Il programma 2020 del MAMbo di Bologna. Intervista a Lorenzo Balbi
Ripensare l’istituzione museo nel nuovo tempo che stiamo vivendo: è questo l’obiettivo che si impone il MAMbo di Bologna per il prossimo futuro. Intervista al direttore Lorenzo Balbi
Il direttore del MAMbo Lorenzo Balbi racconta in questa intervista il futuro del museo e delle istituzioni ad essa collegate. L’autunno comincia con il grande progetto del Nuovo Forno del Pane, “un’attività che ha al centro la creazione di una comunità artistica e che mettono gli spazi a disposizione di artisti del territorio per poter ripartire dopo lo stato di emergenza”. E con un discorso sulle collezioni. Ecco le risposte.
Come sarà l’autunno/inverno 2020 per il tuo museo?
Sarà sicuramente un autunno molto particolare perché, benché il museo abbia riaperto le collezioni permanenti dal 19 maggio, lo spazio espositivo principale della Sala delle Ciminiere ha subito una radicale trasformazione e in autunno sarà ancora occupato dal Nuovo Forno del Pane. Questo cambio di paradigma ha inevitabilmente fermato l’attività espositiva aperta al pubblico, modificando l’attitudine e il ruolo stesso del museo nel contesto sociale. Per quanto riguarda le collezioni permanenti, invece, in autunno proponiamo RE-COLLECTING, una rassegna che attiva la collezione tramite focus tematici, alternativamente per MAMbo e Museo Morandi, rendendola dinamica, in continuo rinnovamento, invogliando i visitatori che l’avessero già vista a tornare per rileggerla attraverso nuovi contenuti e nuove modalità di visita.
Che aspettative hai?
L’aspettativa principale è di veder evolversi la progettualità del Nuovo Forno del Pane proseguendo nell’attività di supporto alla produzione di nuove opere che abbiamo inaugurato a luglio e che ha cambiato non solo gli spazi, ma anche il nostro modo di lavorare. Proprio in questo periodo stiamo entrando nel vivo, con la partenza del Public Program e con le prime restituzioni pubbliche, del lavoro che gli artisti hanno svolto nei mesi scorsi, dunque l’aspettativa è di insistere sull’aspetto maggiormente relazionale del Nuovo Forno del Pane: non solo accogliere gli artisti ma anche dar conto al nostro pubblico della loro esperienza, soprattutto come come soggetto collettivo. E farlo attraverso i canali che abbiamo deciso essere funzionali a questa restituzione, non solo il sito web e le pagine social ma anche l’esperienza di Breaking Bread su NEU Radio e tutte le modalità di coinvolgimento che ci vedranno protagonisti nei prossimi mesi. Un museo nuovamente aperto ma con una modalità completamente diversa.
Cosa invece ti preoccupa di più?
Ciò che più mi preoccupa, dati alla mano, è che si possa tornare a forti limitazioni nella fruizione dello spazio pubblico. Al museo in questi mesi non abbiamo registrato problemi, i visitatori sono molto rispettosi delle norme che abbiamo previsto e gli spazi sono vissuti in correttezza e in sicurezza. Quello che mi preoccupa, osservando i trend e la curva dei contagi di cui siamo ormai nostro malgrado esperti, è che aumentino le disposizioni che già hanno cambiato il modo di visitare e di percepire il museo: doverlo fare attraverso prenotazioni, con tempi, modalità e percorsi prestabiliti. Mi preoccupa che si possano acuire le restrizioni alla visita.
Che attività hai in programma?
Le attività che abbiamo in programma sono principalmente legate a due sfere d’azione: da una parte il Nuovo Forno del Pane e le attività legate al Public Program e alle restituzioni delle produzioni degli artisti; dall’altra, il tentativo di intendere in maniera più radicale rispetto al passato il lavoro di riflessione sulle collezioni permanenti del museo. Questo secondo filone, si traduce nella rassegna RE-COLLECTING che alterna mensilmente approfondimenti sul Museo Morandi e sul MAMbo. Per il Museo Morandi si propongono opere non visibili da tempo o nuovi lavori arrivati in comodato accostandoli in maniera nuova a fonti d’archivio, oggetti provenienti da Casa Morandi, lettere, scritti, offrendo letture inusuali del maestro Giorgio Morandi.
E per il MAMbo?
Non si tratta solamente di opere riscoperte e recuperate dopo anni dai nostri depositi, ma anche di un loro dialogo con altri lavori e oggetti provenienti dalle diverse sedi dell’Istituzione Bologna Musei, come ad esempio il Museo Civico Archeologico, il Museo Civico Medievale e il Museo della Musica. È prevista a breve anche la ripresa del programma di residenze ROSE, che coinvolge la Residenza per artisti Sandra Natali e la sede di Villa delle Rose: per la quarta edizione lavorerà ed esporrà a Bologna Helen Dowling, artista selezionata nel 2019.
Farai delle modifiche ai tuoi progetti iniziali per adattarli alla situazione in corso?
Le modifiche sostanziali sono già avvenute e prevedevano ovviamente lo stop dell’attività espositiva con un ripensamento dei progetti che erano stati pianificati per il 2020. Ora stiamo lavorando a SAFE AND SOUND. THE MUSEUM SCORE, mostra di Aldo Giannotti che era prevista per l’estate scorsa ma che, completamente ripensata, verrà proposta a gennaio 2021. Ovviamente però, a costo di ripetermi, devo dire che la mossa più radicale è stata la decisione di cambiare la natura espositiva della Sala delle Ciminiere e di trasformarla in un centro di produzione artistica, offrendola come luogo di lavoro a 13 artisti. Parallelamente a questi discorsi strategici sulla programmazione, un’altra importante attività in continua evoluzione è quella svolta on line, che durante il lockdown ha avuto molti elementi di novità, a partire dal ciclo 2 minuti di MAMbo.Proseguiremo con iniziative di approfondimento che abbiamo imparato essere un importante modo di interfacciarci con il pubblico che non può venire fisicamente a visitare il museo.
Quali pensi che saranno le sfide che i musei dovranno affrontare nel prossimo futuro?
La sfida principale è ridisegnare le proprie modalità di ingaggio con il pubblico seguendo non solo regolamenti, ma anche attitudini che giocoforza il pubblico avrà. Questa pandemia ha modificato il nostro modo di relazionarci con le persone e di stare fisicamente all’interno dello spazio pubblico, per cui un certo tipo di progettualità che erano legate alla presenza fisica, alla relazione concreta tra opera e visitatore, dovranno inevitabilmente essere ridefinite. Quindi, la sfida del museo è ripensare la relazione fisica con i propri visitatori, modificando la propria programmazione e la struttura dei propri eventi in conformità a questo nuovo modo, a questa nuova percezione che avremo dello stare insieme in uno spazio condiviso. Sarà la prima grande sfida dei musei ma anche degli artisti nel pensare le proprie mostre all’interno degli spazi espositivi.
Puoi dirci di più?
Un’altra sfida è quella relativa all’utilizzo del digitale, che ovviamente ha subito un’accelerata durante il lockdown causa impossibilità di poter comunicare in altro modo con il pubblico, e che adesso va ridefinito e riscritto. L’obiettivo del museo continua a essere quello di portare fisicamente delle persone all’interno delle sale, ma non si può più ignorare il ruolo del digitale così come è stato concepito negli ultimi mesi.
Diamo i numeri: come è andata dalla riapertura in termini di pubblico?
MAMbo e Museo Morandi hanno registrato un costante aumento dei visitatori dalla prima settimana di riapertura – quella del 19 maggio – ad oggi, con una crescita regolare che ha portato nelle ultime settimane a una quota vicina al 60/70 % di ingressi rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Se nel 2019 avevamo circa 1.000 visitatori a settimana, adesso sono tra i 600 e i 700: un dato confortante e per certi versi sorprendente. Ovviamente, la composizione è completamente cambiata: se durante i mesi estivi dell’anno scorso quasi il 60% dei nostri visitatori erano stranieri, ora quasi il 70% sono bolognesi o emiliano-romagnoli. È un dato che ci dice molto, facendoci anche ben sperare, perché sono utenti che vengono al museo sapendo che non c’è una mostra temporanea da visitare, quindi vogliono riscoprire le collezioni, tornare in un luogo che avevano probabilmente già visto ma che in questo momento può offrire nuovi spunti e nuovi contesti di riflessione.
Quale è stata la cosa più bella da quando hai riaperto?
La cosa più bella è stata l’avverarsi della scommessa Nuovo Forno del Pane. Se mentre eravamo forzatamente chiusi avevo pensato che una possibile risposta allo stato di emergenza fosse fermare le mostre e offrire lo spazio del museo agli artisti, la cosa più bella è stata sviluppare e realizzare il progetto. E constatare, riaprendo, di non aver fantasticato, che il Nuovo Forno del Pane funziona, genera un’atmosfera di positività, un clima di vitalità in cui con gli artisti, le loro opere, le loro suggestioni stiamo realizzando qualcosa di veramente innovativo.
Come ti sei sentito?
È stato ed è esaltante riscontrare come un’ipotesi, tutte queste belle teorie che avevamo in testa, abbiano trovato un radicamento reale, che il museo pubblico può continuare a svolgere il proprio ruolo anche in una situazione di difficoltà, di ristrettezze economiche e di impossibilità di ospitare grandi eventi.
Cosa chiedi alla politica in questo momento comunque difficile?
Suonerà scontato, ma la cosa che mi sento di chiedere alla politica è il sostegno alle attività dei musei, soprattutto di quelli pubblici. Alla politica chiedo di non dimenticare l’arte contemporanea nei programmi di ripartenza. Spiace constatare come alcuni importanti sostegni europei per la ripartenza neanche nominino l’arte come possibile veicolo di rinascita, pertanto alla politica continuiamo a chiedere, come facevamo anche prima della pandemia, di identificare nell’arte e nella cultura asset fondamentali da sostenere. Devo dire che, come Istituzione Bologna Musei, il Comune di Bologna non ci ha fatto mancare il proprio sostegno e il trasferimento che abbiamo ricevuto negli anni precedenti è stato confermato nonostante le difficoltà. Si tratta di un fatto positivo ma in questo momento, oltre a garantire il preesistente, sarebbe necessario osare. Solo con importanti investimenti si potrà veramente ripartire e non stagnare in una situazione delicata come l’attuale.
Consigliaci un libro per inaugurare la stagione.
Durante il lockdown Minimum fax ha pubblicato il primo volume degli scritti politici di Mark Fisher, teorico e politologo morto suicida nel 2017 famoso per il testo Realismo Capitalista. Il libro, uscito con il titolo Il nostro desiderio è senza nome, raccoglie numerosi interventi apparsi sul suo blog K-punk e su diversi giornali e riviste in cui ho trovato spunti molto interessanti, soprattutto alla luce di un futuro post-coronavirus. Fisher non concede nulla alla rassegnazione, cercando una via d’uscita dal “realismo capitalista” che rende impossibile anche solo pensare a una condizione migliore. Rifiuta l’atteggiamento depressivo a cui le logiche di mercato ci hanno educati, e spinge a “valutare in modo responsabile e pragmatico le risorse a nostra disposizione qui e ora, e a riflettere su come utilizzarle al meglio e incrementarle. Di muovere – magari lentamente, ma con assoluta determinazione – da dove ci troviamo oggi a un luogo molto diverso”.
-Santa Nastro
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