Contro la violenza di genere. La mostra di Renata Rampazzi a Roma
Seguita nella curatela da Claudio Strinati, Renata Rampazzi espone, al Museo Carlo Bilotti di Roma, 14 dipinti, 46 studi preparatori, un’installazione esperienziale e un video. Ripercorrendo la lotta intrapresa contro la violenza di genere.
“L’idea della Rampazzi è stata quella di creare un percorso che non tanto illustri quanto evochi, in una alta tensione morale e intellettuale, il tremendo fenomeno della violenza sulle donne e le tragedie conseguenti”. Questo è solo un piccolo estratto del testo critico firmato dal curatore Claudio Strinati che introduce il lavoro rosso sangue di Renata Rampazzi (Torino, 1948).
Le pennellate sono piene e dense, passando dalle tonalità più tenui a quelle più vivide, cariche sia nel gesto che nel significato. I segni astratti che si susseguono non esibiscono la violenza, bensì la desolazione postuma. Composizioni, Ferite, Sospensioni Rosse, Lacerazioni sono opere che spaziano dal 1977 al 2020, per concludersi poi nell’installazione immersiva Cruor (datata 2018), realizzata in collaborazione con la scenografa Leila Fteita ‒ esposta per la prima volta nella sede della Fondazione Cini di Venezia ‒, che concentra visivamente e in modalità esperienziale le altre.
CRUOR: UN CAMMINO EMOTIVO
Approfondire una tematica delicata come la violenza di genere è possibile grazie alle pratiche dell’arte, e lo sa bene Renata Rampazzi. L’installazione Cruor (sangue in latino), infatti, intende aprire un vero e proprio varco allo spettatore per entrare in quel “limbo ovattato” di sofferenza e privazione che ogni vittima subisce da parte del proprio carnefice. Un’atmosfera surreale e sospesa racchiusa nel perimetro di una stanza, dove un susseguirsi di lunghi drappi dipinti e sfalsati scendono morbidi dal soffitto avvolgendo il pubblico e coinvolgendolo sia empaticamente che fisicamente, grazie anche alla componente melodica creata da Minassian, Ligeti e Gerbarec. “L’autrice ha mutuato da una tradizione antichissima ribaltandola in prepotente modernità”, scrive il curatore. “L’idea di una specie di cammino marcato nello spazio da una serie di pannelli, fatti di garze e teli, che sembrano evocare una vera e propria processione, una sfilata di dolenti che accompagnano il visitatore nel tragitto della mostra ma sono la mostra stessa, oggetti di osservazione e segnali nello spazio del cammino”.
PAROLA AL CURATORE CLAUDIO STRINATI
La subordinazione e la violenza femminile è un fenomeno contro cui la cultura risponde con tutta la sua potenza mediatica. L’arte, dal canto suo, la combatte nelle sue diverse forme espressive ed esperienziali, cercando di sensibilizzare ed educare un mondo che sembra aver perso la bussola. “L’uomo esprime la sua gelosia e il suo amore con la violenza e questo per molti di noi ha costituito un motivo di orrore, per me certamente!”, così commenta il curatore Claudio Strinati. “Per cui, quando è iniziato il fenomeno del femminicidio e della violenza sulle donne, ho avuto desiderio di esprimere il mio punto di vista, e poter accompagnare un’artista donna che tratta queste tematiche per me è stato non solo naturale, ma un vero e proprio privilegio! (…) Io vedo questi episodi come l’esternazione di menti criminali. Sono criminali e basta!”
La mostra è accompagnata da un catalogo (Edizioni Sabinae, in italiano e inglese) con testi di Dacia Maraini, Maria Vittoria Marini Clarelli e Claudio Strinati insieme a una testimonianza dell’artista, e parte del ricavato delle vendite sarà devoluto proprio all’Associazione Differenza Donna.
‒ Valentina Muzi
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