Morto Valeriano Trubbiani, lo scultore immaginifico che piaceva a Fellini e Saramago
Si è spento ad 82 anni in Ancona, sua città di adozione, l’artista maceratese Valeriano Trubbiani. Poeta di mare e di terra, ha giocato come un bambino crudele con gli animali da cortile, trovando la bellezza nell’orrore. Le sue inquietanti sculture e i suoi disegni hanno attraversato un’epoca, costruendo un nuovo sguardo per la città e anticipando la visionarietà urbana sotterranea di tanti street artist
Era un fabbro ferraio dell’arte, Valeriano Trubbiani (Villa Potenza di Macerata 1937, Ancona 2020) un artigiano dal temperamento intenso e ostinato, del carattere dei marchigiani. Visitare il suo studio-officina era sempre inquietante: occhi mobili di bambola ti fissavano, e armi, sentinelle aggressive o di una sonnolenta indifferenza, ossessive mura di città deossigenate, e gli oscuri animali delle cantine, topi e pipistrelli… tutta un’immensa produzione di una vita, sculture, installazioni, disegni in attesa di riprendere vita per una nuova mostra in giro per il mondo. E infaticabile narratore era anche, Valeriano: la fascinazione delle sue parole – spesso desuete, o estremamente tecniche e precise – ti avvolgeva, ridisegnando i confini di paesaggi di cui non ti eri mai accorto pur avendoli sotto gli occhi: come la bellezza inquietante tramata dalle gru dei cantieri navali della sua città di adozione, Ancona, o il sole che la circoscrive nascendo e tramontando sempre sul mare.
LA POETICA DI TRUBBIANI
Usava una metafora per descrivere il suo lavoro: un fiore con una corolla di petali ancorati ad un corpo centrale: il tema della sofferenza e del dolore. Quel male di vivere pesante eredità del pensiero negativo novecentesco, minacciosa presenza che ha raggelato le sue sculture in forme bloccate, ieratiche, opere che urlano la quiete del meriggio, quell’istante di rotazione in cui il mondo sembra trattenere il fiato, ma che trova un piccolo squarcio di speranza in questo artista: la pietà, la partecipazione cristiana al dolore. All’origine c’è l’officina paterna di fabbro in cui venivano costruite macchine agricole e il trauma della guerra dei bombardamenti: erpici che sembrano sculture, aggressivi. Da qui nascono le prime prove surreali costruite con oggetti trovati, macchine belliche inventate con elementi esistenti che vengono distrutti e ricomposti secondo un ordine irrazionale che snatura l’uso iniziale.
VALERIANO TRUBBIANI: GLI ANNI ‘60
Alla fine degli anni ‘60 Trubbiani fa la scoperta di un iconogramma reale, l’allodola, metafora dell’esistenza; è l’inizio del bestiario che comprende gli animali dell’aia, l’anatra, il coniglio, la lepre, il gufo, la civetta, le rane, il bue, quest’ultimo unico tema sociale (l’estinzione della civiltà contadina agraria) di un artista altrimenti libero da ogni ideologia. Intanto la sperimentazione sui materiali si concentra nell’estrapolare ai metalli, tutti i metalli, ogni possibilità espressiva. Gli anni ‘70 sono i più crudeli, il livello umorale scende molto in basso, si accentua il negativo e la violenza inferta. La scultura di Trubbiani registra un qualcosa che è nell’aria; gli animali domestici e familiari si trasformano in ratti, pipistrelli, oppure sono imprigionati sulla superficie lucida e asettica di tavoli chirurgici: una scientifica freddezza che devasta.
L’INCONTRO CON FELLINI E SARAMAGO
Le sculture si amplificano nello spazio, è il momento delle installazioni ambientali: ne Le morte stagioni uccelli senza vita precipitano dalla torre del Porcellino a Volterra; le corde che li intrappolano sono anche mezzo di mummificazione: violenza e conservazione. Ne Lo stato d’assedio: la libera verticalità del volo è trattenuta, strozzata. L’opera, esposta alla Biennale di Venezia nel ‘72 e a Jesi ad Arte Marche 74, proietta il lavoro di Trubbiani tra quello dei grandi artisti e regala allo scultore una lunga citazione in un’opera di José Saramago, oltre che la collaborazione con Federico Fellini per il film E la nave va. La riflessione sul dolore avvicina sempre più Trubbiani ad un altro grande marchigiano, “Giacomino” Leopardi; l’attrazione verso il poeta recanatese nasce da bambino, con una fuga in bicicletta fino a quel paese lungo sulla collina di fronte che lo scultore vedeva dalla finestra di casa sua a Villa Potenza, e che la nonna gli diceva abitato da un poeta gobbo brutto e matto che odiava i preti; un fascino che si ritrova intatto nelle opere di scultura, nelle pirografie (anch’esse sculture di legno e fuoco), nei disegni. L’attività disegnativa, in tutte le varianti, spesso colorata in maniera alchemica, è infatti una parte non secondaria del lavoro dell’artista.
VALERIANO TRUBBIANI: GLI ANNI ‘80
Negli anni ‘80 l’ottimismo risale; la scultura si scopre giocosa, divertente: arriva il ciclo sui racconti di bambini, che è un ritorno ad origini fantastiche e leggendarie, all’età del mito in cui bene e male sono ancora una cosa sola. È un mondo popolato di animali solenni, antichi, dinosaurici, che proteggono con la loro scorza dura la materna dolcezza dell’esistere. Negli anni ‘90 l’affabulazione e il racconto si intensificano; l’ispirazione dell’oralità avvicina temi epico-fantastici: le Città, gli Elmi, le Spade. In questi anni Trubbiani reincontra anche l’arte sacra e ancora una volta non è una religione ostentata, ma un sentimento puro di devozione rivolto ad un Dio vicino e alla familiare immagine della Madonna di Loreto; suo il Crocifisso nella Cattedrale dorica di San Ciriaco.
TRUBBIANI E ANCONA
La componente teatrale o teatrabile, istintuale in tutta l’opera dello scultore, si ritrova in maniera più esplicita nelle ultime fatiche dedicate alla sua Ancona, città prescelta, come il gruppo scultoreo dei Rinoceronti (frutto della collaborazione con Federico Fellini nel film E la nave va del 1983), il sipario tagliafuoco per il teatro delle Muse e la monumentale mostra del 2012 negli spazi della Mole Vanvitelliana a cura di Enrico Crispolti, allestita come un’unica installazione anche per essere toccata, in quanto promossa dal Museo Tattile Statale Omero, istituzione che l’artista ha contribuito a far crescere, e dal Comune di Ancona. Non è eccessivo dire che Ancona è diventata la città di Trubbiani, per il contributo visionario che l’artista è riuscito a dare al capoluogo marchigiano, a cui non ha risparmiato mai le dovute critiche ma che ha sempre ritratto con una generosità onirica e poetica che rimarrà la più importante eredità da dover gestire.
-Annalisa Filonzi con Annalisa Trasatti
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