Mettere in fila l’umano. La nuova mostra di Punta della Dogana a Venezia
La sede espositiva veneziana targata François Pinault accoglie un dialogo trasversale fra i curatori e gli oltre sessanta artisti in mostra. Offrendo uno panoramica non solo sulla scena creativa recente, ma anche sugli aspetti peculiari che accomunano gli esseri umani.
Mentre Palazzo Grassi fa da cornice agli scatti di Henri Cartier-Bresson, Punta della Dogana, il secondo polo espositivo lagunare della Pinault Collection, riunisce gli interventi di una sessantina di artisti, chiamati a raccolta dai curatori Caroline Bourgeois, Muna El Fituri e Thomas Houseago per dettare il ritmo di Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi, una collettiva fatta di legami e relazioni.
LA MOSTRA A PUNTA DELLA DOGANA
La mostra, infatti, non solo riflette lo stretto rapporto professionale fra i curatori, ma anche la condivisione di vedute da parte di un affollato nucleo di artisti di stanza a Los Angeles, città nella quale vivono pure El Fituri e Houseago. Proprio quest’ultimo agisce da perno concettuale – e fisico – della rassegna, che trova il suo centro nella installazione site specific di Thomas Houseago allestita nel Cubo di Tadao Ando, snodo nevralgico di Punta della Dogana: il rifacimento di uno studio d’artista, ispirato a quello dell’autore britannico, emblema dell’energia creativa alla base di qualsiasi categoria di opera, ma anche un punto di partenza per avviare una ricognizione sugli aspetti più viscerali e ineluttabili dell’essere umano. Temi universali come la morte, il sesso, il lutto, l’identità, l’amore prendono posto nelle 18 sale che compongono la mostra, rimbalzando negli interstizi fra le tecniche usate dagli artisti per declinarne gli effetti.
CORPO, IDENTITÀ E SESSO A VENEZIA
Il mosaico che ne deriva è di una attualità disarmante, specie in un momento storico nel quale l’umanità intera è tenuta in scacco da un virus implacabile, capace di azzerare, con un colpo di falce, differenze sociali e vischiosi stereotipi, ma anche di punzecchiare, forse, le coscienze, inducendole a riconsiderare il potere unificante dello status di essere umano. Se il corpo è sinonimo di identità – e si rifiuta di piegarsi alle convenzioni, come sottolineato da Valie Export e Magdalena Abakanowicz ‒, il sesso ne echeggia desideri e spinte, senza bisogno di imbrigliarne gli esiti ma di esprimerli, con una gamma di sfumature che vanno dalla immediatezza di Otto Mühl alle linee sottili disegnate da David Hockney.
IMPEGNO CIVILE, VIOLENZA E AMORE ALLA MOSTRA CHEZ PINAULT
E ancora, se l’impegno dell’essere umano nei confronti di un ambiente di cui è carnefice continua a muoversi su piani inclinati, come suggerito dalla installazione in trasparenza di Georg Herold, quali possibilità ha l’umanità di sopravvivere a se stessa e alla propria violenza – politica, di genere ‒ evocata dalle opere di Betye Saar, Edward Kienholz e Philip Guston? Se l’amore è il messaggio, come afferma provocatoriamente Arthur Jafa nel suo video omonimo, incentrato sulle discriminazioni da sempre riservate al popolo nero, l’invito è ricordarsene la grammatica, prima, e a scrivere nuove storie, poi.
‒ Arianna Testino
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