamo. E apre un luogo familiare, accogliente, che custodisce le opere accumulate in quasi trent’anni di carriera. Intervista al fondatore di CollAge.
Sette gallerie in 27 anni. Quella di Matteo Boetti, figlio d’arte, è una presa di coscienza che arriva con la maturità: presente nell’ambiente artistico fin dagli anni ’90, affronta e si scontra con tutte le dinamiche del sistema e del mercato, per poi fare base nella mai abbandonata Todi, in provincia di Perugia, un luogo antico e arroccato su un alto colle. Una fucina creativa, pur non essendo una vetrina mondana come altre più note.
COLLAGE: LA GALLERIA – STORAGE A TODI
Dopo le esperienze ormai mitologiche di Autori Messa, Autori Cambi, dello Studio Matteo Boetti e di Bibo’s Place, la galleria fondata con il socio Andrea Bizzarro con doppia sede a Todi e Roma, Boetti apre un nuovo spazio tutto suo all’interno del magazzino dove è conservata la sua collezione. CollAge, questo il nome, coincide in pieno con le sue passioni mettendo insieme la produzione dell’olio, le passeggiate a cavallo, la scrittura e, naturalmente, l’organizzazione di eventi e la produzione di mostre. Un nuovo modello di “slow gallery” da tenere in considerazione per il prossimo futuro? Lo abbiamo chiesto a Matteo Boetti in questa chiacchierata.
Perché hai scelto proprio Todi?
Credo che non ci sia mai un perché, sono solo le coincidenze della vita. In questo caso c’è questa casa che comprò mio padre quasi 50 anni fa, in cui nel 2008 mi sono trasferito definitivamente lasciando Roma. Sempre a Todi nel 2013 ho incontrato quello che è stato il mio socio per sette anni (Andrea Bizzarro, ndR).
E come è andata?
È iniziata l’avventura di Bibo’s Place, il posto di “Bi” e “Bo”, che eravamo noi due, durata fino a dicembre 2019. Poi a febbraio, all’inizio del lockdown, ho concepito CollAge, la mia settima “galleria” in 27 anni, anche se la sua apertura è slittata per colpa del Covid-19.
CollAge: qual è il significato di questo nome?
Intanto non ha niente a che vedere con il “collage”, ma è una crasi delle parole Collection e Storage. Si tratta infatti del magazzino della mia collezione dove rimangono le opere che ho accumulato negli anni (sia gli invenduti che quelli che avevo acquistato per me).
Come definiresti l’identità di CollAge?
Dopo sei gallerie di tipo tradizionale, con le routine di inaugurazione-promozione-fiere-mostre-cataloghi ho capito che qualcosa doveva cambiare. Ora sono al mio terzo libro, produco olio d’oliva e ho un maneggio di cavalli (sono ufficialmente guida equestre!): ho capito che dovevo trovare una strada che unisse tutte le mie attività. E poi il mondo dell’arte ormai è cambiato.
In che modo, secondo te?
Oggi (o meglio, prima della pandemia) per avere la visibilità minima, una galleria deve partecipare alle fiere, che negli anni scorsi erano appannaggio di pochi e non il parterre della maggioranza. La fiera come viene fatta ultimamente mi dà l’impressione di trovarmi in un centro commerciale. Io non ho più tempo, ma soprattutto non ho più voglia di fare tour de force, girare freneticamente le città e vivere in aereo. Non sono mai stato un bravo mercante d’arte. Preferisco scrivere, accudire i cavalli e potare gli ulivi.
Torniamo a CollAge. Come funzionerà lo spazio?
A rotazione, ogni tre quattro mesi, sostituisco parte delle opere allestite e faccio vedere una porzione diversa della collezione, inventandomi di volta in volta una nuova tematica o un nuovo filo conduttore. Lo scopo non è commerciale, il mio contratto è da magazzino e non da galleria. Passerò dalle 5 o 6 mostre all’anno, tipiche della galleria, a due. Inoltre, solo un piccolo ambiente – 80 metri quadri dei 200 disponibili – sarà impiegato per le mostre ad hoc, extra collezione.
In cosa differisce principalmente il tuo magazzino dalla galleria tradizionale?
Nel magazzino non ci sono separazioni o distinguo di tipo commerciale; dentro puoi trovare il multiplo di una giovane artista russa da 400 euro come l’opera di Carla Accardi. Non ho nessuna ansia di vendere, faccio cose da privato e peraltro pochissime. Questo è un luogo che vive di altro.
Ovvero?
Qui si può venire a prenotare una passeggiata a cavallo, comprare il mio olio d’oliva bio o acquistare i miei libri.
Com’è invece l’ambiente creativo in generale a Todi?
Non a caso, il mio nuovo spazio CollAge nasce nella strada degli artisti, all’interno delle vecchie mura. Mentre io mi trovo nel lato destro di via del Duomo, occupando tre numeri civici, di fronte a me ci sono tanti piccoli spazi: un laboratorio di scultura e oreficeria, una libreria, un ceramista, una pittrice americana che espone e vende senza galleria, una associazione di fotografi che ospitano artisti internazionali, gli studi dei due artisti Antonio Buonfiglio e Michele Ciribifera. È una strada dell’arte ormai diventata come un distretto: ogni volta che uno di noi inaugura cerchiamo di coordinarci per creare eventi e tenere aperti gli spazi, facciamo squadra.
C’è qualcosa che ti manca della vecchia vita da gallerista “canonico”?
Zero. Non tornerei indietro neanche sotto tortura!
Potremmo definire allora CollAge una “slow gallery”?
Ah, tipo lo slow food? Perché no!
Ironie a parte, è interessante riflettere sull’inversione di marcia accentuata anche dalla pandemia. Il modello di lavoro e sistema dell’arte come un ambiente veloce e frenetico sembra tutt’a un tratto essere meno attraente.
Arrivato a cinquant’anni è doveroso riconoscere i propri pregi ma anche i propri limiti. Per anni mi sono obbligato a girare per le fiere e a promuovere le mie mostre, ma in realtà è un concetto distante dalla mia natura. Lo facevo per senso del dovere. Una volta, invece, che è nato il mio primo libro, poi il secondo, mi sono accorto che il livello di benessere mentale e soddisfazione era incomparabile.
Hai definito un calendario di CollAge?
Per ora gli appuntamenti in programma sono due: la mostra di Piero Gilardi, che aprirà il 29 agosto, curata dal direttore di Arte e Critica, Roberto Lambarelli. Il 5 dicembre, invece, inauguro la mostra di due artisti umbri: Mario Consiglio e Marino Ficola.
– Giulia Ronchi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati