Il programma 2020 della Fondazione Merz di Torino
Intervista a Beatrice Merz, presidente della Fondazione che porta il nome di Mario e Marisa. Tante le attività in programma, tra Palermo, Matera, Torino, Roma e New York
Continua l’inchiesta di Artribune che interroga presidenti e direttori dei maggiori musei e fondazioni italiane sulle difficoltà e le prospettive della stagione in corso e di quella che verrà. Oggi andiamo a Torino e parliamo con Beatrice Merz, alla guida della fondazione che porta il cognome di Mario e Marisa. Tante le modifiche al programma ma anche le attività: da una mostra, Push the Limits, curata con Claudia Gioia, a un festival di prossima apertura a Palermo, fino ad una sala dedicata a Mario Merz a New York, presso la DIA Beacon. Qui vi raccontiamo nei dettagli nei dettagli.
Come sarà l’autunno 2020 per il tuo museo?
Abbiamo appena inaugurato la mostra Push the Limits che ci accompagnerà per tutto l’autunno fino al 31 gennaio prossimo. Abbiamo lavorato a questo progetto con Claudia Gioia da oltre un anno e durante il lockdown, che ha fermato il processo di allestimento, ci siamo ripetutamente domandate se la nostra visione avesse ancora un senso. Anche grazie al continuo confronto con le artiste coinvolte, abbiamo realizzato che non solo, giorno per giorno, le opere trovavano conferma, ma anzi acquisivano più valore visionario; di fatto non è una mostra post-Covid, ma una mostra pre-Covid che ci ha convinto ancor di più che l’arte anticipa, e spesso segnala le disfunzioni sociali, politiche, economiche che portano inevitabilmente a talune catastrofi.
Altre attività?
Per quanto concerne la programmazione tutto è stato necessariamente modificato posticipando gli appuntamenti o, in alcuni casi, annullandoli. In attesa delle già previste personali di Bertille Bak, vincitrice della terza edizione del Mario Merz Prize e di Michal Rovner, stiamo lavorando ad una ridefinizione del programma. Nel contempo abbiamo attivato una serie di collaborazioni con altre istituzioni.
Per esempio?
Per festeggiare i 15 anni della Fondazione, a Torino abbiamo inaugurato la mostra in corso Push the Limits.
Dal 21 al 25 ottobre ritorneremo a Palermo, collaborando con il Festival delle Letterature Migranti per il terzo anno consecutivo nella sezione arti visive, con un progetto affidato agli artisti Francesco De Grandi e Michele Guido, curato da Agata Polizzi.
E poi ci sono diverse collaborazioni, nazionali e internazionali…
Sì, presto aprirà una sala dedicata a Mario Merz alla DIA Beacon, progetto a cui stiamo lavorando da tempo e che finalmente vedrà la luce. La DIA come le altre istituzioni statunitensi sta piano piano riaprendo al pubblico e siamo felici di far parte di questa nuova vita. Inoltre voglio ricordare la collaborazione con Matera 2019 sul progetto che ruota intorno all’opera di Emily Jacir Pietrapertosa, la cui realizzazione è stata sostenuta dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019. In ultimo vorrei segnalare che è aperta la call online delle nomination della quarta edizione del Mario Merz Prize. Invito davvero a nominare artisti visivi e/o compositori di musica contemporanea, la scadenza è il 18 dicembre prossimo.
Cosa ti aspetti dalla prossima stagione?
Mi aspetto curiosità, desiderio, consapevolezza e esigenza da parte di un pubblico che si riaffaccia timidamente alla vita culturale del paese.
Cosa invece ti preoccupa di più?
Mi associo alla preoccupazione collettiva di un’eventuale recrudescenza della pandemia, con le drammatiche conseguenze economiche e psicologiche difficilmente controllabili. E mi preoccupa l’imperturbabile disattenzione verso le persone in fuga nella fuga.
Quali pensi che saranno le sfide che i musei dovranno affrontare nel prossimo futuro?
Certamente l’innovazione tecnologica è uno dei temi che le istituzioni culturali di ogni genere e misura stanno affrontando, ma non si deve limitare ad uno spazio online, sarebbe opportuno ragionare su un progetto dinamico. La sperimentazione è elemento costitutivo del museo contemporaneo, connesso ad una logica di apertura in termini ricettivi e partecipativi. Per questo è necessario interrogarsi se in situazione di crisi è sufficiente muoversi in termini esclusivamente di proposta culturale? O occorre anche agire attraverso un vero e proprio atto politico? Il nostro è un ruolo sociale. Quindi, è necessario riflettere sulla natura del luogo di cultura a partire non solo dai possibili fruitori, ma dal ruolo giocato dagli stessi artisti e dalle proprie opere, elementi protagonisti delle realtà culturale e civili. E riflettere sulla necessità di desistere dalla bolla nella quale il mondo dell’arte si è auto-generato.
Diamo i numeri: come è andata dalla riapertura in termini di pubblico?
La mostra sta andando molto bene anche al di sopra delle aspettative. Inoltre, il concerto di musica contemporanea accompagnata da un intervento video di Michele Guido, che si è svolto a Trieste il 5 settembre e realizzato con la Società del Concerti in occasione di ESOF20, è stato un sold out.
Quale è stata la cosa più bella da quando hai riaperto?
I ringraziamenti ricevuti per la ripresa delle attività espositive. La sentita necessità del pubblico di ‘guardare’ in presenza le opere.
Cosa chiedi alla politica in questo momento comunque difficile?
Di concentrare le attenzioni sicuramente sui problemi sanitari, ma di non dimenticare la cultura, iniettando ossigeno a fondo perduto. La cultura è anch’essa cura e educazione dell’anima, utile ad affrontare momenti difficili.
Consigliaci un libro per inaugurare la stagione.
Consiglio Curatorial activism: towards an ethics of curating di Maura Reilly. Quanto sono necessari atti di resistenza sociale? E che ruolo il mondo dell’arte deve svolgere a questo riguardo?
– Santa Nastro
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