Le azioni in-visibili di Zhang Huan a Milano
In mostra nella galleria Giampaolo Abbondio di Milano una serie di opere fotografiche che documentano le performance realizzate da Zhang Huan tra gli Anni Novanta e il primo decennio degli Anni Duemila Il corpo dell’artista è pratica significante: produce e agisce possibili processi di significazione. Mettendo in gioco questioni culturali, etiche e politiche.
Farsi scrivere ideogrammi sul volto fino a essere ricoperto da un’illeggibile macchia nera; aumentare il livello dell’acqua di uno stagno immergendovi il suo corpo e quello di una quarantina di operai. Abbracciare e scontrarsi con la cultura occidentale attraverso il Marforio, cozzare con la diversità della natura di un asino. Riappropriarsi della propria identità, mangiando fotografie dei propri famigliari nel tentativo di vincere la guerra contro la dissoluzione. Nel lavoro di Zhang Huan (Anyang, 1965) la coscienza del corpo opera in modi diversi: è il legame tra lo spirito interiore e il mondo esterno, è il dolore che fa collassare le distinzioni, è l’impossibilità di abbracciare la diversità, l’identità, ma è anche il mezzo attraverso il quale ci connettiamo con gli altri e la natura.
“Voglio lavorare in modo che le persone possano essere commosse dal senso del possibile”, dichiara l’artista in un’intervista di RoseLee Goldberg. Zhang Huan, in effetti, sollecita interrogativi, incide sul pensiero politico reale, scuote il senso comune, senza produrre risultati tangibili ma sicuramente lasciando immaginare nuove relazioni della significazione. Non ci dà le risposte, ma questo, del resto, non è compito dell’arte.
– Francesca Mattozzi
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