Elogio della collaborazione. Tomaso Binga a Napoli
Terza personale di Tomaso Binga negli spazi della galleria Tiziana Di Caro, a Napoli, con tre tappe significative e il primo step del progetto “Transumanze Creative”.
Ad aprire questa nuova personale di Tomaso Binga (Salerno, 1931), la terza negli spazi della galleria Tiziana Di Caro, è Vista Zero, un lavoro storico del 1972 (reinquadratura dell’omonimo polistirolo realizzato nel 1971), che mostra l’attitudine performativa dell’artista, il suo scavo mai pago nel mondo della vita e nelle ampie problematiche sociali legate all’universo femminile, al corpo, all’avanzare delle nuove strategie del comunicare.
TOMASO BINGA E IL CORPO
Si tratta, infatti, di una video azione delicatissima, unica nel quadro creativo dell’artista, realizzata in occasione della sesta Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea di Acireale il 24 settembre del ’72, dove Binga, avvolta da un lenzuolo bianco, una sorta di pagina bianca che nasconde l’epidermide e colpisce e ferisce il perbenismo che vuole la donna chiusa in un silenzioso domato cosmo domestico, è sola davanti alla telecamera (il videotape è disperso ma abbiamo in mostra le foto che testimoniano l’azione) mentre si fascia la testa. Dopo questo primo rituale alquanto aperto a una cura del sé così come intesa da Foucault qualche anno dopo (ci riferiamo al Foucault che riapre il dossier Socrate-Platone-Aristotele), l’artista applica sulle sue guance e sulla sua fronte debitamente bendata, cinque paia di occhi ciclostilati e spalancati (legati al mondo delle nuove tecnologie che massaggiano sin troppo ferocemente il pensiero critico della civiltà contemporanea) mentre i suoi autentici reali azzurri, dolce è il finale, man mano si chiudono per mostrare le sole palpebre e per spostare l’asse investigativo sull’assenza dello sguardo, sull’otturazione del vedere, sull’alienazione umana, sulla natura domata corrosa corrotta, sulla sempre più perniciosa condizione femminile.
TOMASO BINGA E LE DONNE
Diario Romano 1895 – 1995, nella seconda stazione della mostra, ci porta poi nel mondo di una donna siciliana (probabilmente d’alto rango) di cui però non conosciamo il nome, anche se sappiamo che suo marito era napoletano e che i figli avevano studiato tutti a Livorno.
Nel suo diario (a Binga le era stato regalato da amici che conoscevano il suo interesse per le carte antiche su cui proprio in quel periodo stava lavorando), la donna narra la sua vita segreta, scrive i suoi pensieri: e fa trasparire anche antichi crucci. C’è infatti una frase ambigua, ripetuta più volte, “carrozza di pesce morto”, che Tomaso Binga – e concordava con lei anche Mirella Bentivoglio con cui l’artista ne aveva parlato per un confronto costruttivo – riporta a un probabile vecchio spasimante siciliano, incontrato di tanto in tanto per strada durante le vacanze estive e guardato con sano disprezzo.
Ponendosi dalla parte di questa donna e in generale di tutte le donne, la stessa Binga nel 1995 scrive un suo diario, meravigliosa l’installazione a pioggia di pagine che troviamo in galleria da Di Caro (davvero elegantissima e disarmante), quasi a tracciare un filo – ininterrotto nonostante lo scorrere del tempo, dei giorni, dei mesi, degli anni, dei decenni – che cuce il tempo al tempo e che evidenzia, nonostante i cento anni che dividono i due resoconti annuali, le costanti e irrisolte problematiche dell’universo femminile.
TOMASO BINGA E LE ARTISTE
Nella terza e ultima sala Binga è, rendendo più vivo il senso di partecipazione e riversandolo sul presente, in dialogo con due amiche, Elvi Ratti e Grazia Menach, in una spiccata “sorellanza” creativa. Qui è presentato, secondo l’artista, il nucleo del suo progetto legato a una sorta di manifesto che ha scritto lo scorso 25 luglio 2020 e che vale la pena riportare per esteso. “Nato dal desiderio di ritornare a una necessaria partecipazione attiva tra artiste di generazioni differenti, Transumanze Creative è un progetto in continuo movimento e aggiornamento che pone al centro dell’attenzione il desiderio di ritornare al dialogo, al dibattito: a azioni plurali che partono dalla singolarità per approdare all’urgenza di una collettività da reinventare e rinvigorire mediante la forza aggregante dell’arte. Si tratta, nello specifico, di un processo di coinvolgimento attivo e interattivo, di un discorso a più voci che parte da una artista il cui volere è quello di creare unione e dunque di invertire la chiusura stagna dell’esposizione personale in apertura conviviale, in spazio dell’accoglienza e dell’ospitalità, in sentiero della tolleranza, in ventaglio collettivo, in rapporto di partecipazione e di coinvolgimento, in confronto e argentino stridore, in piacere polifonico. Se da una parte è una artista a scegliere alcuni nomi dell’arte per creare una sorellanza logica e metodologica, un confronto costruttivo tra voci differenti, dall’altra è l’esposizione in sé a trasformarsi – di tappa in tappa, di fase in fase, di traguardo in traguardo – in un percorso familiare e energicamente solidale per plasmare così un perimetro riflessivo e attuativo in cui è possibile scorgere la gialla forza una nuova e sana e itinerante socialità”.
‒ Antonello Tolve
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