Il privato è politico. Una mostra da vedere alla Fondazione Nomas di Roma
Alla Fondazione Nomas di Roma è in corso, fino al 28 febbraio, una mostra che coniuga le opere di Maria Adele del Vecchio e Giulio Delvè. Facendo dialogare le istanze politiche con riflessioni intime.
Rivendicazione: questo è il concetto fondante dell’interessante mostra Little Constellation. Maria Adele del Vecchio – Giulio Delvè, aperta fino al 28 febbraio alla Fondazione Nomas, tutta giocata su una narrazione incrociata, che vede dialogare tra loro due artisti di generazioni diverse, che trattano temi simili ma con punti di vista complementari.
LA MOSTRA DA NOMAS SECONDO IL CURATORE
Allestita in maniera tale da suggerire un ambiente domestico, i lavori di Maria Adele Del Vecchio (Caserta, 1976) e Giulio Delvè (Napoli, 1984) interagiscono tra loro in maniera coordinata e armoniosa, a costituire un’unica narrazione.
“In entrambi urge la riscoperta umanista e umanitaria, la regola dell’intersezione e il rifiuto dell’esclusione, della superficialità”, spiega Gigiotto del Vecchio nel testo che accompagna la mostra. “Il ragionamento sul concetto di comunità è al centro della rappresentazione di questa mostra”, aggiunge.
Entrambi gli artisti hanno costruito negli ambienti della fondazione uno spazio sociale, dove istanze collettive e individuali si fondono e le proteste femministe si stemperano in una dimensione privata, affettiva e poetica, senza però perdere il proprio significato etico e politico.
IL LATO INTIMO DELLA MOSTRA ROMANA
La prima parte del percorso espositivo è caratterizzata da una temperatura più intima, con opere che si nutrono di un’atmosfera poetica ed esistenziale: Profumo (2020) di Delvè è la tenda di un’edicola napoletana, dove il proprietario aveva scritto con lo spray la parola ‘profumo’, mentre Untitled (2016) di Del Vecchio è una sorta di messa in scena privata di un notturno dal sapore leopardiano; una sorta di linea d’ombra dove si innestano le corrispondenze tra Malinconia #5 (2015) di Del Vecchio, con una spilla da bambina incastrata tra due blocchi di quarzo nero, e Azione meccanica di una roccia effusiva su un solido amorfo (2012) di Delvè, composto da un sanpietrino ricoperto di schegge di finestrini di auto infranti.
IL LATO POLITICO DELLA MOSTRA DI DEL VECCHIO E DELVÈ
Nella seconda parte la mostra si struttura in un dialogo tra opere di matrice politica, non prive di accenti ironici, come Carazia (2020) e Polinieri (2018) di Delvè, composte da due sezioni di portelloni di macchine della Polizia e dei Carabinieri accostate tra loro, o Viva il Brigantaggio (2011), una carrellata di fotografie disposte ad angolo, che documentano un intervento anonimo di protesta sui muri di piazza Dante a Napoli.
Le opere di Del Vecchio sono sette scialli appartenuti alla madre dell’artista, sui quali del Vecchio ha fatto stampare a lettere dorate frasi personali o tratte da libri legati al femminismo, che compongono una sorta di scansione metrica sulle pareti della sala. Tra le più intense figurano “nella mia grazia buia”, stampata su un foulard nero, e “quando la bambina piange non sapendo cosa fare piango anche io” su uno scialle colorato a disegni cashmere.
“Si tratta di una tappa del proprio percorso nella proposta culturale, poetica, politica di un approccio con questo momento storico così complesso, in cui comunità e individuo sono con forza invitati a confrontarsi”, conclude Gigiotto Del Vecchio.
Un applauso alla Fondazione Nomas per aver accolto una mostra da non perdere, esemplare per equilibrio, precisione e senso.
– Ludovico Pratesi
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