Morto il critico d’arte Philippe Daverio. Il ricordo di Aldo Premoli
Sorridente, gentile, veloce… Philippe Daverio ci mancherà. Forse è stato lui l’antesignano del non ideologico, senza urla, e nemici preconcetti. Il ricordo di Aldo Premoli
Di Philippe Daverio ho un ricordo personale che risale addirittura a tre decenni fa. Non mi avventuro in ragionamenti che altri certamente faranno meglio sulla sua statura di intellettuale e capace divulgatore. Negli anni Novanta Daverio face parte di una giunta capeggiata dal sindaco leghista Marco Formentini che personalmente – io milanesissimo – ritenevo quanto più distante dal mio sentire potesse esistere. Ma la verità è che di quella giunta e del suo orientamento ideologico a Daverio non interessava un fico secco. Cooptato per mancanza di una qualsiasi background culturale da parte delle trionfanti camicie verdi aveva adottato un atteggiamento da real politik oggi molto comune che allora non lo era per nulla, tanto nei salotti quanto negli scantinati milanesi frequentati da chi si riteneva o ambiva ad essere un “intellettuale”.
LA MOSTRA DI WEBER A PALAZZO REALE
Nel 1996 insieme alla collega Franca Sozzani, dunque, ci rivolgemmo all’Assessore alla Cultura del Comune di Milano in carica per chiedere quale spazio avrebbe potuto assegnarci per una mostra di fotografie di Bruce Weber di ritorno da un viaggio in Vietnam. “Che c’è andato a fare Bruce in Vietnam?”, fu la prima domanda di Daverio, che ovviamente conosceva benissimo il lavoro del fotografo americano a quei tempi insieme a Herb Ritts riferimento assoluto per la bellezza maschile nell’ambito del fashion. In quel che si dice parlare piatto la risposta fu questa. Anna Wintour lo aveva mandato là – manco fosse un corrispondente di guerra – per realizzare uno shooting tra moda e costume per Vogue America. Perché proprio in quel momento il Vietnam riapriva le sue frontiere all’Occidente: risultato pochi scatti di vera moda, ma una serie di ritratti bellissimi (rifiutati dalla redazione di Vogue America) di luoghi e volti che non avrebbero mai conosciuto la stampa se le circostanze non fossero state quelle che furono Franca Sozzani queste foto le aveva ricevute via posta impacchettate con tanto di lettera autografa di Bruce: “fatene quello che volete ma pubblicatele, magari su L’Uomo Vogue…” di cui a quel tempo il sottoscritto era direttore responsabile.
PHILIPPE DAVERIO SORRIDEVA SEMPRE
Così fu le sue sessanta e passa foto divennero un allegato al L’Uomo Vogue e il catalogo della mostra. Daverio senza nemmeno vederlo non ebbe avuto esitazione: “ok vi do la sala delle Cariatidi di Palazzo reale di fianco al Duomo… e però i denari per l’allestimento dovete trovarveli da soli…”. Uno scambio di occhiate (per la verità le nostre un po’ stupite per tanta fortuna piovuta dal cielo) e un sorriso: così senza tanti convenevoli. La cosa è partita: il denaro lo mise Gianni Versace da cui con il cappello in mano mi ero recato immediatamente dopo per capire se la cosa avrebbe potuto interessarlo. Versace condivideva del resto con Weber la passione per quel genere di foto e di estetica. E la mostra fu difatti un successo. Daverio, per come o ricordo io sorrideva sempre, era garbato ma pure tosto, gentile spiritoso e veloce. Forse è stato lui l’antesignano del non ideologico, senza urla, e nemici preconcetti. Ci mancherà.
–Aldo Premoli
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