Stoa169, una nuova Kunsthalle nel cuore della Baviera. Intervista con l’ideatore Bernd Zimmer
A 50 Km da Monaco di Baviera sorge un portico le cui colonne sono state e continueranno a essere realizzate da artisti di tutto il mondo. Ce ne ha approfonditamente parlato il suo ideatore, l’artista Bernd Zimmer
A Polling, piccolo villaggio nella campagna bavarese a 50 chilometri da Monaco, in Germania, l’artista Bernd Zimmer ha ideato il progetto Stoa169: come rivela l’etimologia greca del nome, si tratta di un portico, le cui colonne sono state e saranno l’espressione corale di centinaia di artisti provenienti da tutto il mondo. Stoa169 si presenta al visitatore come un Gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale, policromatica, polimaterica e multiculturale, una sorta di stato generale dell’arte contemporanea nel mondo. Parzialmente inaugurato lo scorso settembre, ha già attratto 30.000 visitatori e il team della Stoa169 attende la primavera 2021 per il completamento dell’opera e il “battesimo” ufficiale. Il portico è aperto a tutti gratuitamente, fruibile in ogni momento della giornata, raggiungibile intraprendendo un pellegrinaggio di qualche chilometro nella natura. Lungo il cammino, si incontrano cittadini visibilmente a caccia di arte contemporanea e visitatori casuali, come ciclisti e podisti, soliti fare attività sportiva lungo il sentiero. Le acque cristalline del fiume Ammer scorrono a soli 200 metri dal portico, che sorge su un terreno acquistato dalla Fondazione Stoa169 insieme ad altri appezzamenti limitrofi, per evitare che in futuro sorgano edifici che possano oscurare l’opera.
BERND ZIMMER, IDEATORE DI STOA169
Bernd Zimmer, nato nel 1948 a Planegg in Baviera, dopo avere studiato filosofia e storia delle religioni e dopo essersi affermato a livello internazionale come uno dei Neue Wilden, è statocofondatore della celebre galleria berlinese am Moritzplatz insieme a Rainer Fetting, Helmut Middendorf e Salomé; nel 1984 ha trasferito il suo studio e residenza a Polling, in una ex proprietà conventuale. Una scelta che conferma una tradizione inaugurata nel XIX secolo dai pittori della Scuola di Monaco di Baviera, tra cui Heinrich Zügel, Franz Defregger e Franz Duveneck, che elessero Polling come residenza estiva per esercitarsi nella pittura di paesaggio. Polling non dista molto da Murnau, dove si trova la cosiddetta “Casa russa”, utilizzata per un periodo dalla coppia Kandinsky-Münter, né dal al sistema museale legato all’espressionismo, che parte dal Lenbachhaus di Monaco di Baviera, passa per il Museo Franz Marc sul lago Kochel per arrivare al museo civico di Murnau. Forse in virtù dell’amenità del luogo, una distesa di campi incorniciati dalle non lontane Alpi bavaresi e dal fiume Ammer, Thomas Mann ambientò nel luogo fittizio Pfeiffering, identificato con Polling, il romanzo scritto durante l’esilio negli Stati Uniti e pubblicato nel 1947 con il titolo di “Doktor Faustus”. Oggi un sentiero guidato mette in evidenza i luoghi menzionati nel romanzo.
STOA169, IL “PORTICO DELL’ARTE” IN GERMANIA
Tra gli artisti che hanno finora aderito al progetto Stoa169 spiccano i nomi di Herbert Brandl (1959), Peter Halley (1953), Rebecca Horn (1944), Magdalena Jetelova (1946), Brigitte Kowanz (1957), Sean Scully (1945), Daniel Spoerri (1930), Subodh Gupta (1964) ed Erwin Wurm (1954). Accanto alle personalità rappresentative di una generazione o di una precisa forma d’arte, si distinguono artisti che ben interpretano il messaggio del progetto: ne è un buon esempio il greco Andreas Angelidakis (1968), che ha costruito la sua colonna con gli scivoli che si utilizzano nei cantieri edili per liberarsi dei materiali di scarto. Nella sua opera assurgono a simbolo di una delle devianze del mercato immobiliare, ovvero le migliaia di abitazioni disponibili sulla piattaforna Airnbnb, che vengono spesso rinnovate per essere affittate a un prezzo migliore.L’artista africano originario del Benin Georges Adéagbo (1942) ha realizzato una colonna site specific ispirata alla storia di Polling, da lui così descritta: “disporremo di pace e creatività in grande quantità, se noi uomini sapremo valorizzare e rispettare le differenti tradizioni culturali”.
INTERVISTA A BERND ZIMMER
In Baviera e in Germania la Stoa169 sta appassionando molti amanti dell’arte. Racconterebbe anche ai lettori italiani di Artribune come è nato il progetto?
L’idea è maturata durante un viaggio nell’India meridionale, dove nei pressi dei templi si incontrano porticati con colonne che, a differenza di quelle dei templi greci, dove siamo abituati a riscontrare linee semplificate e proporzioni armoniose, sono formate da elementi giustapposti e sculture. Ho pensato così di realizzare un progetto simile, invitando centinaia di artisti provenienti da tutto il mondo, dando loro l’incarico di costruire la propria casa. Una dimora con un proprio tetto, che protegga gli artisti, senza aver bisogno di un museo, che è un luogo chiuso, una struttura aperta direttamente a contatto con la natura. Ho pensato questo progetto più di trenta anni fa e avrei voluto inaugurarlo in occasione del cambio del millennio. Poi però è arrivata la crisi dei dotcom e non avrei saputo come trovare i fondi. Ho quindi accantonato l’idea, ma non l’ho mai abbandonata. Nel 2015 ho intrapreso un nuovo viaggio nell’India del sud con mia moglie, per spiegarle il progetto e perché mi entusiasmasse tanto. Da quel momento abbiamo deciso insieme di farlo diventare realtà, per dare un’idea positiva della globalizzazione. Si tratta di un progetto a più mani, dove più culture si confrontano e trovano riparo sotto lo stesso tetto, mettendo da parte sentimenti di inimicizia.
Gli artisti possono scegliere autonomamente dove collocare la propria colonna?
No, sarebbe troppo complicato. Provi a pensare se dieci artisti volessero lo stesso spazio, cosa faremmo con i restanti nove? Devo dirle che finora questo non ha rappresentato un problema per gli artisti. Solo due, che si sono uniti da poco al progetto, non erano del tutto soddisfatti della collocazione e quindi gli siamo andati incontro con una leggera modifica. È molto importante che sui lati esterni ad ovest e a nord ci siano colonne robuste. Le colonne dipinte ad esempio sarebbero troppo esposte alle intemperie. Bisogna considerare soprattutto gli aspetti tecnici per comprendere il motivo per cui una colonna si trova in una determinata posizione.
Quante colonne sono state realizzate ad oggi?
Al momento ne abbiamo 81 e ce ne saranno 121 e non 169, come avevamo inizialmente annunciato. Ciò è dovuto in parte alla scomparsa di alcuni artisti o al fatto che non godono più di buona salute e hanno quindi smesso di lavorare – deve ricordare che ho pensato questo progetto 30 anni fa quando avevo quaranta anni. Ci sono stati anche artisti come ad esempio Marina Abramović e William Kentridge che hanno rinunciato perché non si sentivano a loro agio con il medium della colonna e ad esprimere il loro lavoro in forma scultorea. Pertanto abbiamo deciso di ridurre le dimensioni del portico, che sarà costituito da 11 colonne su ogni lato anziché 13.
Ho letto che le file di colonne in diagonale, composte da colonne portanti, sono riservate ai giovani artisti. Possiamo interpretarlo come un messaggio ottimista nei confronti del futuro?
Sì, e questo è il motivo per cui ogni anno intendiamo coinvolgere una nuova generazione di artisti. La Stoa169 è un organismo dinamico in cui si confronteranno artisti novantenni con i più giovani che avranno venti anni. Rompiamo la tradizione per traghettarla nel futuro.
Crede che, nel sistema dell’arte, l’arte abbia perso il suo rapporto con lo spirito?
No, non lo credo. Penso che l’arte svolga in ogni società un ruolo specifico. Esistono tantissime forme di arte che si confrontano con la società, innescando dei meccanismi che lasciano tracce. In ogni caso in Germania l’arte ha un ruolo importante; abbiamo così tanti musei di diverse dimensioni e numerose accademie e associazioni artistiche. Trovo ad esempio che in Francia la situazione sia più complessa, perché si tratti di un sistema molto più centralizzato e che dipenda da Parigi, dove hanno sede le accademie e le istituzioni più importanti. In Germania l’arte gode di una funzione importante, forse non enorme, ma rilevante.
Ha dichiarato che il numero di 169 colonne non è casuale; è il risultato della moltiplicazione 13 x 13, un numero sacro nella religione hindu. Questa cifra dovrebbe anche portare fortuna nella ricerca dei fondi: 69.000 euro per ogni colonna e 16.900 euro per il mantenimento della stessa. Ora le domando: la Stoa169 ha un orientamento astronomico?
No, non ha un orientamento astronomico, ma questi numeri dispari sono importanti, perché fanno sì che non ci sia un ingresso principale. Ogni possibile ingresso è sostituito da una colonna, anche nel centro troviamo una colonna. Per me era importante provocare e rendere percepibile questo effetto. Intorno al porticato corre un sentiero, che consente di accedere da qualsiasi punto. Il tutto è pensato per annullare l’idea religiosa del tempio, non c’è nessun punto rivolto ad est. La Stoa169 si orienta verso nord, ovest e sud ma con un voluto leggero spostamento di quattro gradi, in modo che non sia così preciso.Ho ritenuto importante che il portico fosse costruito riprendendo una forma prodotta dall’uomo e non esistente nella natura, che è quella del quadrato. La Stoa169 è un edificio realizzato dall’uomo, che si distacca dalla natura. Quest’ultima può invaderlo attraverso le aperture esistenti. Abbiamo costruito il minimo indispensabile di ciò che è consentito in Germania; la luce filtra dall’alto e l’acqua piovana ha la possibilità di tornare al terreno scorrendo attraverso il portico, non c’è alcuna forma di sigillo.
Come intende porsi il progetto nei confronti del pubblico? Come tempio dell’arte e oasi in un paesaggio idilliaco per ritrovare se stessi o come un centro culturale attivo?
Il progetto ha chiaramente uno scopo educativo. Ci sono ciclisti che si trovano a passare da qui, entrano per caso e magari si confrontano per la prima volta con alcune espressioni artistiche, quali l’arte astratta e quella concettuale oppure con le più “comprensibili” pittura e scultura. Inoltre non si paga l’ingresso, si può venire quando si vuole e non si viene sorvegliati, e tutto ciò ha un valore importante. In linea di principio si potrebbe visitare la Stoa169 anche di notte con la torcia e in quel momento incontrare un capriolo o a una volpe.
Ho letto che solo pochi cittadini hanno partecipato a un incontro informativo che Lei aveva indetto, e che gli agricoltori hanno espresso perplessità in merito al progetto. Si sarebbe aspettato una maggiore partecipazione? Dato che ognuno di noi è solo una parte del tutto, come potrebbe la tradizione dell’arte a Polling avviare un dialogo concreto con l’agricoltura?
È una domanda difficile…in genere gli agricoltori non hanno alcun rapporto con le arti visive, ma si percepiscono come rappresentanti importanti della cultura rurale e talvolta danno l’impressione di pensare di poter capire meglio di altri la natura. Questo non è affatto vero, perché fanno un uso eccessivo di pesticidi e contribuiscono alla contaminazione del terreno. Con questa discussione entriamo in un altro ambito, ma abbiamo notato che alcuni agricoltori di Polling sono venuti a visitare il portico e questo rappresenta già un enorme progresso, perché sono persone che non si recherebbero mai a Monaco di Baviera per visitare un museo. Ci troviamo in un contesto agricolo nella provincia, ma Polling ha un passato storico-artistico glorioso. Nel convento si sono formati studiosi che hanno dato vita alla prima stazione metereologica del mondo. Qui si trovava la più grande biblioteca della Baviera, i cui testi durante il processo di secolarizzazione sono confluiti nella Biblioteca dello Stato della Baviera. Dalle chiese di Polling proviene la prima rappresentazione di Cristo da questo lato delle Alpi. In un preciso momento l’arte è migrata dalle chiese ai contesti laici e allo stesso modo io la riporto nella natura e i due mondi un giorno godranno di questo riavvicinamento. Non si tratta di due realtà in contrapposizione; nello specifico il terreno dove ci troviamo viene coltivato con agricoltura biodinamica. Credo che la domanda alla quale tutti abbiamo urgenza di rispondere non è “come sarà l’arte in futuro”, bensì “come ci alimenteremo”.
Lei descrive il portico come un progetto solidale e interculturale. Gli artisti vengono invitati da una commissione scientifica e i costi vengono sostenuti da mecenati. Cifre importanti per arte di qualità e ritorno di immagine per gli sponsor. Come pensa di garantire il processo democratico, se gli artisti non possono candidarsi spontaneamente?
Possono farlo e riceviamo anche molte proposte, ma con un numero limitato di colonne preferiamo scegliere personalmente. Forse sarebbe possibile disponendo di mille colonne, ma abbiamo voluto invitare artisti che hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo di una determinata forma d’arte e aperto nuovi orizzonti. Ad esempio Lawrence Weiner ha contribuito all’affermarsi dell’arte concettuale; sono poi presenti anche racconti generazionali, come diversi artisti affermatisi negli anni Ottanta, penso ai colleghi Enzo Cucchi, Mimmo Paladino e Siegfried Anzinger. Per essere davvero democratici, bisognerebbe svolgere uno studio statistico per capire quanti artisti sono attivi in Africa, Europa e così via…è molto difficile. In ogni caso l’idea alla base della Stoa169 è così semplice che può essere replicata altrove e ciò non diminuirebbe la sua importanza. Leiko Ikemura, presente con una sua colonna, sta pensando ad esempio di ripetere il progetto in Giappone.
Come immagina la missione della Stoa169 e in generale degli attori culturali nel dopo pandemia?
Penso che la crisi attuale dovuta al coronavirus ci accompagnerà a lungo; oggi ha questo nome e domani ne avrà un altro. Ci troviamo nel bel mezzo di una svolta evolutiva, una nuova rivoluzione copernicana, e dobbiamo comprendere che non possiamo continuare a esercitare così tanta violenza nei confronti della natura. Essa ci sta ponendo dei limiti che non possiamo oltrepassare e dovremmo cogliere questa occasione per costruire una nuova forma di società. Ne sono estremamente convinto. Non voglio morire e sicuramente neanche lei, ma se noi non rispettiamo la natura, perché mai questo bacillo dovrebbe risparmiare gli esseri umani? Trovo che i giovani stiano pagando un prezzo pesante, soprattutto nel come vivere la socialità. Forse il presente mi ricorda il dopoguerra, quando noi bambini di allora non avevamo molte possibilità di svago. Pensi che come unico bambino di confessione protestante della classe, non mi era permesso giocare con i compagni cattolici. Rappresentavo l’eresia in Baviera.
Non avrei immaginato una tale discriminazione…è stato segnato da questa esperienza ed è per questo che ha pensato a un progetto artistico tra virgolette “ecumenico”?
Sì, questo vissuto mi ha segnato tantissimo e la Stoa169 potrebbe definirsi anche “ecumenica”, visto che sono presenti artisti di diverse fedi religiose. Il discorso ecumenico mi interessa molto, perché ho studiato storia delle religioni. Siamo tutti uomini fatti della stessa sostanza.
Nella Stoa169 l’Italia è rappresentata da Mimmo Paladino ed Enzo Cucchi. Potrebbe motivarci questa scelta?
Sono stato molto felice della loro partecipazione, soprattutto da parte di Paladino che so condurre una vita molto ritirata. Abbiamo provato a invitare anche Michelangelo Pistoletto, ma ha rifiutato forse per via dell’età. Mi sarebbe piaciuto molto che aderisse Giuseppe Penone, abbiamo provato a coinvolgere anche Maurizio Cattelan, purtroppo senza riscontro positivo. L’assenza di Penone mi ha fatto male, ma per l’Italia potremo presto contare su una presenza femminile: Monica Bonvincini.
Ho appreso che utilizza un secondo atelier in Emilia Romagna. Potrebbe rivelarci dove si trova e quale aspetto dell’Italia apprezza maggiormente?
Se si oltrepassano le Alpi, in linea d’aria l’Emilia Romagna dista da qui solo 350 Km, ma l’ambiente e il modo in cui vivono le persone cambia totalmente ed è proprio questo contrasto che mi affascina. L’Emilia Romagna, rispetto alla Toscana e al lago di Garda, che sono quasi delle colonie tedesche, mi piace perché non viene frequentata da così tanti miei connazionali e presenta dei paesaggi più integri. Ovviamente amo la gastronomia e in generale la vostra cultura, che ho avuto modo di apprezzare durante un biennio trascorso a Roma presso la Villa Massimo. Il mio studio in Emilia Romagna si trova nel castello di Monteventano in provincia di Piacenza, un edificio storico distrutto per ben due volte da Federico Barbarossa.
– Lidia Ciotta
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