Vanni Cuoghi e i viaggi immobili all’epoca della pandemia

Durante il primo lockdown ha pubblicato sui social network un acquerello al giorno. Ora Vanni Cuoghi sta preparando una mostra dedicata alle montagne della Valle d’Aosta. Per ricordare che l’arte è un ottimo strumento di lettura del mondo e di evasione. Anche stando fermi.

In che misura la pittura racconta delle storie? A volte guardando un quadro ci viene semplicemente offerta un’immagine da contemplare, altre volte invece ci troviamo di fronte una narrazione complessa che si snoda in uno spazio esiguo, a un racconto concentrato in uno spazio ridotto ma non per questo meno ricco di elementi e suggestioni. Questo avviene da sempre nella storia della pittura, da Giotto a Bruegel a Degas. In alcuni casi il racconto prende in esame una situazione che si dilata nel tempo, in altri casi è questione di un istante, di un momento fugace, e comunque protagonista è sempre la storia, che lascia un segno, che emoziona, che fa riflettere.

L’ARTE DI VANNI CUOGHI

Succede nelle opere di Vanni Cuoghi (Genova, 1966), uno degli artisti più interessanti della scena contemporanea, italiana e internazionale. Cuoghi da sempre allestisce delle storie quando dipinge: nelle sue opere c’è sempre un racconto latente, una trama appena accennata, che l’osservatore deve completare con la propria immaginazione. Spesso i dipinti di Vanni Cuoghi sono concepiti come dei teatrini, delle scenografie ispirate a situazioni di vita quotidiana in cui non di rado irrompe l’elemento fantastico. È una calma perturbante, un senso di imprevedibilità incombente a ispirare molte creazioni di Cuoghi, che con un tratto delicatissimo da virtuoso della pittura allestisce scene enigmatiche, pervase da un senso di mistero. Non di rado in un contesto esotico, nel senso di inusuale, dove gli alberi e la vegetazione dell’Isola misteriosa di Verne rubano la scena ad architetture contemporanee, si incontrano uno o due personaggi solitari. Di solito si tratta di una giovane donna, testimone impassibile della storia che si svolge intorno a lei, una presenza tranquilla, che si rapporta con saggezza all’esuberanza delle forme e dei colori circostanti. L’arte di Cuoghi non ha mai bisogno di gridare per raccontare il mondo attraverso le opere: tutto si svolge in una pacata consapevolezza, anche nei diorami con i possenti draghi rosa dipinti con l’acquerello sulle scatole di psicofarmaci, a evocare in modo poetico l’irrazionale e l’inconscio. In altre situazioni Cuoghi appare prossimo alla levità settecentesca di Watteau, creando delicatissime favole di un minuto con personaggi che ancora una volta rimandano a un mondo incantato, che pare vivere confinato all’interno di una bolla di sapone. In tal modo queste storie, raccontate con il garbo del grande narratore, danno vita a mondi conchiusi, e non a caso una serie di opere risponde al titolo di Monolocali. Ancora una volta in questi minuscoli, fragili teatrini dell’immaginario vanno in scena situazioni al limite della surrealtà, che incuriosiscono e fanno pensare. Capita, per esempio, che creature appartenenti a un immaginario fantascientifico irrompano in stanze di case qualsiasi abitate da gente qualunque, a sottolineare la forza dell’imprevisto, letto in chiave quasi kafkiana.

Vanni Cuoghi, Fondali oceanici, 2020

Vanni Cuoghi, Fondali oceanici, 2020

UN ACQUERELLO AL GIORNO DURANTE IL LOCKDOWN

È anche successo che l’imprevedibilità assumesse tristemente una consistenza reale: nella primavera del 2020, quando il mondo è stato messo in ginocchio dalla pandemia, Cuoghi ha fatto appello al potere lenitivo dell’arte, come cura spirituale per l’umanità, e ha realizzato ogni giorno per quasi due mesi un acquerello, che postava regolarmente sui social alle 18, su Facebook e Instagram, accompagnandolo con una frase tratta dalla letteratura internazionale o dai giornali. Si tratta di 56 dipinti, tutti del formato di una cartolina. Nell’ultimo acquerello è ritratta la Madonna della Misericordia che allarga il manto e rivela la presenza di una porta aperta. Nelle parole di Cuoghi, è “un inno al ritorno alla vita e al riappropriarsi degli spazi all’aperto”. Una visione di speranza che riporta anche al desiderio di viaggiare, una delle grandi passioni di Cuoghi, che, all’American Folk Art Museum di New York, ha avuto l’ispirazione per la serie dei suoi diorami. “Il Folk Art Museum è stato fondamentale per il mio percorso artistico e lo studio del lavoro dell’artista outsider Henry Darger ha modificato il mio approccio alla narrazione, che, da allora, io considero un materiale vero e proprio della pittura”, spiega Cuoghi. Invece i Dipinti magici, quelli della serie La messa in scena della Pittura, come ha spiegato lui stesso, in parte hanno avuto origine dalla visione dell’Estasi di San Francesco del Bellini, studiato alla Frick Collection di New York. “Sulla costa occidentale, invece, sono stato solo una volta”, spiega Cuoghi. “Ho visitato Los Angeles, Las Vegas, Palm Desert, The Joshua Tree Park, La Valle della Morte, Big Sur, Monterey, Morro Bay e Ojai. Devo dire che è stato un viaggio davvero entusiasmante. La parte che ho amato di più è stata quella di The Joshua Tree, perché quello è un angolo di mondo che assomiglia a un giardino e dove l’energia del luogo è palpabile”. Quei luoghi hanno ispirato Fluoro nel deserto, un’opera della serie dei Monolocali.

CUOGHI E LA MONTAGNA

Un altro viaggio, questa volta in Italia, è la premessa di una mostra in preparazione. “Quest’estate farò una mostra a Ollomont, un incantevole paese in Val d’Aosta”, racconta Cuoghi. “Recentemente ho disegnato le magnifiche vette che coronano il paese. Nessuna di queste è mai stata disegnata, a esclusione de Le Grand Combin. L’idea di disegnarle è nata con l’obbiettivo di restituire una dignità iconografica a queste montagne, perché nelle antiche guide della valle venivano rappresentate solo quelle lungo le vie di comunicazione. Disegnare a tratteggio, a china e acquerello, una montagna, è un’esperienza che non avevo mai fatto. Rappresentare ombre, luci, gole, ghiacciai e crepacci è stato come andare in montagna e percorrere a piedi i luoghi. Individuavo le frane e le pietraie immaginando il sentiero da percorrere. A volte mi perdevo nelle forme uguali solo a se stesse ed era come se smarrissi la strada. È stato davvero bellissimo perché il disegno, in certi frangenti, era quasi una forma di meditazione sulle masse rocciose, i pieni e i vuoti, le mezze tinte e il contrasto”. E adesso che stiamo vivendo fasi alterne di lockdown e di piccoli spostamenti, almeno per il momento, il viaggio è solo mentale, è ricordo e immaginazione. Ma anche il ripercorrere con la memoria i tragitti, i percorsi a piedi, e anche le linee tracciate con la matita sul foglio, a fissare le cime lontane, è un viaggio, un viaggio immobile ma non statico.

Mario Gerosa

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Mario Gerosa

Mario Gerosa

Mario Gerosa (1963), giornalista professionista, studioso di culture digitali, cinema e televisione, si è laureato in architettura al Politecnico di Milano. È stato caporedattore di AD e di Traveller e ora è freelance. Dopo aver scritto il primo libro uscito…

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