“Non la voglio chiamare una sfida” dichiara il presidente Umberto Croppi “ma semplicemente un impegno mantenuto“. Sarà, ma inaugurare una mostra di questa scala in questo momento una sfida lo è, e anche considerevole. Nonostante tutto la Quadriennale ce l’ha fatta e ha aperto i battenti occupando l’intera superficie del Palazzo delle Esposizioni che a Roma si è rifatto il trucco per l’occasione dismettendo le impalcature esterne giusto in tempo per il debutto di un evento che sarà interamente ad ingresso gratuito.
QUADRIENNALE SENZA PUBBLICO INTERNAZIONALE
Piange un po’ il cuore a girare negli ambienti radicalmente trasformati del palazzone di Via Nazionale: la mostra è evidentemente progettata per ‘piacere’ anche ad un pubblico internazionale di attenti addetti ai lavori, galleristi, collezionisti, direttori di museo e appassionati provenienti da tutto il globo. Nessuno però potrà provenire fino alla data di chiusura (ma speriamo in una proroga) prevista per il prossimo gennaio. Forse è la prima Quadriennale impaginata per il mondo, ma il mondo non potrà venire a vederla. La mostra ha trasformato molto le sembianze del Palazzo: cartongesso a profusione solo parzialmente mitigato dalla penuria di budget (in tempi di crisi non tutti gli sponsor mantengono ciò che hanno promesso).
I 4000 mq espositivi sono stati piegati e adattati alle esigenze quadriennalesche dall’architetto Alessandro Bava. In alcuni passaggi si avverte un lieve peso, nel complesso però il percorso (che i curatori hanno immaginato obbligatorio, come nelle stazioni di servizio in autostrada) è godibile e ben cucito sui 43 artisti in mostra.
UNA ANTOLOGIA DELL’ARTE ITALIANA FUORI DAI SOLITI SCHEMI
Il direttore artistico della Quadriennale Sarah Cosulich e il curatore Stefano Collicelli Cagol avevano un proposito piuttosto ambizioso: articolare un’antologia dell’arte italiana. Non sappiamo se il corretto ruolo della Quadriennale sia effettivamente questo, ma al di là di tale considerazione la scommessa appare vinta grazie ad una mostra dal profilo molto alto sotto ogni punto di vista. Gli step di avvicinamento sono stati in effetti laboriosi: la Quadriennale ha lavorato, e parecchio, per affermare la propria credibilità su un palcoscenico internazionale, per coinvolgere curatori giovani, per promuovere il lavoro di artisti e curatori emergenti attraverso iniziative, worskshop, incontri. La mostra, al termine di un percorso di almeno 30 mesi, è solo il punto di arrivo di un approccio diluito nel tempo. E però era facile sbagliare, ci si poteva sbilanciare, si poteva cadere nelle trappole che questo genere di rassegne disseminano. La Quadriennale, invece, mantiene un equilibrio totale nel suo essere totalmente squilibrata: lo spirito è raccontare una storia dell’arte italiana degli ultimi 50 o 60 anni fuori dai soliti cliché e la metodologia è stata quella di contemperare tutto riuscendo a farlo senza generare confusione.
QUADRIENNALE. UNA MOSTRA SERIA
Nella mostra si toccano i grandi temi degli ultimi decenni (sessualità, omosessualità, questione razziale, femminismo); ci sono artisti vecchi, ci sono artisti morti, ci sono artisti giovanissimi e c’è il tentativo quasi sempre andato a buon esito di farli confrontare tra loro; c’è la capacità – pur in presenza di un allestimento massiccio, che non cela omaggi a Piero Sartogo – di dialogare col palazzo, con la sua storia e con la storia stessa dell’istituzione-Quadriennale; c’è una selezione di artisti arcinoti, in alcuni casi perfino alla moda, ci sono grandi personaggi di qualche anno oggi accantonati e c’è poi una selezione di interessanti nomi sconosciuti ai più e totalmente fuori dai giri (il titolo della mostra è Fuori, proprio in questo senso). Si incontrano, anche qui senza strafare, tutte le discipline: fotografia e teatro, danza e cinema, pittura e video, performance e disegno, installazione e murales, moda e design. La Quadriennale di questo funesto 2020 non solo è una ‘rassegna’ trasformatasi in una ‘mostra’, ma è anche una mostra piuttosto seria. All’insegna dell’approfondimento. Che concede pochissimo all’effetto wow. Lo certifica il percorso che l’ha generata ma anche il catalogo che la sintetizza, edito da Treccani. Sarà una mostra di cui si parlerà molto nella prossime settimane e ci torneremo più volte, non a caso questa prima riflessione – a caldo – esce senza citare neppure un artista. Ci sarà tempo per questo.
–Massimiliano Tonelli
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