Rinviare la mostra dedicata a Philip Guston è sbagliato. Ecco perché

Il curatore Peter Benson Miller - già curatore di libri e mostre su Philip Guston - commenta il rinvio della retrospettiva dedicata al maestro americano per motivi razziali

La decisione dei direttori delle quattro istituzioni a monte dell’attesissima retrospettiva Philip Guston: Now di rimandare la mostra al 2024 mette effettivamente in pericolo il futuro dell’esposizione. Ironia della sorte è stata proprio l’attualità dell’opera di Guston ad averli fatti riflettere sulla possibilità di una pausa. Lo statement dei direttori, postato discretamente sul sito della National Gallery di Washington prima che la notizia trapelasse sui media grazie agli articoli pubblicati da ArtNews e dal New York Times, non cita in maniera specifica le opere incriminate, suggerendo solo che la mostra è rimandata “fino a quando pensiamo che il potente messaggio di giustizia sociale e razziale al centro del lavoro di Guston possa essere più chiaramente apprezzato”. Le critiche al rinvio, viste da molti come una forma di censura, continuano a crescere. L’errore di calcolo dei direttori appare ancora più grave alla luce della reazione di tutta una serie di artisti, curatori, critici e molti altri, che hanno firmato una lettera aperta pubblicata il 30 settembre da The Brooklyn Rail. Ammirato dagli artisti per la sua finezza pittorica, la resistenza alle ortodossie artistiche di ogni tipo e la sincera autocritica. Philip Guston anima il dibattito negli studi degli artisti contemporanei molto più di quanto lo faccia sui muri dei musei dove le sue opere, almeno fino ai tempi recenti, sono state oscurate da amici e rivali come Jackson Pollock, Mark Rothko e Franz Kline.

PHILIP GUSTON: NOW: LE CRITICHE PER IL RINVIO

La veemente protesta pubblicata su The Broolyn Rail ha generato un secondo articolo sul New York Times, scritto dal critico Jason Farago, che ha prestato la propria voce agli oppositori. L’eminente critico e curatore Robert Storr, autore dell’importante Philip Guston: A Life Spent Painting (2020), la sua seconda monografia su Guston, si è inoltre espresso contro la decisione di rimandare la mostra. Di fronte a una così rumorosa condanna i direttori delle istituzioni, combattuti, potrebbero fare marcia indietro. Lo speriamo tutti. Parafulmine del mondo dell’arte fin dal suo controverso ritorno alla figurazione nei tardi anni ’60, Guston, uno dei più influenti e lungimiranti artisti della seconda metà del XX secolo, è emerso ancora una volta come una figura chiave in un momento spartiacque di resa dei conti culturale. Questa volta però, mentre gli Stati Uniti si stanno finalmente occupando dei lasciti dello schiavismo, la posta in gioco è molto più alta e si estende ben oltre il mondo dell’arte.

IL RINVIO DELLA MOSTRA PHILIP GUSTON: NOW

A dire il vero, l’ondata di proteste contro il razzismo istituzionale e la violenza da parte della polizia nei confronti delle persone afro americane innescata dall’omicidio di George Floyd a fine maggio, ha drammaticamente alterato il paesaggio culturale negli Stati Uniti. Tra le altre cose ha richiesto un nuovo approccio interpretativo all’opera di Philip Guston e ai suoi lavori dell’ultimo periodo. In questione sono le figure del Ku Klux Klan che ricorrono in dipinti e disegni, specialmente tra il 1968 e il 1970, un altro periodo di drammatica agitazione negli Stati Uniti. Come è stato notato questi nuovi approcci interpretativi erano comunque già stati affrontati nel catalogo che accompagnava la mostra e che includeva saggi di artisti come Trenton Doyle Hancock, Glen Ligon, Dana Schutz e Amy Sillman, tra gli altri. In un post su Instagram, Mark Godfrey, curatore della mostra alla Tate, rivela che i curatori avevano revisionato gli apparati didattici e gli aspetti relativi all’allestimento nelle varie sedi in modo da affrontare esplicitamente i temi della giustizia razziale e le possibili ambiguità nell’appropriazione delle figure del Klan da parte di Guston. Da parte mia, il rinvio/cancellazione della mostra è una occasione sprecata. Non c’è momento migliore di quello che stiamo vivendo oggi per presentare una mostra come questa, che potrebbe contribuire in maniera significativa alla vasta rivoluzione culturale in corso negli Stati Uniti e altrove. Sia gli studi su Guston che il Paese resterebbero arricchiti da una attenta riconsiderazione del suo lavoro, in particolare dai quadri della serie Hood, visti alla luce della storia recente.

LA STORIA DELLA SERIE HOOD

Nei trascorsi 50 anni, fin da quando Guston ha presentato per la prima volta queste opere alla Marlborough Gallery di New York nell’Ottobre 1970, esse sono state spiegate innanzitutto in termini biografici. In rottura drammatica con l’astrazione, che considerava sempre di più irrilevante in una America dominata da Richard Nixon, un presidente corrotto e ingannevole, flagellata dalla guerra del Vietnam e dagli scoppi dei conflitti civili, Guston torna ad un motivo che aveva sviluppato nel 1930 quando era un giovane artista per protestare contro il razzismo e gli attacchi violenti del Ku Klux Klan e della Red Squad, la squadra anticomunista di Los Angeles. A dire il vero, a mettere in mostra opere in cui i protagonisti indossano cappucci bianchi, sinonimo della violenza e dell’ideologia razzista del Klan – non importa quando appaiano sfortunati nelle immagini da cartoon, deliberatamente stilizzate, create da Guston – si corre il rischio di offrire grande visibilità ai suprematisti bianchi incoraggiati dalla Presidenza di Donald Trump. Solo l’altra notte, nel dibattito televisivo, Trump ha citato e incitato uno di questi gruppi di estrema destra chiedendo loro di “aspettare”.

GUSTON E L’AMERICAN DREAM

Nelle sue ultime opere, comunque, Guston ha condannato non solo la codardia di questi delinquenti incappucciati, ma anche la partecipazione passiva di chiunque, incluso il pittore stesso, perpetui l’ingiustizia sociale. Nei tardi anni ’60 le figure “cartoon” del Klan dipinte da Guston diventano l’allegoria della complicità, dell’inazione, della accettazione dello status quo sostenendo razzismo e antisemitismo. Certamente la posizione dell’artista è ambigua, sebbene il suo impegno per la giustizia sociale fin dalla giovane età sia fuori discussione. Queste sfumature dovrebbero essere accolte e spiegate dalle quattro iterazioni della mostra piuttosto che essere gettate via come una patata bollente. Come la figlia di Guston Musa Mayer ha spiegato in maniera eloquente nel suo statement esprimendo il suo profondo rammarico per la decisione: “Queste opere sono molto attuali. Il pericolo non è guardare le opere di Guston, ma distogliere lo sguardo”. Quale modo migliore per offrire uno specchio dell’America contemporanea che confrontarla con la cruda colpevolezza che Guston ha messo a nudo cinquanta anni fa quando il Paese è quasi andato a pezzi? L’opera di Guston ci ricorda che l’American dream può rapidamente diventare un incubo per il quale non dobbiamo fare altro che biasimare noi stessi.

PHILIP GUSTON E IL RUOLO DEI MUSEI

Che sia motivata dalla codardia, come molti critici hanno asserito, o dalla sensibilità alla percezione del pubblico non avvezzo all’opera e alla biografia di Guston e quindi più propenso ad offendersi, la decisione è comunque sconvolgente. I direttori hanno abdicato alla propria responsabilità proprio nel momento in cui le istituzioni culturali devono farsi avanti come luoghi per una discussione aperta e per un dibattito ragionato sulle opere d’arte complesse. Se i musei falliscono nell’assumere un ruolo guida nel moderare e garantire una conversazione informata e civile sul ruolo dell’arte nel portare giustizia sociale e razziale, il rischio è quello di svanire rapidamente nell’irrilevanza. Piuttosto che templi incontaminati di arte gradevole che non offende nessuno, i musei hanno bisogno di impegnare i propri diversi pubblici con mostre stimolanti in sintonia con le principali questioni del presente. Per questo motivo, non c’è momento migliore di adesso per una retrospettiva di Philip Guston. Guardando indietro nel lavoro e nella storia di questo artista singolare e visionario, possiamo iniziare a tracciare il diagramma del futuro per una società più giusta ed equa.

-Peter Benson Miller

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Peter Benson Miller

Peter Benson Miller

Storico dell’arte e curatore, Peter Benson Miller ha ricevuto il dottorato all’Institute of Fine Arts/New York University. Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso il Musée d’Orsay, dove è stato responsabile della programmazione culturale e delle attività di ricerca. Ha…

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